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Bartolomeo Sorge

Da AGGIORNAMENTI SOCIALI gennaio 2004

Bilancio del semestre italiano UE e "manifesto europeo" (Europa: il sogno, le scelte) del Presidente della Commissione, Romano Prodi

Un "manifesto" per l'Europa

di Bartolomeo Sorge

Dal 1° luglio al 31 dicembre 2003, l’Italia ha tenuto la presidenza di turno dell’Unione Europea. Un "semestre" né facile, né esaltante. Per quanto riguarda gli obiettivi prefissati, è onesto riconoscere che esso ha coinciso con una situazione internazionale particolarmente difficile, che non poteva non ripercuotersi nella vita interna dell’Unione Europea e nei rapporti tra gli Stati membri. Il problema più grave che ha pesato sul "semestre italiano" è stata certamente la frattura, non ancora sanata, prodottasi a seguito della guerra anglo-americana contro l’Iraq: alcuni Paesi si sono schierati con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna (Italia, Spagna e numerosi altri dell’Est in procinto di entrare nell’Unione), altri sono rimasti fermamente contrari alla "guerra preventiva" (Francia, Germania e Belgio).

1.Europeismo in crisi


Di questa spaccatura ha risentito soprattutto la Conferenza intergovernativa (CIG), inaugurata a Roma il 4 ottobre con grande solennità, che avrebbe dovuto portare entro il 31 dicembre alla approvazione della bozza del Trattato costituzionale, elaborata in due anni di lavoro dalla Convenzione presieduta da Valéry Giscard d’Estaing. Uno degli ostacoli al sereno raggiungimento di questo fondamentale obiettivo è stato lo scontro tra il Consiglio dei ministri economici e finanziari (ECOFIN) e la Commissione europea sull’applicazione del "patto di stabilità e crescita", episodio che ha manifestato ancora una volta le profonde tensioni latenti tra Commissione e Governi nazionali (cfr PISTELLI L., "Una Costituzione per l’Europa", in Aggiornamenti Sociali, 9-10 [2003] 602-615). Com’è noto, il "patto di stabilità e crescita", adottato a Maastricht nel 1997, obbliga gli Stati dell’Unione economica e monetaria a una precisa disciplina fiscale e di bilancio, per evitare che il disavanzo di ciascuno Stato superi il 3% del suo PIL. Ora, dovendosi comminare alla Germania e alla Francia le sanzioni previste per chi non osserva le regole, i Paesi europei si sono divisi ancora una volta tra Francia e Germania (appoggiate dall’Italia, dal Belgio e dal Lussemburgo), propense a una interpretazione "più flessibile" del patto e al trasferimento del potere di controllo dalla Commissione europea ai Governi nazionali interessati, e gli altri Paesi che invece chiedono che si mantenga l’osservanza rigorosa delle regole e che il potere di controllo resti in mano alla Commissione. Questo contrasto di fondo spiega lo scarso successo del "conclave" dei Ministri degli Affari Esteri (Napoli, 28-29 novembre). Infatti, se è vero che a Napoli si è raggiunto un importante accordo di massima sulla politica europea di difesa e di sicurezza, tuttavia i nodi più difficili (il sistema di voto, e il numero dei commissari nel Consiglio europeo) sono stati semplicemente rinviati al vertice dei Capi di Stato e di Governo (Bruxelles, 12-13 dicembre).
Oltre a queste difficoltà obiettive incontrate dal "semestre italiano", a renderlo meno esaltante sono venute le gaffe del Presidente: a cominciare dallo scontro del primo giorno a Strasburgo (il 2 luglio) con l’on. Martin Schultz, Vicepresidente del gruppo parlamentare socialista al Parlamento europeo (i cui strascichi polemici indussero il cancelliere Schröder a disdire le vacanze in Italia), alla inopportuna e assurda difesa della politica di Vladimir Putin in Cecenia, osteggiata dall’Unione Europea, in occasione del vertice UE-Russia (Roma, 6 novembre), che ha indotto l’Europarlamento a votare una severa censura nei confronti del Presidente di turno.
Con queste premesse poco incoraggianti si apre ora il 2004, un anno che si annuncia d’importanza cruciale per il futuro dell’Unione. Infatti, la attendono tre scadenze importanti: anzitutto, una volta approvato il Trattato costituzionale, l’Unione dovrà dare attuazione alla nuova struttura istituzionale ivi prevista; poi, il 1° maggio diverrà effettivo l’allargamento dell’Unione ad altri dieci Stati (otto dell’Europa centro-orientale, più Malta e Cipro), i cui trattati di adesione già sono stati firmati ad Atene il 17 aprile 2003; infine, a giugno, si terranno le elezioni europee, e la nuova Commissione, che in seguito sarà nominata, avrà il compito delicato di inaugurare la nuova fase istituzionale del cammino comunitario.
Come appare da questi cenni sommari, il vero problema dell’Europa oggi è essenzialmente "politico". Alcuni si chiedono se non sia in crisi l’europeismo. Infatti, è opinione comune dei commentatori che nel vecchio continente oggi siamo in presenza di un ritorno di nazionalismo, che si manifesta nella tendenza dei Governi a riprendersi quella quota di autonomia, alla quale avevano rinunciato al momento di intraprendere la via della integrazione comunitaria. Ebbene, proprio la natura politica delle difficoltà fa risaltare la necessità che l’Unione si dia un Governo forte, capace di far osservare da tutti le regole sottoscritte, al di là di interessi particolari e prescindendo dalla forza dei singoli Stati. Altrimenti sarà la fine non soltanto della stabilità economica, ma anche della stessa idea di Europa unita.
Tuttavia, accanto a questi rischi obiettivi, non mancano segnali che invece fanno ben sperare per il futuro. Noi qui vorremmo attirare l’attenzione su uno di essi che può rivelarsi di importanza decisiva. Ci riferiamo al "manifesto europeo" (Europa: il sogno, le scelte) del Presidente della Commissione, Romano Prodi, diffuso il 10 novembre 2003, che noi citiamo dal sito ufficiale (<
http//eu ropa.eu.int/comm/commissioners/prodi/index_it.htm>). Dopo una breve sintesi del suo contenuto, vedremo in che modo l’intervento di Prodi possa riuscire effettivamente a ravvivare l’europeismo che oggi sembra attraversare una fase di stanca.

