Spigolature storiche su Locorotondo
 
prof. Angelo Custodero
 
tratto dal giornale "LA RAZZIA",Supplemento letterario, ANNO I. numero 6 , Locorotondo 31 Agosto 1918
 
 
Della storia di Locorotondo finora nessuno, che io sappia, si e' occupato in modo particolare; eppure, dato il crescendo sviluppo e il promettente avvenire della città, sarebbe ormai tempo che qualcuno dci suoi meno irrequieti figli si desse a raccogliere amorosamente le reliquie del passato sparse qua e là negli archivi pubblici e privati e nelle opere a stampa con tranquillo, sereno, ma assiduo lavoro di anni. Di tali modesti cultori di storia locale non c' e' quasi città pugliese che non abbia e non abbia avuti i suoi; anzi la loro ricca fioritura e stata forse ben indicata come una nota caratteristica della nostra gente, che certo in nessuna fra le discipline letterarie si e così saldamente affermata come nella storia, con larga e varia produzione, sia individuale che collettiva e periodica.

Tra le carte che il mio rimpianto compaesano ed amico Sac. Giuseppe Sampietro, studioso quanto altri mai appassionato e diligente di memorie fasanesi, mi affidava, pochi giorni prima di morire, come il suo migliore retaggio, ho racimolato alcune brevi notizie intorno a Locorotondo, che per quanto scarse e slegate fra di loro, pur tuttavia possono non essere del tutto inutili a chi voglia condurre ulteriori e più ampie ricerche.

Per rintracciare le prime dirette testimonianze della vita delle nostre città, siamo obbligati, generalmente parlando, a risalire verso il secolo XI e giù di lì, quando con la conquista normanna fu dato alla nostra regione stabile assetto politico e sociale, e furono fondate o consolidate quelle istituzioni feudali ed ecclesiastiche durate vigorose fino a ieri e i cui titoli, conservati perciò gelosamente fino ai nostri giorni, ci sono quasi unica luce per diradare le tenebre di quei tempi.

La vittoria dei Normanni non ebbe solo importanza politica, in quanto abbatte i domini longobardi, greci e saraceni, ma anche doppiamente religiosa; perch& non solo segnò, in genere, il trionfo definitivo in Italia del cristianesimo sull’islamismo, ma anche, in ispecie, della Chiesa latina sulla greca. Di qui la necessità politica da cui furono indotti i Normanni a favorire in ogni modo il cle­ro latino, per sopraffare l’influenza esercitata precedentemente dal clero greco, ch’era un’emanazione dell’impero Bizantino. Di qui il pullulare di uno stragranre numero di diocesi per soddisfare le amhizioneelle di ogni borgata; accreseiuti i privilegi e le ricchezze alle chiese. Ma fra le istituzioni ecclesiastiche nessuna, meglio delle monastiche, rette e disciplinate quasi militarmente, C in grado di rispondere a una finalità politica: donde il nuovo e largo incremento dell’ordine Benedettino, contrapposto allo ordine Basiliano di origine Greca.

Goffredo, conte di Conversano e dominatore di Monopoli, nipote di Roberto Guiscardo, fondava, nel 1086 la badia benedettina di S. Stefano presso Monopoli, e la dotava riccamente, donandole il Castello di Purignano, il casale di Casaboli, in diocesi di Conversano, e i Casali di S. Maria di Faiano, Castro, Pozzafacete, S. Giorgio, Menatico e S. Ilario. L’atto autentico di fondazione e di dotazione non e giunto fino a noi, ma trovasi compreso e trascritto nel privilegio di Boemondo I (V. Archivio comunale di Putignano), e per memoria ai posteri fu scolpito in una lapide al lato all’altare nella Chiesa di S. Stefano, che se ora e' illegibile, e' stata però riportata dal Tarsia senior (Hist. Cupers.) dall’Ughelli (Ist. Sacra) e dal Gioia (Conf. sul Comune di Noci).

