Presto tutto questo
brucerà…che futuro ci attende Oscar?
Questa tristezza
e questa angoscia mi assalito nel momento stesso che siamo saliti a cavallo
per far ritorno a Parigi.
Eppure l’incantesimo
di quei giorni sembrava non dovesse finire mai: svegliarmi con te accanto,
poter ammirare la tua pelle tremare lievemente sotto il mio tocco, vedere
i tuoi occhi aprirsi lentamente e cercare immediatamente i miei…”sì
sono qui.”
E poi…poi impotente
vedere quegli occhi disperati dinnanzi al quel crocicchio. Ti avrei seguito..lo
sai..ti avrei seguito verso Calais…sì imbarcarsi fuggire…ti avrei
seguito…Oscar…dovevi solo imboccare quella strada…chissà forse il
rimorso di quella scelta ti avrebbe portato ad odiarmi…rinunciare alla
tua famiglia, alle scelte che, invece, hai deciso comunque di voler prendere…hai
scelto di nuovo Parigi…hai scelto la strada più difficile…e forse
ti ho perso ugualmente…sono tuo marito ora…dovrei essere la persona a te
più vicina, invece sono quella che sfuggi di più…perché
Oscar? Perché?!
Hai voluto cavalcare
ininterrottamente fino a Parigi, in silenzio mi hai sfiorato i capelli
nella penombra delle stalle di palazzo Jarjayes…ed è come se mi
avessi detto addio…hai paura lo so…paura di quello che senti…ma non sei
sola…ho paura quanto te, forse di più…
La mattina mi svegliai
nel letto di quando ero ragazzo…una strana sensazione …per un momento ho
pensato che gli ultimi dieci giorni fossero stati il mio ultimo delirio
da ubriaco…mia moglie…tu mia moglie…vidi poi la sacca da viaggio gettata
in un angolo…tremando l’ho aperta…c’era…c’era…il certificato era lì…era
tutto vero…vederti dovevo vederti!…precipitandomi al piano inferiore senti
la voce di mia nonna sgridarmi “ma come…sei ancora qui!!! Non sei andato
in caserma con Madamigella!”
Come?…in caserma…eri
già tornata in caserma! Da quella mattina questa angoscia mi accompagna…siamo
tornati da Arras da quasi un mese…e ti sono nuovamente estraneo…e quello
che più mi lacera…Oscar…è vedere che tu sai perfettamente
quello che mi turba!
Perché?!
Saperti chiusa
in quello stramaledetto ufficio a girarti e rigirarti nelle tue paure,
quando ti basterebbe ricordare per un attimo… ricordare...la rosa che mi
donasti…
Andrè sentì
il brivido di gelide lacrime trafiggergli il cuore. Con la manica della
sua divisa si asciugò il volto, un gesto stanco e rassegnato. Si
mosse per tornare in caserma, nel luogo più vicino e più
distante da lei.
Lei lo aspettava dietro
la finestra del suo ufficio, lo aveva visto andare via insieme ai compagni
di camerata, non prima di aver rivolto l’ennesimo sguardo verso la sua
finestra, inchiodato in mezzo alla piazza d’armi. Solo in quei pochi momenti
lontano dai quegli occhi verdi riusciva a regalarsi un sorriso, nascosta
dalle tende, dal buio. Lo aspettava anche quella notte, attendeva che lui
si fermasse sotto la sua finestra, alzasse lo sguardo, con un gesto stanco
si levasse il berretto dell’uniforme, passandosi una mano fra i capelli
dolcemente mossi…era un rito che entrambi assolvevano. Quel tacito dialogo
che sapeva di famiglia e nostalgia, delicata tortura. Non avrebbe trovato
riposo se non dopo averlo visto rientrare, passava le sue notti così,
immaginando le lunghe peregrinazioni della mente del compagno, altrettanto
angosciato quanto lei, fra le decadenti vie della città. Quelle
notti chiusa fra quelle quattro pareti umide e ammuffite della caserma
vagava anche lei fra quelle strade, osservando i tetti della sua città,
immobili e tetri, sconsolata cercava ogni sera un tetto dal cui comignolo
di innalzasse una lingua di fumo, un segno di vita, o una finestra, fra
quelle case, illuminata, dalla quale spiare una famiglia, una madre che
rammendava un vestito, un marito che ravvivava il fuoco nel camino, un
bambino seduto al tavolo della cucina assorto a giocare con un orso di
pezza. Sperava che la vita continuasse in quelle case, che ci fosse una
speranza capace di riportarla al coraggio di quei giorni ad Arras, quando
tutto era semplice nella sua complicata novità, quando le decisioni
erano carezze fra amanti, le paure invece pochi attimi prima di trovare
rifugio nei suoi occhi. Ora stava lì immobile dietro quella finestra,
nessuna differenza fra lei e una statua di freddo marmo, senza vita. Dove
sbagliava, quando era tornata a chiudersi nel cristallo delle sue paure?
