N.d.A. e W. Il contenuto della storia vi sarà di più facile comprensione, dopo aver letto il "Prologo".  Ringraziamo inoltre Laura Luzi per lo splendido disegno.
 
"Anello, spada, ventaglio"
 
 L’anello - parte 1
 
Lo sguardo del soldato si perdeva da ore nel buio fluire della Senna. Ogni suo pensiero era fuso ritmicamente con lo sciabordio delle tremule onde che si frangevano, quasi metodicamente, lungo le fiancate di una vecchia barcaccia, ancorata sotto uno dei tanti ponti di Parigi. L’uomo non avrebbe saputo dire dove si trovasse esattamente, aveva lasciato da un pezzo il percorso del solito giro di ronda. Alain lo aveva lasciato già mezzo sbronzo nella locanda vicino alla caserma. Era tranquillo di camminare fra le vie di una città, che sembrava, in quei giorni, una bestia addormentata in attesa di scagliarsi sulla sua preda, fiera di ricchi smalti e marmi, a pochi chilometri da quelle vie.
Parigi addormentata nella notte: no..no..non era più la bella e gaia città degli anni passati…Andrè osservava quel grande fiume che attraversava la sua città…la Senna ora appariva come un serpente fetido e malato, che accoglieva le immondizie di una nazione dimentica del suo popolo.Sentì poi il rintocco del campanile di Notre Dame…cupo e lontano, come il lamento dei vecchi.Andrè fu assalito dai tutti quei suoni reali o fantasiosi che fossero: lo sbattere delle onde lungo la barcaccia…mani nere che tentavano di scampare al fetore della morte; le campane che segnavano le tre…i battiti di un cuore che sempre più lentamente arrancava fino al giorno successivo; lo scricchiolio delle case fradice di povertà e fame…il tacchettare delle puttane che inseguivano le carrozze di velluto…il tintinnio dei calici di Versailles…il fiato trattenuto prima dell’urlo…

Presto tutto questo brucerà…che futuro ci attende Oscar?
Questa tristezza e questa angoscia mi assalito nel momento stesso che siamo saliti a cavallo per far ritorno a Parigi.
Eppure l’incantesimo di quei giorni sembrava non dovesse finire mai: svegliarmi con te accanto, poter ammirare la tua pelle tremare lievemente sotto il mio tocco, vedere i tuoi occhi aprirsi lentamente e cercare immediatamente i miei…”sì sono qui.”
E poi…poi impotente vedere quegli occhi disperati dinnanzi al quel crocicchio. Ti avrei seguito..lo sai..ti avrei seguito verso Calais…sì imbarcarsi fuggire…ti avrei seguito…Oscar…dovevi solo imboccare quella strada…chissà forse il rimorso di quella scelta ti avrebbe portato ad odiarmi…rinunciare alla tua famiglia, alle scelte che, invece, hai deciso comunque di voler prendere…hai scelto di nuovo Parigi…hai scelto la strada più difficile…e forse ti ho perso ugualmente…sono tuo marito ora…dovrei essere la persona a te più vicina, invece sono quella che sfuggi di più…perché Oscar? Perché?!
Hai voluto cavalcare ininterrottamente fino a Parigi, in silenzio mi hai sfiorato i capelli nella penombra delle stalle di palazzo Jarjayes…ed è come se mi avessi detto addio…hai paura lo so…paura di quello che senti…ma non sei sola…ho paura quanto te, forse di più…
La mattina mi svegliai nel letto di quando ero ragazzo…una strana sensazione …per un momento ho pensato che gli ultimi dieci giorni fossero stati il mio ultimo delirio da ubriaco…mia moglie…tu mia moglie…vidi poi la sacca da viaggio gettata in un angolo…tremando l’ho aperta…c’era…c’era…il certificato era lì…era tutto vero…vederti dovevo vederti!…precipitandomi al piano inferiore senti la voce di mia nonna sgridarmi “ma come…sei ancora qui!!! Non sei andato in caserma con Madamigella!”
Come?…in caserma…eri già tornata in caserma! Da quella mattina questa angoscia mi accompagna…siamo tornati da Arras da quasi un mese…e ti sono nuovamente estraneo…e quello che più mi lacera…Oscar…è vedere che tu sai perfettamente quello che mi turba!
Perché?!
Saperti chiusa in quello stramaledetto ufficio a girarti e rigirarti nelle tue paure, quando ti basterebbe ricordare per un attimo… ricordare...la rosa che mi donasti…