(Locorotondo in una mappa del 1810 appartenuta al duca di Martina Franca, Petracone VII)

 
Questa fu, diremo così, l’investitura temporale; ma Goffredo, per dare maggior lustro e dignità alla badia, ottenne a favore di essa, da parte dei Vescovi di Conversano e di Monopoli, la cessione della giurisdizione spirituale sui casali che la badia possedeva nelle rispettive diocesi (V. Tausi, Hist, chronolog. Monast. S. Micb. Arch. Lubin, Abbat It.). Di codesti casali S. Maria di Faiano corrisponde alla moderna Fasano; di Casabolo e di Castro si ricorda solo il sito, l’uno presso Noci, l’altro nel territorio di Fasano, ma nulla si sa dire di Venetico e di S. Ilario. «In ordine poi al casale S. Giorgio, scrisse il Sampietro, ho opinione abbastanza fondata ch’esso fosse Locorotondo. Questo Casale, che nelle antiche carte trovasi designato or col nome di Locorotondo ed ora con quello di Casale Rotondo, da documenti dell’Archivio di Stato di Napoli e di altri che vedremo, risulta che anticamente era di dominio di S. Stefano. La Chiesa della sua parrocchia era, come e' oggi, dedicata a S. Giorgio, onde molto probabilmente Locorotondo nella lapide di S. Stefano, invece che col proprio nome, venne indicato col nome del suo Santo Titolare.»

Questo sarebbe, chiamiamolo così, l’atto di nascita di Locorotondo, che allora non doveva essere più di un po­vero villaggio di contadini appollaiato sulla cima tondeggiante della collina, dalla cui forma o piuttosto da quella del suo circuito, prese il nome che gli e' rimasto. Locus come vicus, pagus, nelle antiche carte ha significato affine a casale, luogo abitato; ma ormai nella voce dialettale moderna (U’ Curdunno) non sopravvive che il suono semplice della parola originaria, essendosi perduta in essa ogni traccia di un significato qualunque, sia perche' loco o luogo ora non vuol dir più casale, sia perche rotondo non esiste più nel dialetto, sostituito da tondo, o meglio tunno; onde il Lo della parola Locorotondo, mentre funge da articolo (U’) avanti a un nome strano (Corotondo — Curdunno) sparisce naturalmente avanti all’aggettivo tratto dal nome (curdunnese)

 
Ma.., la via lunga ne sospinge; sicche facciamo un salto di circa un secolo, fino al 1179, nel quale anno, con bolla del 19 Aprile, il papa della Lega Lombarda, Alessandro III (V. Ughelli e Lubin, ibid.) conferma all’altra badia benedettina di S. Giovanni di Faiano le giurisdizioni e i possedimenti già precedentemente goduti, e tra gli altri la chiesa di S. Maria Maddalena col suo casale Funiano o Cignano, i suoi uomini e i suoi tenimenti, il luogo detto Cerdaniano, con le vigne e tutte le sue pertinenze. e le ter­re nel luogo detto Trito. Dalla lettura della carta si rileva che tali donazioni dovettero essere fatte prima del 1118 dal conte di Conversano Roberto, figlio di Goffredo. Dove era il casale Funiano o Cignano?Nelle allegazioni prodotte dalla Mensa vescovile di Monopoli e l’università e cittadini di Fasano in ordine alle liti secolari circa il diritto della quindecima nel fondo diS. Giovanni delle fòsse o di Faiano, trovasi accennato come parte di quel feudo il luogo situato in agro di Locorotondo, detto S. Marco ai monti, su cui infatti i vescovi di Monopoli esercitarono giurisdizione, riscuotendo la quindecima sull' olio e la decima sulle vettovaglie, fino a che furono abolite le feudalità nel 1810 (V. Bollettino Comm. feud., voI. II pag. 768, n. 172). Sappiamo infatti che con bolla di Bonifacio IX dell 1392, tra le altre chiese abbaziali era stata concessa ai vescovi di Monopoli quella di S. Giovanni di Faiano con tutti i beni annessi, e naturalmente anche col casale di S. Maria Maddalena di Cignano. dove poi essendo sorta poco prima del 1678 una chiesa intitolata a S. Marco, questo nome prevalse, ma non fece dimenticare l’antico, che e' rimasto alla contrada (la Maddalena, Matalina) e il culto della santa sempre costante.

