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1. La Qualità

La qualità è qui intesa in senso formale e in senso sostanziale nei significati più sotto pre-cisati. La qualità di una scuola, o meglio della formazione che essa fornisce, deve essere certificabile, sia come contenuti sia come metodo. E ciò è possibile se la scuola è struttu-ralmente adatta a questo compito, sia per organizzazione sia per approccio.

Per la certificabilità formale e sostanziale è necessario che ciò che viene impartito sia uni-vocamente riconoscibile sia come materiale utilizzato sia come metodo per la sua utilizza-zione sia come verifica del suo prodotto.

Il principio informatore per una scuola di qualità oggi, fermo restando il vincolo dell’ obbligo, è la massima flessibilità. Le ragioni che conducono a questa scelta sono le seguenti:

gli allievi della scuola media superiore iniziano il percorso di studi a 14 anni circa, e in generale non hanno un orientamento preciso, quindi devono avere la possibilità di cambiare rotta in itinere, via via che emergono la loro personalità e le loro attitudini;

a tutti deve essere data l’opportunità di iniziare il percorso e di terminarlo avendo qualcosa di certificato e di valido da offrire al mondo delle professioni e all’università;

perdere anni interi a causa di bocciature è cosa che non ha nulla di costruttivo; se è importante parlare di conoscenze di base e di competenze che devono essere acquisite e senza le quali non si può procedere, si deve tuttavia parlarne non tanto in termini di nozioni, quanto di capacità di operare professionalmente in un certo ambito. Per “operare” non si intende la mera manualità, che nell’era delle macchine non ha più molto senso, ma si intende l’agire consapevolmente e abilmente nell’ambito dell’attività scelta e il possedere le capacità di comunicazione in tale ambito e in senso più lato;1

non devono esservi ghettizzazioni di nessun tipo: la scuola deve far emergere i talenti dei singoli, pochi o tanti che siano, e orientarli al loro pieno sviluppo. Non esi-stono allievi di serie A e allievi di serie B. Non esistono attività di serie A e attività di serie B. Esistono lavori ben fatti e lavori mal fatti, e la dignità o meno sta nel fare bene o nel fare male il lavoro, quale che sia;

ritenere che i lavori “modesti” siano ormai destinati agli “extra-comunitari”, e quelli pregiati agli allievi “nostrani” più dotati – peraltro escludendo in tal modo i meno dotati sia dai lavori “modesti” sia dai lavori “pregiati” – significa generare emarginazione. Non senza osservare che gli “extra-comunitari”, perlomeno di seconda generazione, chiedono a loro volta formazione, e non certo di essere relegati a essere gli “schiavi” del terzo mil-lennio.

In sintesi, la scuola, perlomeno pubblica, deve offrire opportunità a tutti e non barriere e discriminazioni. Ma non per questo deve livellare. Deve dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno per mettere a frutto i propri talenti.2 Per sé e per la collettività.

Può essere invece una barriera autentica uno studio livellato, che cioè richiede a tutti le stesse identiche conoscenze, competenze, capacità, senza tener conto delle inclinazioni e arrivando a umiliare le eccellenze. È una barriera prima di tutto perché non può adattarsi alle esigenze delle varie realtà dei territori di cui il Paese è costituito, ma soprattutto perché delega poi alle professioni il compito di formare adeguatamente i diplomati/laureati, con un costo che in realtà era già stato pagato per mantenere i ragazzi a scuola per cinque anni di istituto superiore e altri cinque di università. È altamente inefficiente, anzi ingiusto, delegare alle imprese quello che è il compito istituzionale della scuola, anche considerati i costi che la scuola ha per la collettività. Inoltre le piccole e medie imprese non possono affrontare i costi della formazione senza perdere competitività.

Competitività, per le imprese di ogni dimensione, significa anche aggiornamento e formazione continua in vista della costante evoluzione della tecnologia, la quale influenza tutte le attività, anche quelle apparentemente più lontane dall’universo della tecnica – basti pensare ai computer e al software specialistico. A questo punto si apre un altro scenario e un altro aspetto dell’offerta formativa: la formazione a distanza e la formazione mista (in parte a distanza e in parte a scuola, per la parte sperimentale), e infine la formazione offerta alle imprese o ad altri enti (Regione ecc.) su programmi concordati con il committente. Questo tipo di formazione è rivolto non più solo a ragazzi in età scolare, ma ad adulti di tutte le età. Ed è un tipo di formazione che può produrre dei benefici per la scuola. La piccola e la media impresa, infatti, non possono sostenere il costo di una struttura per la formazione (personale e infrastrutture) per 365 giorni l’anno, ma possono prevedere molto più limitati costi periodici per la formazione continua. Questi costi potrebbero essere ricavi per la scuola, utili per il finanziamento delle sue iniziative e dei suoi beni strumentali, oltre che per retribuire i docenti interessati (che, per inciso, dovranno sempre autoaggiornarsi, il che è tutt’altro che negativo).

Un altro tipo d’utenza è quello delle imprese, con la loro necessità di formazione continua e la loro difficoltà economica, specie se sono medio-piccole, a sostenere a tempo pieno strutture per la formazione. Se il lavoratore delle imprese trova in rete corsi adeguati perlomeno di base, non solo non ha ostacoli contrattuali a ottenere il tempo lavorativo per seguirli, ma è incoraggiato a farlo. In prospettiva, l’esperienza di didattica multimediale porterà inoltre sicuramente a concordare programmi su misura per singole imprese, in collaborazione con i loro specialisti.


1. Inutile attivare qui la polemica sull’“era delle macchine”, che la filosofia tratta senza cavare un ragno dal buco da molti decenni. È un fatto che questa è la realtà che viviamo, e sarebbe ridicolo che la scuola media italiana (o un singolo istituto) si proponesse di cambiare la rotta del mondo. Cambiare qualcosa nel mondo della tecnica, peraltro, non è possibile se della tecnica non si ha il pieno possesso, ossia se non si ha proprio la competenza tecnica. Competenza che la filosofia non ha mostrato e non mostra di avere. In altre parole, per una critica fondata all’era della tecnica occorre avere anche la competenza tecnica, non solo guardarla nelle varie vetrine della tecnologia, spesso confondendo scienza e tecnologia.
2. È esperienza comune che alcuni ragazzi – dotati o no – tollerano bene di stare seduti sei ore a guardare la lavagna, mentre altri – dotati o no – non lo tollerano. Nessuno deve essere costretto a fare qualcosa che è contro la sua natura. Perciò la scuola deve offrire opportunità per entrambi. E con ciò i licei e la scuola tecnica non hanno più alcun motivo di essere i primi di serie A e la seconda di serie B, ma si distinguono solo per il carattere di chi sceglie, e non per il fatto che abbia più o meno talento. Se un ragazzo ha bisogno di sperimentare e cimentarsi, deve trovarne l’opportunità, se ha bisogno di stare curvo sui libri da mattina a sera, deve averne parimenti l’opportunità.

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