1a. Principi generali
Quando una radiazione elettromagnetica interagisce con la materia, si verifica assorbimento, con conseguente diminuzione di intensità, in corrispondenza delle frequenze n che verificano l’equazione DE = hn, dove h è la costante di Planck e DE è la differenza di energia tra i due livelli energetici della molecola in esame, tra i quali si verifica la transizione che è alla base dell’assorbimento. L’energia così accumulata viene successivamente persa spontaneamente dalla molecola, che in questo modo torna dallo stato eccitato a quello fondamentale, altrimenti si arriverebbe all’assurdo di ottenere uguali popolazioni dei due stati, essendo i coefficienti che caratterizzano la velocità di assorbimento e di emissione indotta uguali (Bab = Bba, fig.1-1). Quando in particolare la radiazione incidente ha una lunghezza d’onda corrispondente alla regione del visibile/UV (l @ 100-800 nm), le transizioni coinvolgono gli elettroni più esterni, che possono quindi passare dall’ultimo livello occupato a uno dei livelli energetici immediatamente superiori, e il ritorno allo stato fondamentale può avvenire tramite emissione di radiazione elettromagnetica di frequenza minore rispetto a quella incidente, secondo il fenomeno della fluorescenza (fig.1-2). Tutte le molecole che assorbono nel visibile/UV sono quindi potenzialmente fluorescenti, ma il fenomeno è in realtà rilevante solo per alcune di esse, a causa dell’esistenza di fenomeni dissipativi non radiativi che competono con l’emissione di radiazione (fig.1-3). Questi comprendono: la conversione interna, cioè la perdita di energia in maniera non radiativa, soprattutto a causa di urti con le molecole di solvente o con le pareti del contenitore, che sono pure alla base del fenomeno di rilassamento vibrazionale, cioè del decadimento da un livello vibrazionale all’altro, che spiega perché le frequenze di emissione sono più basse di quelle di assorbimento; l’intersystem crossing, in cui si ha una transizione tra uno stato di singoletto e uno di tripletto le cui curve di potenziale si incontrano in un punto, a cui generalmente fa seguito il fenomeno della fosforescenza (emissione di radiazione ritardata nel tempo); il quenching, dovuto alle collisioni con molecole di soluto capaci di interagire con lo stato elettronico eccitato, come O2 e I-. Poiché questi fenomeni sono tutti del primo ordine o pseudo-prim’ordine (nel caso del quenching), si può definire la resa quantica di fluorescenza fF, come:
f
F = kF/[kF+kic+kis+kq]dove le k rappresentano le costanti cinetiche dei fenomeni descritti. Si può dimostrare che la resa quantica di fluorescenza si può anche esprimere come: fF = tF/tR , dove tF è la costante di tempo che caratterizza il decadimento di fluorescenza reale, misurabile con uno spettrofluorimetro dinamico (par. 3), e tR = 1/Aba è la costante di tempo ideale, cioè quella che si avrebbe in assenza di radiazione e di qualunque altro fenomeno di perturbazione o interazione, determinabile da misure di assorbimento, essendo il coefficiente di Einstein Aba = (64p4n3/3c3h)Dab , dove le uniche grandezze da determinare sono la forza di dipolo Dab, pari al modulo quadro del momento di dipolo di transizione, e la frequenza n, entrambe ricavabili da misure di assorbimento. La resa quantica è quindi un numero compreso tra 0 e 1, che influisce sulla sensibilità del metodo, poiché l’intensità della radiazione emessa ad una certa lunghezza d’onda è proporzionale ad essa.
1b. Applicazioni e strumentazione
La spettroscopia di fluorescenza viene applicata, analogamente alla spettroscopia di assorbimento, per l’analisi qualitativa e quantitativa di campioni incogniti e per la determinazione di parametri chimico-fisici della sostanza in esame. Le tecniche analitiche, che hanno il vantaggio di essere molto più sensibili rispetto a quelle di assorbimento, si basano sull’equazione:
F(l) = 2.303e(l)clI0fF
dove I0 è l’intensità della radiazione incidente, l il cammino ottico, c la concentrazione del campione e e(l) una costante caratteristica della sostanza. Da questa equazione è infatti possibile risalire alla concentrazione c del campione, noti tutti gli altri parametri; la resa quantica si può calcolare come descritto sopra, oppure facendo misure relative e utilizzando poi uno standard di cui sia nota la resa quantica, come ad esempio il solfato di chinino in acido solforico. Come si può vedere dai dati riportati nella tabella 1-1, la fluorescenza spontanea delle macromolecole biologiche con sensibilità sufficientemente elevata è limitata alle proteine contenenti residui di triptofano e tirosina, mentre per quanto riguarda il DNA è necessario ricorrere all’uso di apposite molecole (probes fluorescenti) come il bromuro di etidio (e le altre molecole illustrate nella figura 1-4, con valori caratteristici in tabella 1-2). In particolare il bromuro di etidio si pone come intercalante tra le coppie di basi del DNA, sottraendosi ai possibili urti con le altre molecole presenti in soluzione, aumentando quindi la propria resa quantica in maniera proporzionale alla concentrazione di DNA, o, a parità di questa, in relazione alla sua struttura. Infatti l’altra applicazione fondamentale di queste tecniche consiste nella acquisizione di informazioni relative alla struttura della macromolecola o al microambiente in cui si trova, e nella determinazione di parametri quali le costanti cinetiche, in particolare quelle di binding. Infatti l’emissione di radiazione avviene su scale di tempi (~ 10-9s) maggiori rispetto all’assorbimento (~ 10-15s), e quindi su di essa possono influire i moti molecolari e le interazioni con le altre molecole.