2. Un "manifesto europeo"


Di fronte ai rischi reali cui va incontro oggi la costruzione della casa comune europea, il "manifesto" di Prodi assume un valore non solo simbolico e morale, ma anche operativo. Infatti, il Presidente della Commissione, alla vigilia dell’approvazione della nuova Costituzione e dell’allargamento dell’UE e all’avvicinarsi delle prossime elezioni del 2004, invita tutti i riformisti europei a unirsi in una lista comune, per rilanciare un progetto più coraggioso di Unione. Nell’intento di ridare vigore agli ideali dell’europeismo, Prodi espone con un linguaggio a tutti comprensibile il "sogno" (come egli lo chiama) di un’Europa più libera, più solidale e più unita. Non espone un programma vero e proprio, ma appunto un "sogno" e un progetto, che bisognerà poi tradurre in programma. Parla perciò di sfide, di valori e di scelte.
a) Le sfide. – Le principali si collegano ai processi di globalizzazione oggi in atto nel mondo. Infatti, nessuna nazione può più affrontare da sola i nuovi problemi. Questi infatti sono tutti planetari: o li affrontiamo uniti o ne saremo tutti sopraffatti. Cambia l’equilibrio tra le diverse regioni del mondo: riuscirà l’Europa a tener testa all’America, dove l’innovazione tecnologica è molto più avanzata, o all’India e alla Cina, i cui prodotti, grazie al rapido processo di sviluppo tecnologico e al basso costo del lavoro, sono diventati fortemente concorrenziali con quelli europei?
E che dire della "bomba demografica"? L’invecchiamento della popolazione e la crescita zero dei Paesi europei impongono di ripensare le politiche della famiglia, del lavoro, della previdenza, dell’educazione e della immigrazione. Con quale coscienza, mentre giustamente ci preoccupiamo del futuro, continuiamo poi a distruggere e a inquinare l’ambiente, a usare in modo scriteriato acqua, aria, terra ed energia, da cui la stessa vita umana dipende?
Ciononostante — insiste Prodi — le sfide non vanno viste solo come rischi, bensì anche come "opportunità" di crescita. "Per cogliere queste opportunità — riconosce il "manifesto"—, noi europei abbiamo straordinari punti di forza sui quali contare. Con un interscambio quasi pari a quello di Stati Uniti e Sud Est asiatico messi insieme siamo già ora una potenza commerciale che non conosce confronti […]. Abbiamo una moneta comune, l’euro, che si sta imponendo accanto al dollaro sui mercati finanziari internazionali […]. Abbiamo sviluppato, in cinquant’anni di costruzione europea, un’esperienza politica e istituzionale […] che costituisce il più riuscito e straordinario esempio di democrazia soprannazionale. Abbiamo nelle nostre nazioni, nelle nostre regioni, nelle nostre città una ricchezza e una diversità di storie, di culture, di tradizioni senza pari". La sfida, dunque, si tramuta in preziosa occasione di trafficare i talenti di cui disponiamo. A questo punto viene la domanda cruciale: quale Europa vogliamo? Su quali valori intendiamo fondare la casa comune?
b) I valori. – Fin dall’inizio, in conformità con la concezione dei Padri fondatori, i Paesi membri hanno cercato di attuare politiche comuni, a partire da quella economica, di importanza certamente cruciale, ispirate a forti valori condivisi, che hanno costituito la vera forza di coesione del processo di integrazione europea.
