L'isola Di Pasqua


Centinaia di alte statue silenziose e immote giacciono a pezzi o sepolte in una brulla isola vulcanica dell'Oceano Pacifico. Chi le innalzò e perchè? La storia ha inizio nella domenica di Pasqua del 1722 quando l'equipaggio di una nave olandese avvistò inaspettatamente la terraferma dove nessuna cartina la riportava. Accostandosi a una riva rocciosa e inospitale, l'Ammiraglio Jacob Roggeveen vide con grande stupore che era disseminata di gigantesche statue con la schiena rivolta al mare. Quando approdò, vi scoprì una popolazione di poveri isolani attrezzati con strumenti e armi di pietra. Cinquant'anni dopo l'inglese Capitano Cook visitò l'isola accompagnato da un marinaio hawaiano in grado di comprendere la lingua degli indigeni: gli isolani dissero di essere i discendenti degli scultori delle statue. Secondo le loro leggende, erano stati guidati in quel luogo dal loro capo Hotu Matù e da allora erano trascorse 22 generazioni.

LA COSTRUZIONE DELLE STATUE DI PIETRA

Gli abitanti dell'Isola di Pasqua divennero gli scultori più abili di tutte le isole del Pacifico. A partire dal 400 circa eressero in riva al mare piattaforme funerarie di pietra, le ahu, rivestendole alcune con grandi massi levigati, modellati e inseriti con maestria. Le ahu diventavano tabù nel periodo in cui il corpo del defunto veniva ridotto a uno scheletro dall'azione congiunta degli uccelli, del vento e delle interperie. Finchè l'opera non era completata, la famiglia del morto sorvegliava la piattaforma, dopo di che il clan si riuniva e seppelliva le ossa all'interno dell'ahu, dando poi una gran festa in onore del congiunto. Per onorare meglio gli antenati e mostrare la forza e la ricchezza del clan, gli isolani costruivano delle statue scolpendo la morbida roccia di una piccola collina vulcanica, il Rano Raraku. Dapprima le immagini ebbero varie forme; in seguito, a partire all'incirca dal 1100, un'unica figura finì per dominare: un individuo maschile dalla testa stilizzata e dai lunghi lobi, con il corpo talvolta minutamente decorato da tatuaggi.

LA FINE DELLA POPOLAZIONE DELL'ISOLA DI PASQUA

Dal 1500 circa nell'isola si affermò il culto dell'uomo degli uccelli, identificabile forse con il Dio Makemake. Dal villaggio cerimoniale di Orongo, i seguaci correvano ogni anno verso riva e nuotavano fino all'isola di Motu Nui, cercando di impadronirsi del primo uovo deposto dalla sterna scura al termine della migrazione annuale. Chi riusciva per primo a riportare un uovo diveniva, per un anno, una potente figura rituale che aveva diritto di esigere dei doni. L'ascesa del culto di Makemake significa forse che dopo il 1400 un altro gruppo etnico sopraggiunse nell'isola. Quello che è certo è che dopo il 1600 scoppiò una guerra. Il legno ormai scarseggiava e senza di esso la vita era dura, il suolo si degradò e il cibo diventò difficile da reperire. Le donne e i bambini catturati in battaglia venivano divorati e le ahu caddero in mano al nemico e le immagini degli antenati furono rovesciate.

Il XIX secolo portò all'isola tragedie su tragedie. 
Equipaggi di diversi paesi vi giunsero uno dopo l'altro e catturarono uomini e donne , riducendone la popolazione. Il massacro più sanguinoso avvenne nel 1862, quando una flotta di sei navi peruviane giunse col proposito di portar via come schiavi quanti più uomini fosse possibile e per riuscire nell'intento misero in atto una vera carneficina. La notizia dell'accaduto, a livello internazionale, mobilitò alcune autorità le quali fecero pressioni perché si rimediasse a quanto era successo; si fece in modo che gli abitanti dell'isola catturati come schiavi venissero rimpatriati ma questo portò una nuova tragedia sull'isola poiché i pochi sopravvissuti erano accompagnati da un nemico contro il quale allora non esisteva alcuna difesa: il bacillo del vaiolo. Le buone intenzioni iniziali si trasformarono in un male ancora peggiore, che le autorità, per la loro scarsa conoscenza della situazione, non avevano previsto. La scarsa popolazione che ancora abitava sull'isola fu drasticamente decimata dalla nuova epidemia e alla fine non rimasero in vita che circa seicento persone.
I nuovi sbarchi sull'isola furono caratterizzati dall'arrivo di missionari che cercarono di porre fine con la loro presenza agli abusi commessi fino a quel tempo e poi seguirono numerosi scienziati e scrittori famosi che dopo aver visitato e studiato a lungo l'isola e i suoi abitanti ci hanno lasciato accurati resoconti, che mettono in rilievo la drammatica situazione di quell'isola sperduta.
Si sarebbe potuto pensare che ci stesse avviando verso una soluzione definitiva: purtroppo non era così.
Nel 1888 la presa di possesso dell'isola da parte del governo cileno significò una nuova spoliazione per i nativi e l'inizio di una nuova era di sfruttamento nei confronti di una popolazione indifesa. Vennero privati di ogni cosa e condannati alla miseria .Nel frattempo , senza darsi pensiero di questi avvenimenti, continuavano a giungere missioni scientifiche. Fortunatamente la situazione è andata migliorando con gli anni anche se forse non quanto era auspicabile. Oggi l'isola ha circa duemila residenti che sono per la maggior parte polinesiani, mentre la minoranza è costituita da cileni.