Perché ancora Parigi? Si girò verso il tavolo, tendendosi
per trovare ristoro nell’amaro del liquore, per far bruciare le sue viscere
prive del calore che ricordava invaderla stretta ad Andrè. Il lento
gesto di versare il liquido scuro nel bicchiere, la movenza sicura del
polso nel non far versare nemmeno una goccia, gesti di nobile uomo…lasciò
quel bicchiere dov’era, solitario fra le carte sul suo tavolo, prese la
bottiglia e bevve ingorda, fino a sentire il conato di rifiuto della sua
anima. Traditrice ancora e ancora, le mille promesse fatte vegliando il
corpo addormentato del suo uomo: non un giorno, non un momento da perdere
ancora…troppo tempo, troppa vita era passata lontano dalla felicità.
Moglie traditrice in un letto freddo, piangendo stretta ad un cuscino,
affondando il viso in una sua camicia rubata, per cercare il suo profumo.
In quell’inquietudine sentiva però la giustezza di quella parola…moglie…ma
percepiva anche l’incapacità nella definizione di…semplice. Cosa
nella sua vita era stato semplice fino ad allora? Non certo la sua infanzia,
il padre, il rapporto con la regina, gli obblighi, quella divisa, adesso
Parigi, il grido del popolo pronto alla rivoluzione..niente era mai stato
semplice, se non le parole, i mezzi sorrisi, i silenzi del suo Andrè…e
poi Arras, quella notte, quella firma sul registro cittadino…ed ora tutto
era tornato complicato, imperscrutabile. La paura che la inchiodava a un
passo, ad un solo, troppo lontano, passo dal suo angelo. Quella paura che
ora diventava rabbia disperata…uscì dall’ufficio sbattendo la porta.
Non voleva la sua dolcezza stanotte, voleva che lui la punisse con il suo
amore, che le schiaffeggiasse in faccia il desiderio della normalità.
Aspettò dietro il deposito delle armi che Andrè tornasse.
Sapeva che sarebbe stato l’ultimo a rientrare. Alain, Lasalle e gli altri,
poco più tardi, sfilarono barcollanti anelando di gettarsi nelle
camerate a smaltire l’ennesima sbornia. Poi lo vide…Andrè…camminare
lentamente a testa bassa verso il solito punto del piazzale, pronto al
suo rituale…
“Andrè…” un
sibilo fra la polvere alzata dal vento della notte.
Egli si voltò
sicuro.
“Oscar…che succede?”
Andrè ebbe
paura di quell’espressione dipinta sul suo viso, mentre con un passo la
donna si lasciò illuminare dalla luna feroce e piena nel cielo…occhi
fissi, vuoti, disperati.
“Seguimi”
Lei lo precedette
nel deposito delle armi, appena il tempo di richiudersi la porta alle spalle
che Andrè si trovò preso e strattonato per il bavero della
casacca, spinto verso il muro dalla violenza inattesa della sua Oscar…
“Ma che stai facendo?…”
Lei continuava imperterrita
a ringhiargli contro quegli occhi spenti e ghiacciati, a stringere disperata
il tessuto fino quasi a strapparlo…aspettava…
“Per l’amor di dio…Oscar…basta!”
l’uomo reagì, infine, bloccandole i polsi. Lei non si sottrasse
a quella prova di forza schiacciandolo contro il muro con tutto il suo
corpo…ancora…
“Basta…Oscar” la stretta
intorno ai polsi si fece dolorosa, tanto che lei dovette infine lasciare
il collo della divisa…ecco…così.
“No Andrè”
roca soffiò vicino alle sue labbra “no…non basta…come quella notte…tanto
tempo fa…dimmelo…una rosa è una rosa…ti prego”. Andrè annientato
da quelle parole allentò la presa, tornò indietro nel tempo…capì
cosa c’era dietro quella richiesta…doveva riportarla alla realtà,
liberarla…
Oscar lo guardava
attendendo la sua reazione, ma vide solo quei suoi occhi dallo stupore
ritrovare la dolcezza…no non la voleva quella comprensione…avrebbe passato
il limite pur di ottenere quello che sentiva di meritarsi…Andrè
doveva strappare le sue paure…seta bianca che le avvolgeva mente e cuore.
“Obbediscimi…Andrè”…gridò…”Fallo!”