In particolare, il pilastro portante dell’Unione è la concezione della giustizia intesa in senso integrale, come libertà di esprimere la propria umanità: "libertà per ogni uomo e ogni donna di dare il meglio di se stesso, di godere, con il massimo dell’equità possibile, della reale opportunità di costruire una vita in piena dignità per se stesso e per la propria famiglia, di potersi sentire parte attiva di una comunità e di una democrazia vitali, di avere un lavoro, di vivere in un ambiente gradevole, di essere protetto contro i rischi più gravi che l’esistenza può portare". È, dunque, una concezione di giustizia che non si può ridurre alla fredda osservanza formale delle regole, ma ha una intrinseca dimensione sociale e solidale. È una concezione di democrazia, alternativa a quella di altre democrazie che, essendo "disposte a guardare all’ineguaglianza come al naturale risultato delle capacità e dell’impegno individuali e come al necessario motore della crescita, possono considerare fisiologico il fenomeno della marginalità sociale". "Noi — conclude con forza il "manifesto" — respingiamo l’idea stessa di un’Europa divisa tra coloro che hanno e sanno e coloro che non hanno e non sanno".
c) Le scelte. – Si impone dunque in Europa una vigorosa ripresa della vita democratica. La crisi dei canali tradizionali di partecipazione (a cominciare dai partiti) è ampiamente testimoniata da fenomeni contrastanti: da un lato, l’assenteismo dalla politica e l’affermarsi di movimenti populisti e xenofobi; dall’altro, il crescere del bisogno di partecipazione e il moltiplicarsi di manifestazioni di massa, come quelle a favore della pace, in difesa dei diritti dei Paesi poveri, della salvaguardia dell’ambiente. Ma forse l’aspetto più preoccupante della crisi delle nostre democrazie sta nel condizionamento dei mass media, i quali "da strumento principe per il controllo sull’esercizio del potere […], stanno diventando essi stessi il principale e diretto strumento di conquista, di esercizio e di condizionamento del potere politico". Da qui la scelta dell’UE di impegnarsi, con determinazione, per la libertà e il pluralismo della informazione: "La difesa a ogni costo del pluralismo dell’informazione è la via maestra da seguire — ribadisce Prodi —. Non è un caso che questa sia stata la via indicata e richiesta, con impegnative deliberazioni assunte a larghissima maggioranza, dal Parlamento Europeo".
Accanto alla democrazia, l’economia. È urgente attuare una efficace strategia di sviluppo, per adeguare il sistema economico europeo alle nuove esigenze, dettate dalla globalizzazione, dall’innovazione tecnologica e da una concorrenza sempre più aperta. Da qui la scelta di favorire "la concorrenza e l’ingresso sui mercati di nuovi operatori, una maggiore mobilità dei lavoratori all’interno e tra le imprese, mercati finanziari più efficienti e disponibili al rischio sul nuovo, una partecipazione piena delle donne al mondo del lavoro, una politica dell’immigrazione che non dimentichi l’apporto di innovazione e di competenza scientifica che può arrivare dai Paesi lontani".
Tuttavia la crescita economica da sola non può bastare a garantire una maggiore giustizia sociale e la difesa dei deboli. Da qui la scelta di adattare lo Stato sociale alle nuove esigenze, senza smantellarlo ma creando una rete di solidarietà per quanti sono senza lavoro o soffrono per le condizioni precarie di povertà o sono colpiti da emergenze impreviste. In particolare, non si può più tergiversare nel governare su scala europea il fenomeno della immigrazione, fino a prevedere la piena integrazione e la concessione della cittadinanza europea agli immigrati, ovviamente senza compromettere la certezza del diritto e la sicurezza.
Grazie a queste scelte, l’Europa comunitaria potrà impegnarsi più efficacemente a servizio della pace, che sente come sua missione: "Nata per dire basta alla guerra tra popoli e in terre che avevano conosciuto tutti gli orrori delle armi, delle distruzioni, delle violenze, l’Europa unita si conferma con l’allargamento un fattore di pace, di stabilizzazione, di sicurezza su scala continentale". Sarà mai possibile realizzare un’Europa così?