Andrè sentì il brivido di gelide lacrime trafiggergli il cuore. Con la manica della sua divisa si asciugò il volto, un gesto stanco e rassegnato. Si mosse per tornare in caserma, nel luogo più vicino e più distante da lei.
Lei lo aspettava dietro la finestra del suo ufficio, lo aveva visto andare via insieme ai compagni di camerata, non prima di aver rivolto l’ennesimo sguardo verso la sua finestra, inchiodato in mezzo alla piazza d’armi. Solo in quei pochi momenti lontano dai quegli occhi verdi riusciva a regalarsi un sorriso, nascosta dalle tende, dal buio. Lo aspettava anche quella notte, attendeva che lui si fermasse sotto la sua finestra, alzasse lo sguardo, con un gesto stanco si levasse il berretto dell’uniforme, passandosi una mano fra i capelli dolcemente mossi…era un rito che entrambi assolvevano. Quel tacito dialogo che sapeva di famiglia e nostalgia, delicata tortura. Non avrebbe trovato riposo se non dopo averlo visto rientrare, passava le sue notti così, immaginando le lunghe peregrinazioni della mente del compagno, altrettanto angosciato quanto lei, fra le decadenti vie della città. Quelle notti chiusa fra quelle quattro pareti umide e ammuffite della caserma vagava anche lei fra quelle strade, osservando i tetti della sua città, immobili e tetri, sconsolata cercava ogni sera un tetto dal cui comignolo di innalzasse una lingua di fumo, un segno di vita, o una finestra, fra quelle case, illuminata, dalla quale spiare una famiglia, una madre che rammendava un vestito, un marito che ravvivava il fuoco nel camino, un bambino seduto al tavolo della cucina assorto a giocare con un orso di pezza. Sperava che la vita continuasse in quelle case, che ci fosse una speranza capace di riportarla al coraggio di quei giorni ad Arras, quando tutto era semplice nella sua complicata novità, quando le decisioni erano carezze fra amanti, le paure invece pochi attimi prima di trovare rifugio nei suoi occhi. Ora stava lì immobile dietro quella finestra, nessuna differenza fra lei e una statua di freddo marmo, senza vita. Dove sbagliava, quando era tornata a chiudersi nel cristallo delle sue paure? Perché ancora Parigi? Si girò verso il tavolo, tendendosi per trovare ristoro nell’amaro del liquore, per far bruciare le sue viscere prive del calore che ricordava invaderla stretta ad Andrè. Il lento gesto di versare il liquido scuro nel bicchiere, la movenza sicura del polso nel non far versare nemmeno una goccia, gesti di nobile uomo…lasciò quel bicchiere dov’era, solitario fra le carte sul suo tavolo, prese la bottiglia e bevve ingorda, fino a sentire il conato di rifiuto della sua anima. Traditrice ancora e ancora, le mille promesse fatte vegliando il corpo addormentato del suo uomo: non un giorno, non un momento da perdere ancora…troppo tempo, troppa vita era passata lontano dalla felicità. Moglie traditrice in un letto freddo, piangendo stretta ad un cuscino, affondando il viso in una sua camicia rubata, per cercare il suo profumo. In quell’inquietudine sentiva però la giustezza di quella parola…moglie…ma percepiva anche l’incapacità nella definizione di…semplice. Cosa nella sua vita era stato semplice fino ad allora? Non certo la sua infanzia, il padre, il rapporto con la regina, gli obblighi, quella divisa, adesso Parigi, il grido del popolo pronto alla rivoluzione..niente