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"Quattro anni per azzerare il digital divide in tutta Italia"

Intervista al Ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni

 

«La banda larga è una delle priorità di questo paese. Lo ha detto anche il presidente del Consiglio Romano Prodi nel suo intervento di fine anno e noi abbiamo già iniziato a muoverci in questa direzione. E il punto di partenza è che ormai la banda larga va considerata un nuovo servizio universale, come il telefono, come le poste nel secolo scorso. Per questo abbiamo fissato l’obiettivo di dare il 100% di copertura a banda larga entro la fine della legislatura, per questo abbiamo creato il Comitato per la Banda larga con il ministro dell’Innovazione Luigi Nicolais e delle Autonomie Locali, Linda Lanzillotta».

Paolo Gentiloni, come ministro delle Comunicazioni, è il terzo componente del Comitato nato ufficialmente alla fine dello scorso dicembre. Da lui dipendono in particolare le strategie per le infrastrutture di tlc del paese: le reti di trasmissione, via cavo e via radio, i telefoni, Internet, la tv.
Secondo gli ultimi rilevamenti la banda larga è già disponibile potenzialmente per l’88% della popolazione. Visto così, il vostro non sembra un obiettivo difficile da raggiungere.«Bisogna andare oltre i numeri. E per questo parliamo di servizio universale, per andare alla sostanza del vero obiettivo, che è di annullare il digital divide. Il problema è complesso e va affrontato da diversi punti di vista. Intanto, quello dell’offerta di connessione e quello della domanda di nuovi servizi. Il fatto che gran parte della popolazione urbanizzata disponga potenzialmente di connessioni a banda larga dice solo la metà della realtà. Se andiamo a guardare una cartina dell’Italia con la copertura territoriale, vediamo che ci sono aree molto vaste ancora prive di infrastrutture di questo tipo. E non parliamo solo delle montagne o del Sud. Ci sono vaste aree anche in regioni ricche come il Piemonte prive di accessi a banda larga. Portare l’infrastruttura anche lì, come sta facendo la Regione, significa portare quei territori in una prospettiva di sviluppo».
Obiettivo ambizioso. E soprattutto costoso. Da dove arriveranno le risorse?
«Ci sono già molte iniziative in corso promosse da Regioni ed Enti locali. In più ci sono iniziative e risorse che fanno capo all’amministrazione centrale. Si tratta di ottimizzare tutto questo, attraverso un lavoro di coordinamento che farà il Comitato per la Banda Larga. Ma la cosa che mi preme sottolineare a questo proposito è che non vogliamo mettere il cappello in testa agli enti locali ma solo evitare sprechi di risorse. Ci sono 6700 milioni di investimenti in corso da parte degli enti locali. Se a questi soldi aggiungiamo le iniziative statali, la dotazione di Infratel e altri fondi, arriviamo oltre il miliardo di euro di risorse. Un grande investimento che si farà in tutti i Paesi Europei: realizzare un collegamento alle reti di prossima generazione costerà qualcosa come 800/900 euro a persona».
Ma non c’è solo la rete fissa.
«Sì, è vero, e c’è stato qualche ritardo. Ma lo stiamo risolvendo. Entro l’inizio dell’estate prossima, per esempio, partirà il WiMax».
Avete risolto tutti i problemi con il ministero della Difesa?
«C’è l’impegno con il ministro Parisi. Un impegno che ha effetto immediato. Intanto il ministero libera subito i primi due blocchi di frequenze (ognuno di 35 mhz). Poi libererà progressivamente anche le altre frequenze. Nel frattempo si definiranno più precisamente gli impianti della Difesa che dovranno effettivamente essere spostati e si avranno anche le idee più chiare rispetto al valore delle frequenze attraverso il meccanismo di aggiudicazione che sarà stato a quel punto definito».
Quindi per ora è stato accantonato il problema dei soldi con cui sostenere il trasferimento degli impianti della Difesa?
«Non accantonato, sarà risolto. Adesso mancano alcuni passaggi e poi saremo pronti».
Quali ancora, esattamente?
«Entro la fine del mese l’Autorità per le tlc avrà concluso la sua consultazione pubblica. Nel frattempo, nelle prossime settimane, il ministero selezionerà l’advisor del processo. Poi servirà ancora qualche settimana all’Authority per trasmettere al ministero la griglia delle caratteristiche del percorso di assegnazione delle licenze. A quel punto il ministero indirà la gara. Per l’inizio dell’estate tutto questo va completato. Poi si tratterà di realizzare la trasformazione graduale dell’Adsl in reti di prossima generazione. E anche in questa occasione il Comitato per la banda larga avrà modo di intervenire».
Perché?
«Proprio per la sua natura di cabina di coordinamento di tutti i soggetti coinvolti in queste iniziative: lo Stato centrale e gli enti locali, il settore pubblico e i privati. Pensiamo che può essere il soggetto ideale per garantire l’accelerazione di tutti gli atti necessari alla realizzazione delle nuove reti».
Nel senso di sveltire i passaggi burocratici?
