La pena di morte nella storia (I)
Premessa
Nelle tribù primitive, prive di sistema giudiziario, era norma reagire all'uccisione con l'uccisione mettendo così in moto una spirale di violenza e di vendetta che finiva con lo sfuggire ad ogni possibile controllo dell'individuo e che poteva durare per generazioni.
La vendetta diventava così una realtà continua ed interminabile.
Da qui l'esigenza di un sistema giudiziario che però finisce con il fare ciò che in un sistema primitivo farebbero i parenti delle vittime: vendicarsi!
La differenza tra un sistema giudiziario e il sistema fondato sulla vendetta non è da ricercarsi in un'etica di principi (giusto - ingiusto), ma in un'etica di risultato. Il sistema giudiziario limita la vendetta ad un solo episodio, alla vendetta della società.
Culture primitive, tradizioni cristiana ed islamica.
Per i popoli antichi l'idea della morte era una cosa assolutamente normale e la vita di tutti i giorni comprendeva l'aspettativa della violenza e della vendetta per i torti commessi ma, spesso, anche per quelli non commessi.
La pena di morte faceva parte del sistema legale ed era accettata e condivisa da tutti; così, quando la religione cristiana si pose il problema di considerare quali fossero i limiti e i doveri dello Stato, ebbe la tendenza a dare per scontata la pena di morte, trovandone giustificazione in alcuni testi del Vecchio Testamento.
Gesù mette in discussione per la prima volta l'idea della vendetta nel Discorso della Montagna. "...se qualcuno vi dà uno schiaffo sulla guancia destra, offritegli anche la sinistra...benedetti sono coloro che perdonano". Quando a Gesù viene chiesto il parere su un crimine per il quale è prevista la lapidazione la sua risposta fu quella di abolire tale punizione: "Chi si sente senza peccato scagli la prima pietra". Egli mette in risalto la "prima pietra" perché è la più difficile da gettare in quanto sarà quella a cui le altre faranno seguito. Occorre prendere coscienza delle proprie responsabilità, occorre sentire la violenza come propria, come individuo e non come membro di un gruppo. Ogni esecuzione capitale è responsabilità di ognuno in quanto individuo, per Gesù si neutralizza così l'effetto collettivo che favorisce la partecipazione meccanica all'esecuzione.
Nella tradizione islamica la pena di morte era contemplata per numerosi crimini ed accettata dal popolo che ne condivideva l''efficacia. Le pene dovevano essere esemplari per avere un forte potere dissuasivo sul piano sociale, per mantenere ordine, garantire sicurezza, combattere i nemici della comunità e vendicare le offese fatte al Profeta.
La fiducia nell'utilità sociale della pena capitale, nei popoli antichi, era generale in quanto avevano individuato in essa l'unico mezzo per difendere e preservare la comunità.
Prima dell'Illuminismo
Nel Medioevo la pena capitale veniva comminata in particolare nei confronti delle classi meno abbienti. I cattolici mandavano al rogo i protestanti che, a loro volta, bruciavano i papisti applicando le stesse leggi. Nell'Inghilterra medioevale, per compensare un omicidio, era spesso sufficiente pagare ai parenti delle vittime il "wergeld" (in Italia Guidrigildo), o denaro di sangue, che era una sorta di riscatto per il reato commesso.
Il cambiamento dal Guidrigildo alla pena di morte avvenne nel Basso Medioevo, il periodo di Dante e Federico II. Con il crescere del potere reale l'omicidio cominciò ad essere considerato un reato pubblico, una rottura della pace con il re e, come tale, doveva essere punito con la morte.
Nel periodo compreso tra i secoli XIV e XVIII si assiste in tutta Europa allo sviluppo di una legislazione selvaggia che vide il proliferare di modi legali per uccidere persone: dai roghi alle forche, alla mannaia. La gente, bambini compresi, poteva essere condannata a morte per reati di lieve entità o di gravità del tutto sproporzionata al carattere assoluto della pena capitale come, ad esempio, scrivere lettere minatorie o aver cacciato di frodo.
Ciò probabilmente era dovuto al fatto che in quei tempi non vi era un adeguato sistema di polizia per difendere la proprietà minacciata dall'insicurezza sociale e dall'estrema povertà che spingeva le persone a rubare.
Tratto fondamentale delle esecuzioni era la spettacolarità, diventarono vere e proprie celebrazioni collettive, con un a scenografia ed una regia che accompagnavano il condannato nel suo supplizio.
La pena di morte doveva assolvere due funzioni: vendicare la società ed avere un carattere terrorizzante ed esemplare.
La piena accettazione della pena da parte del condannato diventò elemento fondamentale di uno spettacolo che doveva essere rassicurante e doveva portare ad una sorta di rassicurazione sociale.
L'Illuminismo
L'abolizionismo è un'idea moderna da mettere in relazione con il rivolgimento del diritto penale avvenuto nel Settecento. La riforma in senso umanitario del diritto penale è infatti uno dei maggiori contributi storici di quel secolo. La mentalità illuminista fu pratica, pragmatica e attenta al pensiero giuridico.
I filosofi cominciarono ad occuparsi di diritto penale considerandolo come complesso organico di problemi che dovevano essere oggetto di critica e revisione filosofica. All'interno di questo movimento esistevano due posizioni: una morale, attenta al problema umanitario nel diritto penale, l'altra politica, portatrice di ragioni più utilitaristiche.
L'Illuminismo fece una netta distinzione tra peccato in senso morale e reato in senso giuridico, tra espiazione religiosa o morale e pena in senso giuridico. Si riconosce che alcuni reati come il furto, sono veri e propri reati in senso giuridico, ma che è evidente la sproporzione tra la pena e la gravità del reato commesso, se il furto è punito con la morte.
Tutti gli illuministi furono poi concordi nell'opporsi ai supplizi e all'inflizione di tormenti e torture che accompagnavano la pena capitale. In questo clima di riforme matura il pensiero di Cesare Beccaria che pubblica il suo "Dei delitti e delle pene", libro in cui si auspica una riforma finalizzata all'abolizione della pena di morte.
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