Nel nuovo ordine monastico-militare del Tempio, san Bernardo vedeva
lo strumento non tanto della difesa di Gerusalemme quanto piuttosto della
cristianizzazione degli ideali cavallereschi,
nei quali egli condannava non l’amore per la guerra in sè, ma quello
per la gloria mondana, il fasto, le vanità d’ogni genere. E, pur
nei suoi successivi tralignamenti, il Tempio restò fondamentalmente
fedele all’insegnamento bernardiano.
Ma qual è dunque il fine e il frutto di questa non dirò
milizia, ma piuttosto malizia mondana, se l’uccisore pecca mortalmente
e l’ucciso muore eternamente? Invero, a dirla con l’Apostolo, “chi ara
deve arare con speranza, e chi trebbia con speranza di avere parte al frutto”.
Che cos’è dunque, o cavalieri, questa incredibile passione, questa
intollerabile pazzia di guerreggiare con tante spese e tante fatiche senza
alcun altro guiderdone che al morte e il peccato? Coprite di seta
i cavalli e rivestite di non so che genere di straccetti le corazze; dipingete
lance, scudi e selle; ornate d’oro, d’argento e di gemme le briglie e gli
speroni; e in tanta pompa correte, con vergognoso furore e impudente stupidità,
alla morte.
Ma sono insegne militari, queste, oppure ornamenti femminili? Forse
che il ferro del nemico avrà paura dell’oro, rispetterà le
gemme, non potrà attraversare la seta? In fondo, e voi stessi lo
sperimentate di continuo, al combattente sono soprattutto necessarie tre
cose: che sia abile, alacre e circospetto nel guardarsi, rapido nel cavalcare,
pronto nel ferire. Voi al contrario vi curate come donne i capelli fino
a disgustare chi vi vede, vi coprite con sopravvesti lunghe e drappeggiate
che vi impacciano i movimenti, seppellite le tenere e delicate mani in
ampi e comodi guanti... Né tra voi sorge quasi mai guerra o contesa
che non sia originata da un moto irrazionale d’ira o da un vuoto desiderio
di gloria o dall’avidità di ricchezze terrene. Certamente , uccidere
o morire per motivi del genere non è cosa da fare con tranquillità.
I cavalieri di Cristo combattono invece le battaglie del loro Signore
e non temono né di peccare uccidendo i nemici, né di dannarsi
se sono essi a morire: poiché la morte, quando è data o ricevuta
nel nome di Cristo, non comporta alcun peccato e fa guadagnare molta gloria.
Nel primo caso infatti si vince per Cristo, nell’altro si vince Cristo
stesso: il quale Cristo accoglie volentieri la morte del nemico come atto
di giustizia, e più volentieri ancora offre se stesso come consolazione
al cavaliere caduto. Il cavaliere poi, posso affermarlo, uccide sicuro
e muore più sicuro ancora: giova a se stesso quando muore, a Cristo
quando uccide. Non è infatti senza ragione che porta la spada: egli
è ministro di Dio in punizione dei malvagi e in lode dei buoni.
Quando uccide il malvagio egli non è omicida ma - per così
dire - malicida, ed è stimato senza dubbio vindice di Cristo su
quelli che fanno il male e difensore dei cristiani. E quando muore, si
sa che egli non è perito, ma è piuttosto giunto alla meta.
La morte che egli dispensa è infatti un guadagno per Cristo: quella
che egli riceve è il guadagno suo personale. Nella morte del pagano
il cristiano si gloria, perchè Cristo è glorificato. Nella
morte del cristiano si dimostra quanto magnanimo sia stato il re che ha
ingaggiato il cavaliere.
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