Fondamenti di case, scheletri umani ivi ritrovati fanno sufficiente testimonianza che lì vi era un casale. Accanto alla chiesa vi e' tuttora una grandissima cisterna fatta costruire dal vescovo di Monopoli Ottaviano. Dove era Cerdiniano? Suppongo che fosse presso S.. Marco suo luogo ora detto Citrignano, ma non saprei giurarei sopra. Il luogo detto Trito non ha bisogno di identificazione per chi e' di Loeorotondo. Anche la chiesa di S. Nicola di Cisternino col proprio casale, fu confermata ai vescovi di Monopoli dallo stesso papa Alessandro II con bolla del 1180.

Di un altro monastero benedettino troviamo menzione nel Chartalarium del Morea (anno 1191,13 dic; anno 1208, aprile) e prendeva nome di S. Pantaleone.

Dove era? Il Sampietro, contrariamente al Morca che lo ritiene esistito dentro la città di Monopoli, dove invece nessuna tradizione ce lo ricorda, sostiene con piena ragione che esso sorgesse sul monte Laureto, nell’altipiano, e propriamente ov ‘e' la casina della tenuta detta Pantaleo o Pantaleno. Ivi e' un’antica chiesetta, unica in tutte queste contrade, dedicata a S. Pantaleone; ivi, alle spalle della chiesetta, nell’attuale vigneto, non e' molto, si scoprì un ossario completo; ivi molti pozzi e sul piazzale fondamenti di case; insomma i segni più evidenti d’un antico abitato distrutto... In parecchi antichi atlanti e in un vecchio manoscritto, che il Morca medesimo mostrò al Sampietro, si trova appunto in quel sito indicato un casale di nome Lauretello; in cui dovette esistere il monastero di S. Pantoleone, priorato alla dipendenza della Badia di S. Stefano di Monopoli.

Non possiamo rilevare a qual grado di sviluppo fossero giunti allora i nostri paeselli, perche nella ripartizione della nuova tassa, introdotta da Carlo I d’Angiò nel 1276, detta di sovvenzione generale, proporzionata al numero della popolazione (specie di tassa di fòcatico) ci giova ben poco il sapere che Locorotondo pagava tari' e grana 3, mentre S. Maria de Faiano (Fasano) e Castro (ora scomparso) pagavano ciascuno tarì 16 e grani 17, quando non ci e' noto il numero della popolazione esente da imposte: poveri, chierici e altri. Solo e' notevole che, tra i 52 comuni della Terra di Bari, di cui il maggiore era Barletta, che era tassata per once 280 e tari 18, e Bari per once 170, tari' 14 e grana 10, Cistcrnino ed altri non compariscono affatto, il che ci dimostrerebbe che nel 1276 non avessero personalità propria.

Altre sparse notizie possiamo spigolare: così dai Registri angioini del G. Archivio di Stato di Napoli (N. 154, f .77) risulta che alcuni cittadini dei casali di S. Maria di Fasano, Castro, Casabole e Locorotondo, per sottrarsi ai servizi personali di vassallaggio da loro dovuti alla badia di S. Stefano, si erano trasferiti sulle città e terre del giustizierato di Taranto; e che il re Carlo II ordinò che tornassero nei loro paesi, ma dubitiamo assai che fosse obbedito perche Filippo, principe di Taranto, figlio di Carlo Il medesimo, assaliva ripetutamente i beni della Badia di Santo Stefano, situati sul territorio di Locorotondo, asportandone il bestiame, il ricolto, nonostante le proteste dei monaci che ricorrevano al re e ne ottenevano protezione. (Reg. Ang. 145, f 230).

