L'ATTREZZATURA SUBACQUEA

Vediamo in dettaglio le principali caratteristiche dei vari componenti dell'attrezzatura subacquea

MASCHERA

GAV

EROGATORI

MUTA

GUANTI, CALZARI

PINNE

COLTELLO

BUSSOLA

TORCIA

COMPUTER

BOMBOLE

ALTRI ACCESSORI


MASCHERA

Una maschera consta di una parte in materiale flessibile e morbido, chiamata facciale e di una rigida, chiamata testiera o cerchietto, che serve a dare rigidezza e planeità ai vetri, oltre a bloccarli, e ad alloggiare le fibbie del cinghiolo. Il materiale del facciale può essere ancora oggi una mescola di gomma naturale, ma ormai la maggioranza delle maschere sono in silicone e, quelle dell'ultima generazione, in silicone liquido, il materiale migliore quanto a morbidezza e resistenza.

Ogni singolo utilizzo ha sviluppato modelli particolari. Quelle da apnea , per esempio, necessitano di un volume interno ridottissimo. Ciò elimina il problema di dover insufflare troppa aria all'interno durante la discesa, per evitare lo schiacciamento della maschera sul viso. Inoltre, hanno sempre i vetri separati, per poterli avvicinare il più possibile agli occhi.

Per l'uso con l'autorespiratore o per la semplice osservazione si preferiscono maschere leggermente più grandi, dove viene privilegiato il comfort e la visibilità in tutte le direzioni. Il vetro può essere unico o doppio e oggi vi sono modelli che dispongono addirittura di 4 o 6 vetri, alloggiati lateralmente e inferiormente, per offrire visibilità anche nelle zone in genere oscurate dal facciale. Una categoria a parte riguarda le maschere ottiche , concepite per il montaggio di lenti correttive per i più comuni difetti visivi.

Non esiste la maschera che va bene a tutti: ogni persona ha un contorno facciale diverso. Bisogna recarsi in un negozio specializzato e provarne vari tipi, appoggiandoli dolcemente al viso, senza cinghiolo e aspirando leggermente. Se la maschera si attacca al viso e resta in posizione, significa che va bene. Si deve tenere poi conto dell'alloggiamento del naso, che deve essere comodo e non interferire con il naso stesso, permettendo, però, una facile e veloce presa delle narici. Quanto a silicone trasparente o nero, è solo questione di gusti. Il primo lascia passare la luce e alcuni lo preferiscono per il minor senso claustrofobico rispetto al materiale scuro. Quello nero viene generalmente preferito da pescatori, fotografi e da quanti vogliano concentrare meglio l'attenzione sul soggetto.

Personalmente ho una maschera della Oceanic in silicone trasparente e la maschera ESA della Mares con 6 vetri indipendenti che offre una visibilità eccezzionale.

 

G.A.V.

La maggior parte dei G.A.V. o Giubbetto ad Assetto Variabile o più semplicemente Jacket, è del tipo monosacco, realizzata in tessuto di nylon spalmato internamente di poliuretano (pertanto impermeabile) e la struttura è termosaldata. La robustezza del tessuto è espressa in denari: 400, 800, 1000. Più elevato è il valore, più il tessuto è resistente, ma inevitabilmente si aumenta la rigidità del jacket.

I sistemi di insufflazione d'aria sono quasi sempre collocati all'estremità del corrugato , in modo che possano facilmente essere azionati con la mano sinistra. C'è un pulsante per il prelievo d'aria dalla bombola, tramite una frusta a bassa pressione a innesto rapido. Un secondo pulsante, posto in genere all'estremità del by-pass, permette, invece, l'insufflazione manuale. Questo comando, sollevando il corrugato verso l'alto, può essere utilizzato anche per eliminare l'aria, anche se oggi si preferisce lo scarico rapido incorporato, che apre una valvola posta all'estremità opposta del corrugato, tirandolo semplicemente verso il basso. Esistono inoltre comandi di scarico pneumatico che, montati su un corrugato tradizionale, permettono di scaricare l'aria premendo il pulsante senza dover sollevare il corrugato.

Il sistema di fissaggio dello schienalino alla bombola avviene tramite un cinghiaggio dotato di una fibbia a eccentrico, in materiale plastico o metallo, coadiuvata a volte da un secondo cinghiaggio. Uno schienalino rigido in materiale plastico assolve, nella maggioranza dei casi, alla necessaria robustezza dell'assemblaggio di jacket e bombola. In alcuni modelli viene sostituito da uno schienalino più piccolo o da una struttura in tessuto che avvolge la bombola. I cinghiaggi sono, invece, costituiti da due spallacci in tessuto, quasi sempre apribili e regolabili mediante fibbie speciali. In vita il fissaggio al corpo è affidato a un fascione con chiusura a velcro, coadiuvato da una o più fibbiette di scorta.