«Sì, certo. E proprio perché agiremo in coordinamento con gli enti locali. Il tutto deve essere portato avanti in modo trasparente. Lo stesso Comitato metterà le sue attività in Rete: apriremo un sito Internet e produrremo un rapporto semestrale sulla nostra attività».
Questo quanto al versante dell’offerta di connessione e delle infrastrutture. Ma dovrete far qualcosa anche per stimolare i nuovi servizi e la domanda.
«Sì. L’alta percentuale di popolazione potenzialmente in grado di accedere alla banda larga non fa che rendere ancora più evidente che invece il nostro tasso di utilizzo è basso. Solo il 15% della popolazione utilizza oggi accessi superveloci ad Internet. E questo vuol dire che il problema non è la copertura ma è un problema più radicale: l’alfabetizzazione informatica degli italiani. Infatti se andiamo a vedere il tasso di utilizzo della banda larga tra quanti hanno un computer collegato a Internet, si vedrà che siamo in linea con i paesi più avanzati. Insomma, gli italiani informatizzati lo sono su buoni livelli. Il problema sono gli altri».
Come intendete procedere?
«Vedo tre direttrici principali: la Pubblica Amministrazione; le imprese; i giovani. Sulla prima dovremo individuare nuovi progetti e valorizzare "best practice" mettendo a frutto le esperienze già in corso sia a livello centrale che locale. E poi dovremo far partire i grandi progetti già individuati, come la carta di identità elettronica, l’infomobilità, la telemedicina».
Le esperienze degli anni passati dicono però che far muovere la Pubblica Amministrazione verso Internet non è semplicissimo. Per esempio sono finora mancati seri meccanismi di incentivo e magari sanzioni, o anche solo qualche penalizzazione, per chi non si muove con il necessario impegno.
«Su questi temi in particolare è al lavoro il ministro Nicolais».
E cosa pensate invece di fare per promuovere l’uso di Internet nelle imprese?
«Sicuramente non produrremo norme e regole. Il mondo delle imprese ne ha già fin troppe. Sono invece convinto che questa parte sia un’importantissima sfida per il sistema associativo delle imprese. Sono loro, le istituzioni associative che devono collaborare con noi per far circolare al loro interno la nuova cultura, promuovere la conoscenza dei vantaggi dell’Ict per le imprese sia in termini di risparmi di costi che, soprattutto, di maggiore competitività. E devono spiegarlo non tanto alle grandi imprese, che lo sanno già, quanto a tutto il sistema delle piccole e medie. Lavoreremo in particolare con l’Unione delle Camere di Commercio: ne parlerò presto con Andrea Mondello, che di Unioncamere è il presidente. Insomma, anche qui l’idea è di fare sistema, mettendo assieme impegno, risorse, competenze sia del settore pubblico che dei privati».
E a proposito di fare sistema, pensate di trovare un modo per coinvolgere in questi progetti anche le municipalizzate, le utility dei servizi pubblici, oggi forse tra i soggetti italiani più ricchi di risorse finanziarie?
«Certo le municipalizzate ma non solo. Tutti i servizi pubblici a rete potranno dare un contributo a questo sfida decisiva per il pae se. Basta pensare per  esempio alla rete delle  Poste, che raggiunge  anche i paesi più lontani dalle grandi concentrazioni urbane e che  potrebbero fornire connettività a quelle comunità».
Tre le reti c’è anche  quella dei sistemi di  trasmissione della  Rai, che finora è rima sta parecchio indietro  rispetto a questi sce nari. La riorganizzazione della tv pubblica che  ruolo può giocare?
«Deve cominciare a giocare  un ruolo di stimolo. Basta andare a guardare che cosa sta fa cendo la Bbc sul mercato inglese. Il portale Internet della Bbc  ha oggi appena un 10% di accessi in meno rispetto al porta le di Google Uk. Da noi, quello  della Rai è molto più indietro: al 15esimo posto, più o meno, nel la classifica dei portali italiani.  Per la Rai il digitale non può voler dire trasformarsi da broadcaster analogico a broadcaster  digitale terrestre. Deve diven tare un’azienda multipiattaforma, con un ventaglio di offerte  in grado di svilupparsi su tutte  le diverse tecnologie disponibili. E’ una partita appena inizia ta con il contratto di servizio:  bisogna mettere in moto le potenzialità e individuare, con il  concorso di tutti i soggetti interessati, la soluzione migliore».
Ma la sua proposta è di dividere la Rai in tre o in quattro società? Ha proposto di  scorporare anche la radio?
«E’ solo un suggerimento,  ancora tutto da discutere. E’  principalmente un modo per  sottolineare due cose: che men tre l’audience della tv è satura,  quello della radiofonia è in crescita: la radio sta vivendo una  seconda giovinezza. Parlo del  sistema in generale, non della  Rai in particolare. E non si potrà valorizzare al meglio questo  potenziale se in Rai si continuerà a considerare la radio un’ancella della tv. Ha bisogno di strategie proprie, di più autonomia».
E anche di passare al digitale, altro iter incagliato da  tempo.
«Contiamo di riuscire a  sbloccarlo».

15.01.2007 - La Repubblica

 

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