 
Ma la Badia di S. Stefano, decaduta per le turpitudini dei frati, come altri monasteri benedettini, precedentemente, divenne nell 1314 una dipendenza dell’ordine religioso militare di S. Giovanni di Gerusalemme, ossia dei Cavalieri detti prima di Rodi e poi di Malta, ai quali con bolla di Giovanni XXII del 1317 furono confermati tutti i diritti, possedimenti, casali, ville, chiese e beni appartenuti all’ordine benedettino. S. Stefano, messo tra due piccoli porti, era luogo adattissimo per le comunicazioni e i traffici coll’Oriente, dove era la sede degli Ospitalieri gerosolimitani. Così fu eretta la Commenda di S. Stefano, che aveva suoi procuratori in Putignano, Fasano, Castro, Casabole e Locorotondo, per esigerne i diritti che le spettavano. Ma i Commendatori di S. Stefano non furono più fortunati dei monaci, perche' ebbero noie e molestie e persecuzioni continue dal famoso Gualtieri di Brienne, Duca d’Atene, non che conte di Lecce, Conversano ecc., il quale cercò di ammettere ai suoi dominii Putignano, Locorotondo, Casabole, con vessazioni e devastazioni d’ogni maniera, nonoscante che il Re Roberto V e la regina Giovanna I tentassero d’impedirglielo con ripetute ordinanze. (Reg. Ang. 1332, 1342, 1343).

Nella guerra tra Luigi d’Ungheria e Giovanna I, nel 1348, le terre suddette furono senza dubbio tenute dal Duca di Atene, il quale poi, nel 1358, drovandosi in punto di morte, mosso dallo stimolo e dal rimorso di aver usurpato e tenuto le terre e i castelli di Putignano e di Casaboli, ordinò nel suo testamento, che i suoi eredi li restituissero insieme coi frutti che aveva percepiti da essi e dal casale di Bitonto. E così fu fatto. (V. Bovio, Storia de’ Cav. di Malta, lib. III £77).

E’ noto che dopo la cacciata di Carlo VIII, la Repubblica di Venezia ottenne dal re di Napoli il dominio su Monopoli, Polignano e altre citta' litorali. Ora i governatori Veneziani mandati a Monopoli ritenevano che Santo Stefano con tutti i casali dipendenti, appartenesse de jure a Monopoli e quindi alla Signoria di Venezia. Di qui grandi litigi tra il detto governatore e il bali (la commenda era diventata baliaggio) di S. Stefano, che in quel tempo era Fra Alessandro Carafa; e dall’una e dall’altra parte atti di aperta ostilita. Due uomini di Locorotondo, soggetti per conseguenza al Carafa, si erano stabiliti in Monopoli e resi vassalli di Venezia. Il Bali con credenziali del re Federico chiede i due uomini al governatore Toma Lione, il quale si rifiuta, dicendo "essere costume della Signoria che chiunque andasse ad abitare nelle sue terre, fosse il ben venuto". Altre notizie staccate, che pur avrebbero bisogno di essere completate, tralascio per brevita', e mi limito ad accennare all’aspra lite più volte secolare, che si accese tra l’Universita' e i cittadini di Monopoli, da una parte, e gli abitanti, dall’altra, delle terre di Martina e di Castellana, dei castelli di Putignano. di Cisternino, di Locorotondo, del casale Fagiano (Fasano) e degli altri luoghi vicini. Gli abitanti di questi piccoli comuni avevano ottenuto dai precedenti re di Sicilia e da altri dominanti, comunita' di pascolo e di acque nel territorio di Monopoli, col diritto di pernottarvi. Pero' l' universita e i cittadini di Monopoli, mal soffrendo tutto questo, che per essi costituiva una servitù, ed era causa di frequenti e gravi danni, nel regno dei Durazzesi, si fecero innanzi al real trono , e chiesero al proposito i necessari provvedimenti. Esposero che la voluta comunita' di pascolo e di acqua era limitata e ristretta unicamente al loro territorio al di sopra dei monti. ove i luoghi erano deserti e sterili, e non comprendeva la marittima (la marina), ove erano oliveti e frutteti, per cui pagavano annui pesi superiori ai loro mezzi. Esposero pure che gli abitanti di Martina, di Locorotondo e degli altri luoghi vicini, abusando di questa pretesa comunità dii pascolo. frequentemente immettevano animali a pascolare nei loro oliveti, anche nel tempo del frutto pendente... Margherita di Durazzo, vedova del re Carlo e reggente in nome del figlio Ladislao, proibi' nel 1836 le comunita' del pascolo nelle marine durante la raccolta delle olive; ma invano, e Ladislao, i1 25 agosto 1412, ripetette le ordinanze; e finalmente Giovanna II l' 18 agosto 1424, aboliva ogni qualsiasi diritto cli comunita' di pascolo nella marina. Ma questo decreto invece di spegnere la lite, la riaccese con maggiore veemenza nei secoli successivi fino a che stanchi, credo, dall’una e dall altra parte. fu riconosciuto il fatto compiuto, ritenendosi ciascun Cornune il territorio occupato a ragione o a torto.