Alcuni modelli hanno la struttura del fascione, o quella delle cinghiette, elastica, in modo che durante il gonfiaggio il gav si apra verso l'esterno e non comprima, al contrario, il corpo del subacqueo. Il jacket assolve anche la funzione di porta accessori e come tale dispone di una serie di agganci per l'erogatore di scorta e per il manometro, e di anelli, moschettoni e altri piccoli accessori per fissare attrezzi minori. Le tasche possono essere in numero variabile da 1 a 4, spesso accompagnate da ampie sottotasche aperte, nelle quali si possono infilare erogatore di scorta e manometro per una protezione molto efficace.

Il mio GAV è un Oceanic Ovation 800 denari dotato di un rivestimento interno soffice molto confortevole.

 

EROGATORI

Tutti gli erogatori presenti sul mercato sono bistadio, nei quali la riduzione di pressione avviene in due fasi successive. Il primo stadio, quello fissato alla rubinetteria, riduce l'alta pressione della bombola (generalmente 200 bar) a quella detta 'intermedia' normalmente compresa tra 6 e 11 bar. Questa arriva al secondo stadio, (quello che si stringe fra i denti), dove viene ridotta alla' stessa pressione ambiente. I due stadi sono collegati da un tubo in gomma di piccolo diametro e alta resistenza, chiamata in gergo "frusta".

Il primo stadio

Può essere a pistone o a membrana, bilanciato oppure no. I sistemi a pistone sono molto semplici, hanno pochi pezzi e richiedono in genere una scarsa manutenzione. L'acqua penetra all'interno dell'erogatore, ma il pistone e la molla sono realizzati in materiali resistenti alla corrosione. Questo sistema ha un costo costruttivo contenuto, una particolare robustezza e costi di manutenzione contenuti. Purtroppo il contatto con l'acqua, in certe circostanze, può usurare precocemente sia l'erogatore sia le guarnizioni (acqua particolarmente ricca di sospensione o di calcare) o portare alla formazione di cristalli di ghiaccio in situazioni climatiche molto rigide, anche se esistono appositi kit antifreeze.

I primi stadi a membrana sono invece isolati dall'acqua e non hanno problemi anche in condizioni estreme. Tuttavia, sono composti da più pezzi, alcuni piuttosto piccoli. Le parti interne non sono progettate per venire a contatto con l'acqua di mare e un accidentale ingresso d'acqua nell'erogatore (se per esempio si dimentica di mettere il tappo di protezione sul filtro sinterizzato) richiede una revisione.

La portata d'aria dei due sistemi è comunque idonea in entrambi i casi per alimentare nel migliore dei modi il secondo stadio. Viene espressa in litri/minuto e varia da 1200 a 2800 l/min, misurati in superficie. Le prestazioni finali, comunque, dipendono solo in parte dall'aria fornita dal 1° stadio.

Sia gli erogatori a pistone sia quelli a membrana possono essere bilanciati o no.

I primi stadi bilanciati devono fornire la stessa pressione intermedia indipendentemente dalla pressione d'aria nella bombola e mantenere le prestazioni prescindendo dalla profondità, in quelli non bilanciati si verifica un abbassamento della pressione intermedia (e quindi un aumento dello sforzo inspiratorio), quando l'aria nelle bombole scende ai minimi valori.

Un primo stadio ha un certo numero di uscite di bassa pressione per montare il 2° stadio di riserva, la frusta del gav e della muta stagna. Le uscite di alta pressione sono in genere 2, per montare il manometro a destra o a sinistra. La staffa di attacco del 1° stadio può essere internazionale oppure DIN (più sicuro poiché scongiura la possibilità che l'OR esca dalla sede, ma la rubinetteria della bombola dev'essere predisposta). Il filtro sinterizzato può essere piano o conico; quest'ultimo è da preferire poiché ha una superficie filtrante maggiore.

Il secondo stadio

Generalmente è realizzato in tecnopolimeri, spesso rinforzati con fibre di vetro, ma alcuni modelli sono realizzati in ottone cromato. Varie possono essere le forme e in alcuni casi l'erogatore può essere usato sia a destra sia a sinistra. Nella zona anteriore del coperchio (può essere anche laterale) è situato il pulsante per l'erogazione manuale. Le valvole di scarico, dal cui diametro, forma e disposizione dipende lo sforzo espiratorio, possono essere singole o doppie, circolari oppure ovali.