Lo spettrofluorimetro (fig.1-5) è costituito da una sorgente di radiazione elettromagnetica (L), da un primo monocromatore (M1) per selezionare la lunghezza d’onda della radiazione incidente, dalla cella per il campione (S), dal secondo monocromatore (M2) per selezionare una lunghezza d’onda dello spettro di emissione e dal rilevatore (PM). Da notare che quest’ultimo è messo a 90° rispetto alla direzione del raggio incidente, poiché altrimenti la radiazione non assorbita che prosegue in quella direzione "accecherebbe" il rilevatore.
1c. Sistemi accettore/donatore
Per determinare specifici parametri strutturali, come la distanza tra due punti in una macromolecola, si usano sistemi particolari, definiti sistemi accettore/donatore a trasferimento di energia. Tali sistemi sono costituiti da due molecole fluorescenti, in cui lo spettro di emissione di una delle due (donatore) si sovrappone in parte a quello di assorbimento dell’altra (accettore) (fig.1-6). In questo modo se si utilizza una radiazione incidente con lunghezza d’onda corrispondente al massimo di assorbimento del donatore, questo assorbe e poi emette radiazione a frequenze tali da essere assorbite dall’accettore, che a sua volta, dopo aver assorbito, riemette con frequenze caratteristiche (fig.1-7). Se le due molecole vengono chimicamente legate in punti specifici della macromolecola, il fenomeno descritto avviene solo se le due molecole sono sufficientemente vicine da poter interagire e l’intensità della radiazione emessa è correlabile alla distanza tra le due sonde. In realtà la grandezza che si misura sperimentalmente è l’efficienza di trasferimento (E) definita come la frazione di molecole del donatore nello stato eccitato che si diseccitano per trasferimento di energia all’accettore. Questa grandezza può essere calcolata secondo le relazioni:
1 – E = fD+A/fD = tD+A/tD
misurando la resa quantica o il tempo di decadimento prima con il solo donatore e poi con il donatore e l’accettore. A partire dall’espressione della costante di velocità di trasferimento (kT):
kT = (1/tD)(R0/R)-6
dove R0 è la distanza caratteristica di trasferimento della coppia accettore/donatore, si ricava la relazione (approssimata) tra E e la distanza R tra le due molecole (e quindi tra i due punti della macromolecola):
E = R06/( R06+R6)
Poiché i valori di R0 sono generalmente vicini a 50A, si possono misurare distanze fino a circa 80A.
1d. Fluorescenza e luce polarizzata
Un altro particolare sistema per ricavare informazioni sulla macromolecola in esame consiste nell’uso di luce incidente polarizzata linearmente, in cui cioè il campo elettrico oscilla in un piano fisso rispetto al sistema di riferimento. Per ottenere ciò è sufficiente porre un opportuno filtro (polarizzatore) tra la sorgente e il campione; lo stesso tipo di filtro (analizzatore), posto tra il campione e il rilevatore, viene poi usato per misurare il grado di polarizzazione della radiazione emessa. Di questa vengono misurate le intensità secondo due piani di polarizzazione: uno parallelo (I| | ) e uno ortogonale (I^ ) a quello della radiazione incidente. Si possono quindi ottenere la polarizzazione (P) o l’anisotropia (A), secondo le equazioni:
P = (I| | - I^ )/( I| | + I^ ) ; A = (I| | - I^ )/( I| | + 2 I^ )
Si può dimostrare che per un sistema ideale totalmente rigido il valore massimo che si può avere è P=1/2, mentre il valore di P decresce fino ad arrivare a zero per sistemi sempre più mobili, in cui nell’intervallo di tempo che intercorre tra l’assorbimento e l’emissione le molecole ruotano e perdono quindi l’orientamento. Il fenomeno della polarizzazione di fluorescenza è infatti dovuto al fatto che quando il vettore campo elettrico incidente ha una direzione determinata, assorbono preferenzialmente le molecole il cui momento di dipolo elettrico di transizione è parallelo al campo; quando poi queste molecole emettono, la radiazione risulta tanto più polarizzata quanto più queste molecole mantengono posizioni, e quindi momenti di dipolo, orientati.
L’equazione di Perrin lega il valore di P al tempo di correlazione rotazionale (tc):
1/P – 1/3 = (1/P0 – 1/3)(1 + tF/tc)
dove tF è il tempo di decadimento di fluorescenza e P0 è il valore limite di polarizzazione pari a: P0 = (3cos2x - 1)/(cos2x + 3), dove x è l’angolo tra i dipoli di transizione di assorbimento e di emissione. Questo valore corrisponde a P per t=0, quindi praticamente al valore del corrispondente sistema rigido (in termini di A si può infatti scrivere: A(t)=A0e-t/tc). Esplicitando tc=Vhh/kT (k è la costante di Boltzmann), si ottiene un’espressione di P in funzione della temperatura T e la viscosità della soluzione h:
1/P – 1/3 = (1/P0 – 1/3)(1 + tFkT/ Vhh)
per cui variando una di queste due variabili (purché sia nota tF) si possono fare misure "statiche" di fluorescenza, ricavando da queste il valore di Vh, cioè il volume molecolare idrato, che in realtà è il volume della sfera equivalente, cioè di una sfera caratterizzata dallo stesso tempo di rilassamento rotazionale.