Un altro atto importante per la delimitazione del territorio fu stipulato nel 1566: la Regia Camera, possedendo una vasta estensione demaniale di 12 dei monti che confinano con la citta' di Monopoli e con le terre cli Fasano. Cisternino, Locorotondo, Martina e Castellana, dei quali comuni erano state fatte varie usurpazioni, vendette loro tutto quel territorio per 16000 ducati, con tutti i diritti inerenti, ripartendolo in proporzione del numero dei fuochi. (Memoria a stampa, senza firma dell’estensore e intitolata; "Ragioni per l’Uniiversità diFasano, nella Causa con la città e Regia Dogana di Monopoli nella Real Sopraintendenza anno 1772).

Cosi in tre o quattro salti siamo passati dal secolo XI a XVIII.

Ma quante e quali lacune da colmare! E ancora bisognerebbe illustrare la parte che prese Locorotondo agli avvenimenti dell 1799, del ‘20, del ‘48, del ‘60, e seguire il moto ascendente delle sue prosperità.

Ma non e' questo un onore e un diritto che spetta esclusivamente a chi e' stato battezzato nella parrocchia di S. Giorgio e cresciuto sotto la protezione di S. Rocco? Ormai i limiti dei territori dei comuni vicini sono nettamente distinti, e Dio mi guardi che, nel secolo XX, io tenti di violarne i confini!

Se non che sarei ingiusto, se, dopo aver sufficientemente annoiato il lettore con queste aride notizie nell’antico feudo benedettino e gerosolimitano, non ricordassi l’uomo che primo l’onorò col suo ingegno e volle scrive­re il nome della sua patria in fronte alla sua opera:

Antonio Bruno, di Loco Rotondo nella provincia di Lecce ,Medico stampò in Latino l’Entelechie, seu de quinta natura, et animae immortalitate Disputalion Neapoli apud Haerede Matthiae Caucer 1587, cum titulo Antonii Bruni Rotundensis, arlium et medicinae docioris.

Medico e soprattutto, conforme all’ indole della nostra gente, filosofo, partecipe di quel glorioso movimento del pensiero meridionale ch’ebbe i suoi tipici rappresentanti nei grandi contemporanei; l’omonimo Bruno di Noia, Telesio, Campanella e il corregionale Vanini.

Non so se Locorotondo, verso il suo illustre tiglio, che volle riportare in fronte alla sua opera il nome del suo umile paese nativo, si sia ora sdebitato, incidendo su di una pietra il nome di lui.

Ecco quando ho potuto spigolare tra le memorie del Sampietro; ben poco, lo so; ma se fosse sufficiente a invogliare qualche colta persona della simpatica cittadina a fare (deposita tandem formidine pastis) di più e meglio, sarebbero appieno compensate la gran fatica di chi le accolse e la piccola di chi le ha copiate.

Prof ANGELO CUSTODERO, anno 1918

 
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