Alcuni modelli hanno la possibilità di regolazioni azionabili in immersione. Generalmente, un pomolo girevole, posto a una estremità della cassa, indurisce o meno la molla che tiene chiusa la valvola del 2° stadio. Più questa è allentata, minore è lo sforzo inspiratorio, fino a giungere su alcuni modelli all'autoerogazione. Il vantaggio è di poter avere un erogatore tarato alla perfezione e di indurire lo sforzo, quando lo si usa in superficie, in piscina, come erogatore di scorta o in presenza di corrente contraria.

I valori dello sforzo inspiratorio ed espiratorio si misurano il millibar. Le severe norme europee prevedono sforzi inspiratori ed espiratori massimi, a 50 metri e con solo 50 bar nella bombola, di 25 millibar. Anche l'effetto Venturi può essere regolato (quella specie di "iniezione" d'aria convogliata direttamente nel boccaglio, che aumenta le prestazioni dell'erogatore). Ridurre l'effetto Venturi è utile soprattutto nelle prime fasi dell'immersione, tanto che alcuni modelli hanno solo le due regolazioni estreme, "dive e pre-dive".

Downstream e Upstream

La quasi totalità degli erogatori oggi in commercio, utilizza nel 2° stadio il sistema " Downstream ". Il sistema downstream si apre nella stessa direzione del flusso d'aria proveniente dal primo stadio. Questa aria in entrata esercita una spinta sull'estremità del poppet (testa della valvola) che costringe la valvola ad aprirsi (downstream); tale forza viene contrastata da una molla, pretarata, che spinge nella direzioneopposta (upstream) cioè verso la posizione di chiuso. La spinta esercitata dalla molla deve essere leggermente superiore alla forza di entrata del flusso in modo che l'ingresso rimanga chiuso fino all'inspirazione da parte del subacqueo. Lo sforzo di inspirazione richiesto per aprire una valvola downstream è direttamente proporzionale alla resistenza della molla.

Questo sistema consente di proteggere il sub nel caso improbabile (ma non impossibile) di sovrappressione intermedia, infatti ad un aumento della media pressione la forza downstream aggiuntiva farà aprire il poppet spingendolo contro la molla e provocando un flusso d'aria continuo nel secondo stadio.

Io utilizzo come erogatore principale un MR12 VOLTREX della Mares con primo stadio a membrana e come erogatore di riserva un DACOR Extreme Plus con primo stadio a doppio pistone.

 

MUTA

MUTA UMIDA L'avvento del neoprene cellulare espanso, una speciale mescola di gomma sintetica nella quale, durante la fabbricazione, vengono iniettate milioni di bollicine di gas, che lo rendono morbido, spugnoso e coibente, ha aperto le porte alla moderna subacquea. Questo materiale ha un'elevata capacità isolante, grazie soprattutto al suo spessore. Confezionato in modo da rimanere aderente al corpo, esercita il potere termico non isolandolo totalmente dal contatto con l'acqua, bensì lasciandone penetrare una piccola quantità che viene ben presto scaldata dal calore corporeo, limitando enormemente la dispersione termica.

Le cuciture non sono passanti, cioè i punti delle speciali macchine per cucire non passano da un lato all'altro del neoprene, evitando la creazione di una miriade di vie d'acqua. Si utilizzano, poi, tutta una serie di accorgimenti per limitare l'ingresso di acqua. In corrispondenza dei polsi e delle caviglie, per esempio, vengono incollati e cuciti dei manicotti conici in neoprene con il lato interno liscio, praticamente stagni. Un'analoga guarnizione viene fissata al cappuccio nel punto di contatto col viso. L'ingresso principale d'acqua resta quello della cerniera e il rimedio è quello di impiegare un'apposita cerniera stagna, che irrigidisce però la muta e ne aumenta considerevolmente il costo.

In genere le mute si dividono in funzione dello spessore di neoprene, che più di altre caratteristiche ne condiziona la destinazione:

In neoprene da 3 mm vengono prodotte tutte le mute leggere per impiego in acque temperate o tropicali. Hanno in genere cappuccio separato e possono essere realizzate in un solo pezzo o con la giacca separata dai pantaloni. Mancano in genere gli accorgimenti per limitare l'ingresso di acqua ai polsi e alle caviglie, sono molto elastiche e facili da indossare e non richiedono una zavorratura elevata.