Violentemente fu lei
a ritrovarsi spalle al muro, sovrastata e annientata dalla forza dell’uomo:
i polsi bloccati dietro la schiena nella stretta di una sola mano mentre
l’altra si insinuava rabbiosa fra le ciocche dei suoi capelli biondi, il
corpo pesante che la sfidava…non la guardò mentre le sue labbra
si accostarono al suo orecchio, sussurrando lascivo.
“E’ questo quello
che vuoi?…donna!…mhm?”
La pantomima, una
giostra impazzita…prede del desiderio, al limite fra estasi e baratro,
entrambi assecondavano un assurdo copione.
“Ti prego…ricordami
chi sono...dimmelo!” la sua voce strozzata fra i suoi capelli scuri.
Lentamente Andrè
lasciò liberi i suoi polsi, carezza si fece il suo tocco dietro
la nuca, sospiro la sua voce sulle labbra tremanti di quel demonio sofferente,
calore il corpo che la avvolse.
“Sei…la mia rosa…”
Dita lente e curiose
fra le labbra.
“…la mia donna…”
Corpo contro corpo,
danza di desiderio.
“…mia moglie…”
Cuore su cuore, dialogo
melodioso di vita.
“…Oscar…ecco chi sei!”.
E finalmente tornò
la luce in quegl’occhi, velati solo dal desiderio di essere presa, lì,
immediatamente, dal suo compagno. Febbricitante cominciò a sbottonargli
la divisa per ritrovare la sua pelle, dopo settimane di silenzi e terrorizzati
sguardi. Su quelle labbra prima serrate e arroganti tornò il disarmante
sorriso imbarazzato che chiedeva altre labbra. Andrè stentava quasi
a riconoscerla…gli mancò il fiato quando sentì quelle gelide
mani artigliarsi sulla sua pelle che urlava fuoco…
“No…Oscar…aspetta”
Parole tradite dal
doloroso desiderio che lei cercava spingendosi contro di lui…ma non voleva
ritrovare nella rabbia, nella frustrazione del dolore, il suo corpo…non
era giusto, tutto continuava a essere sbagliato.
Le prese il viso fra
le mani, cercando di fermare la tortura di quelle mani scatenate.
“Fermati…sei terribile…se
continui così…”
“Andrè…è
quello che voglio…”
Allora la baciò
con furia impedendole ogni reazione, ne violò le labbra ritrovando
il dolce sapore della bocca ed ella si fece sommergere dal calore di quell’assalto.
Si aggrappò a lui rispondendo avidamente prima di cedere alla dolcezza
che Andrè voleva imprimere al loro contatto, fino a riprendere fiato
l’uno nella bocca dell’altro, per poi rituffarsi nel tenero duello delle
loro bocche. Andrè prima di cedere completamente il poco autocontrollo
che sentiva di avere, fra piccoli assalti alle sue labbra, al mento, al
collo, sugli occhi cominciò a sussurrarle sulle labbra.
“Ascoltami…adesso.
Ora tu lascerai questa caserma, andrai a casa e lì mi aspetterai
fra due giorni” vide già le lacrime brillarle nell’azzurro degli
occhi.
“Sshhh… non avere
paura…io ti raggiungerò…faremo l’amore e cominceremo a vivere veramente.
Oscar…guardami. Io ti amo…ma così non ce la faccio: voglio svegliarmi
con te, addormentarmi con te. Non ti sto chiedendo di scegliere di lasciare
nulla, né la tua casa, né il comando, ma una cosa voglio
che tu abbandoni...la paura di vivere i tuoi sentimenti. Da quando siamo
tornati da Arras sei ricaduta nel tuo errore di sempre…ricorda quei giorni…ricorda
la felicità di essere libera, te stessa…ma non mi escludere più.
Hai capito? Quello che è successo stanotte non è la soluzione
più giusta. Non è il rimorso o il dolore a doverti spingere
da me…deve essere l’amore.”
Andrè continuò
a baciarla sul volto bevendo le lacrime e appena si accorse che fra i singhiozzi
stava per dirgli qualcosa posò l’indice sulle sue labbra delicate
e, ancora, stremate dai baci di qualche attimo prima.
“No...non lo dire…non
ti devi scusare...lo sapevo in fondo che avrei sposato un donna complicata,
orgogliosa…e meravigliosamente passionale…”
Sorridendo le diede
un buffetto sulla guancia.
Sciolse l’abbraccio.
“Vai adesso…due giorni…intesi!”
Oscar si diresse verso
la porta dell’armeria, ma prima di aprirla tornò indietro…ancora
un bacio.
“Ti amo Andrè…due
giorni…ti aspetterò…”
Gli accarezzò
il volto. “Marito…”
E andò via.
Mik