era mai stato semplice, se non le parole, i mezzi sorrisi, i silenzi del suo Andrè…e poi Arras, quella notte, quella firma sul registro cittadino…ed ora tutto era tornato complicato, imperscrutabile. La paura che la inchiodava a un passo, ad un solo, troppo lontano, passo dal suo angelo. Quella paura che ora diventava rabbia disperata…uscì dall’ufficio sbattendo la porta. Non voleva la sua dolcezza stanotte, voleva che lui la punisse con il suo amore, che le schiaffeggiasse in faccia il desiderio della normalità. Aspettò dietro il deposito delle armi che Andrè tornasse. Sapeva che sarebbe stato l’ultimo a rientrare. Alain, Lasalle e gli altri, poco più tardi, sfilarono barcollanti anelando di gettarsi nelle camerate a smaltire l’ennesima sbornia. Poi lo vide…Andrè…camminare lentamente a testa bassa verso il solito punto del piazzale, pronto al suo rituale…
“Andrè…” un sibilo fra la polvere alzata dal vento della notte.
Egli si voltò sicuro.
“Oscar…che succede?”
Andrè ebbe paura di quell’espressione dipinta sul suo viso, mentre con un passo la donna si lasciò illuminare dalla luna feroce e piena nel cielo…occhi fissi, vuoti, disperati.
“Seguimi”
Lei lo precedette nel deposito delle armi, appena il tempo di richiudersi la porta alle spalle che Andrè si trovò preso e strattonato per il bavero della casacca, spinto verso il muro dalla violenza inattesa della sua Oscar…
“Ma che stai facendo?…”
Lei continuava imperterrita a ringhiargli contro quegli occhi spenti e ghiacciati, a stringere disperata il tessuto fino quasi a strapparlo…aspettava…
“Per l’amor di dio…Oscar…basta!” l’uomo reagì, infine, bloccandole i polsi. Lei non si sottrasse a quella prova di forza schiacciandolo contro il muro con tutto il suo corpo…ancora…
“Basta…Oscar” la stretta intorno ai polsi si fece dolorosa, tanto che lei dovette infine lasciare il collo della divisa…ecco…così.
“No Andrè” roca soffiò vicino alle sue labbra “no…non basta…come quella notte…tanto tempo fa…dimmelo…una rosa è una rosa…ti prego”. Andrè annientato da quelle parole allentò la presa, tornò indietro nel tempo…capì cosa c’era dietro quella richiesta…doveva riportarla alla realtà, liberarla…
Oscar lo guardava attendendo la sua reazione, ma vide solo quei suoi occhi dallo stupore ritrovare la dolcezza…no non la voleva quella comprensione…avrebbe passato il limite pur di ottenere quello che sentiva di meritarsi…Andrè doveva strappare le sue paure…seta bianca che le avvolgeva mente e cuore.
“Obbediscimi…Andrè”…gridò…”Fallo!”
Violentemente fu lei a ritrovarsi spalle al muro, sovrastata e annientata dalla forza dell’uomo: i polsi bloccati dietro la schiena nella stretta di una sola mano mentre l’altra si insinuava rabbiosa fra le ciocche dei suoi capelli biondi, il corpo pesante che la sfidava…non la guardò mentre le sue labbra si accostarono al suo orecchio, sussurrando lascivo.
“E’ questo quello che vuoi?…donna!…mhm?”
La pantomima, una giostra impazzita…prede del desiderio, al limite fra estasi e baratro, entrambi assecondavano un assurdo copione.
“Ti prego…ricordami chi sono...dimmelo!” la sua  voce strozzata fra i suoi capelli scuri.
Lentamente Andrè lasciò liberi i suoi polsi, carezza si fece il suo tocco dietro la nuca, sospiro la sua voce sulle labbra tremanti di quel demonio sofferente, calore il corpo che la avvolse.