3. Ravvivare l’europeismo


Il "manifesto europeo" è un "sogno", non è un programma; ma lo potrà divenire. Intanto esso ha il merito di farci guardare avanti, sebbene l’Europa non sia ancora pronta per recepire e realizzare un progetto come quello di cui parla Prodi. Le famiglie politiche dell’UE, infatti, sono ancora in larga parte espressione di realtà e divisioni ereditate dalla vecchia stagione ideologica, finita con la caduta del muro di Berlino. L’importanza del "manifesto" di Prodi sta quindi nello spingere affinché, in prospettiva, su scala europea si affermino "aree" politiche diverse, nelle quali possano confluire forze, movimenti e tradizioni che si ispirano a valori comuni.
È uno sforzo meritevole di appoggio. In concreto bisognerà impegnarsi affinché nella prospettiva di un’Europa più matura da costruire, un ruolo di primo piano spetti all’area riformista, in cui confluiscano quanti condividono un europeismo convinto, fondato sui valori di libertà e di giustizia sociale, richiamati dal "manifesto". L’idea di presentare una lista unica dei riformisti italiani alle elezioni europee del 2004 non è dunque l’obiettivo primario di Prodi; è solo la conseguenza dell’ottica europea in cui si colloca il "manifesto": perché non potrebbe essere l’Italia a prendere l’iniziativa di costituire l’area riformista europea, dato che il nostro Paese ha già fatto una esperienza analoga con l’Ulivo? L’eventuale successo in Italia di una lista unica riformista alle elezioni europee del 2004 — ritiene giustamente Prodi — potrà anticipare e aiutare l’evoluzione e la ristrutturazione in senso bipolare del sistema politico europeo: "Di fronte a coloro che strumentalizzano i timori legati alle trasformazioni economiche e sociali per spingere gli europei a ripiegarsi egoisticamente su se stessi e a chiudersi al nuovo e al resto del mondo, una lista comune dei riformatori italiani offrirebbe una visione di apertura, di innovazione, di solidarietà".
Dunque, il "manifesto" è stato scritto per l’Europa e, solo di riflesso, coinvolge l’Italia. La proposta di Prodi, infatti, mira soprattutto a rilanciare l’europeismo: sia ad extra, preparando l’Europa a farsi presente da protagonista sulla scena mondiale, mentre stanno mutando gli equilibri delle forze; sia ad intra, puntando a una integrazione continentale che, rinnovando l’attuale assetto politico e parlamentare dell’Unione, consenta la crescita comune degli Stati membri ed eviti che si formino assi preferenziali tra i Paesi più forti.
A questo punto conviene dire una parola sulla lista unica dei riformisti per le elezioni europee del 2004, che già si è formata in Italia, proprio a seguito del "manifesto" di Prodi. Sono tre i partiti del centro-sinistra che hanno aderito: DS, Margherita, SDI, subito battezzati come "il triciclo". Che cosa pensarne? Condividendo da lungo tempo la necessità di realizzare l’unità dei riformisti in un’unica area, non possiamo non apprezzare ogni passo, anche solo parziale, che vada in questa direzione. Ciononostante permangono dubbi che vanno chiariti (cfr SORGE B. S.I., "È possibile in Italia la "democrazia compiuta"?", in Aggiornamenti Sociali, 9-10 [2003] 600-601).
Il limite del "triciclo" è di essere un accordo elettorale, più che un vero soggetto politico. Non è questo il "sogno" di Prodi. L’area riformista non è l’unione di alcuni partiti, che lascino aperta la porta a quanti altri (partiti, movimenti, centri sociali) vogliano aggiungersi. Questo è il modo vecchio di fare politica: giustapporre diverse forze politiche, senza una reale condivisione di valori. L’"area" dei riformisti nascerà non da un accordo di vertice tra le segreterie dei partiti, confortate dal "sì" di assemblee convocate ad hoc, ma dall’incontro tra vertici e base sul territorio intorno a un programma e a valori condivisi dalle diverse tradizioni del riformismo.
Perciò, mentre nel breve periodo (in vista delle elezioni europee del 2004) sarà necessario sostenere il tentativo della lista unica nonostante i suoi limiti, occorre però operare perché prenda corpo un’autentica "area riformista" in Italia e in Europa, puntando sul medio e lungo periodo. Ciò significa che tutti i riformisti che lo vogliono, senza discriminare nessuno, dovranno cominciare insieme un cammino, a partire dalla gente e dal territorio, che coinvolga partiti, movimenti e gruppi nella definizione del programma, della forma e delle regole del nuovo soggetto politico. La strada è lunga: si tratta di attivare una Costituente dell’area riformista nelle singole regioni e nelle cento città. Le scelte da fare in Italia nel breve periodo vanno collocate all’interno del più ampio cammino del riformismo in Europa. È l’unico modo perché il "sogno" diventi realtà.




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