“Sei…la mia rosa…”
Dita lente e curiose fra le labbra.
“…la mia donna…”
Corpo contro corpo, danza di desiderio.
“…mia moglie…”
Cuore su cuore, dialogo melodioso di vita.
“…Oscar…ecco chi sei!”.
E finalmente tornò la luce in quegl’occhi, velati solo dal desiderio di essere presa, lì, immediatamente, dal suo compagno. Febbricitante cominciò a sbottonargli la divisa per ritrovare la sua pelle, dopo settimane di silenzi e terrorizzati sguardi. Su quelle labbra prima serrate e arroganti tornò il disarmante sorriso imbarazzato che chiedeva altre labbra. Andrè stentava quasi a riconoscerla…gli mancò il fiato quando sentì quelle gelide mani artigliarsi sulla sua pelle che urlava fuoco…
“No…Oscar…aspetta”
Parole tradite dal doloroso desiderio che lei cercava spingendosi contro di lui…ma non voleva ritrovare nella rabbia, nella frustrazione del dolore, il suo corpo…non era giusto, tutto continuava a essere sbagliato.
Le prese il viso fra le mani, cercando di fermare la tortura di quelle mani scatenate.
“Fermati…sei terribile…se continui così…”
“Andrè…è quello che voglio…”
Allora la baciò con furia impedendole ogni reazione, ne violò le labbra ritrovando il dolce sapore della bocca ed ella si fece sommergere dal calore di quell’assalto. Si aggrappò a lui rispondendo avidamente prima di cedere alla dolcezza che Andrè voleva imprimere al loro contatto, fino a riprendere fiato l’uno nella bocca dell’altro, per poi rituffarsi nel tenero duello delle loro bocche. Andrè prima di cedere completamente il poco autocontrollo che sentiva di avere, fra piccoli assalti alle sue labbra, al mento, al collo, sugli occhi cominciò a sussurrarle sulle labbra.
“Ascoltami…adesso. Ora tu lascerai questa caserma, andrai a casa e lì mi aspetterai fra due giorni” vide già le lacrime brillarle nell’azzurro degli occhi.
“Sshhh… non avere paura…io ti raggiungerò…faremo l’amore e cominceremo a vivere veramente. Oscar…guardami. Io ti amo…ma così non ce la faccio: voglio svegliarmi con te, addormentarmi con te. Non ti sto chiedendo di scegliere di lasciare nulla, né la tua casa, né il comando, ma una cosa voglio che tu abbandoni...la paura di vivere i tuoi sentimenti. Da quando siamo tornati da Arras sei ricaduta nel tuo errore di sempre…ricorda quei giorni…ricorda la felicità di essere libera, te stessa…ma non mi escludere più. Hai capito? Quello che è successo stanotte non è la soluzione più giusta. Non è il rimorso o il dolore a doverti spingere da me…deve essere l’amore.”
Andrè continuò a baciarla sul volto bevendo le lacrime e appena si accorse che fra i singhiozzi stava per dirgli qualcosa posò l’indice sulle sue labbra delicate e, ancora, stremate dai baci di qualche attimo prima.
“No...non lo dire…non ti devi scusare...lo sapevo in fondo che avrei sposato un donna complicata, orgogliosa…e meravigliosamente passionale…”
Sorridendo le diede un buffetto sulla guancia.
Sciolse l’abbraccio.
“Vai adesso…due giorni…intesi!”
Oscar si diresse verso la porta dell’armeria, ma prima di aprirla tornò indietro…ancora un bacio.
“Ti amo Andrè…due giorni…ti aspetterò…”
Gli accarezzò il volto. “Marito…”
E andò via.

                                                                                                                                Mik
 

 
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