In neoprene da 5 o 6 mm vengono invece prodotti i modelli destinati prevalentemente all'uso con l'autorespiratore in Mediterraneo. I modelli in due pezzi sono più caldi di quelli monopezzo per il duplice strato di neoprene che riveste il torace, grazie ai pantaloni alti a salopette. La giacca è dotata di cappuccio incorporato e la cerniera arriva generalmente sulla guancia, permettendo una facile vestizione. Solo alcuni modelli per acque più fredde hanno la cerniera sternale o ne sono addirittura del tutto privi. Molto diffuse ultimamente sono anche le mute modulari, costituite generalmente da un pezzo intero a cui si sovrappone un corpetto per le acque più fredde, che può essere invece utilizzato da solo in acque più calde.

La fodera interna può essere realizzata in diversi materiali dal potere termico più o meno accentuato e dalla maggiore o minore vestibilità, anche se il primo è legato prevalentemente allo spessore del neoprene e alla sua più o meno elevata comprimibilità. Si parla pertanto di neoprene macrocellulare o microcellulare a seconda delle dimensioni delle bollicine di gas incorporate nella gomma sintetica: bolle più grosse (macrocellulare) significa più elasticità e maggior facilità di vestizione, ma anche maggior comprimibilità del neoprene in profondità e quindi, mute più fredde. Microcellula l'opposto.

Per le acque mediterranee ci vogliono mute da 5 mm, preferibilmente in due pezzi, pantaloni a salopette e giacca con cappuccio incorporato. Per i mari tropicali bastano 3 mm di neoprene, magari nella più pratica soluzione monopezzo, veloce in fase di vestizione e svestizione. Per le acque più fredde, un sottomuta permetterà di aumentare notevolmente il comfort con una spesa contenuta.

Per acque particolarmente fredde si impiegano spessori superiori, ma oltre i 7-8 mm i movimenti diventano alquanto impacciati e la necessità di zavorra notevole.

MUTA SEMISTAGNA Le mute semistagne esistono solo da una decina d'anni e sono sostanzialmente un ibrido fra una muta umida e una stagna. Ciò significa che non usciremo asciutti dalla nostra immersione, ma le infiltrazioni d'acqua saranno molto più limitate rispetto ad una muta umida, limitando le dispersione di calore.

Tutta la struttura della muta é simile a quella di una stagna in neoprene: monopezzo, cuciture non passanti, neoprene liscio ai polsi e ale caviglie e cerniera stagna (generalmente dorsale che va da spalla a spalla). Il cappuccio può essere integrato o meno, se non lo è, anche il collo è rivestito di neoprene liscio per limitare le infiltrazioni.

La cerniera è di solito uguale a quelle utilizzate per le mute stagne, la classica BDM in metallo; assicura la tenuta stagna della chiusura ma data la sua rigidità può risultare fastidiosa per alcuni. Per ovviare a questo inconveniente sono recentemente comparse cerniere stagne in materiale plastico (le cosiddettte "t-zip") che utilizzano un nuovo sistema di chiusura, sono più morbide e necessitano di meno manutenzione.

Lo spessore del neoprene impiegato oscilla fra 5 e 7 mm e i vari modelli reperibili in commercio variano per il taglio, la fodera interna ed esterna del neoprene, gli accessori e la qualitá della cerniera. Il neoprene é di solito microcellulare e la fodera interna privilegia i materiali piú caldi, come plush, soft e rivestimenti arricchiti di componenti metallici.

L'impiego di una semistagna è diverso rispetto a quello di una muta tradizionale. All'inizio dell'immersione le infiltrazioni d'acqua non si avvertono. Man mano che si scende la muta tende ad andere "in ventosa", stringendo sempre di più il corpo. Prima che il senso di oppressione diventi insostenibile, si fa entrare una minima quantità d'acqua: questo basta ad eliminare l'effetto ventosa e per il resto dell'immmersione le infiltrazioni ulteriori saranno minime.

Il potere termico di una semistagna è superiore a quello di una umida (specie se monopezzo), ma con l'avvento delle mute umide modulari a più pezzi, dove si sovrappongono più strati di neoprene, questa differenza non è più cosi elevata. Bisogna comunque considerare che, nonostante la cerniera dorsale, una semistagna monopezzo permette comunque una maggiore libertà di movimento rispetto ai molti strati sovrapposti che occorrerebbero per eguagliarne le prestazioni. Per le immersioni più fredde o più profonde (dove anche il neoprene della semistagna subisce una compressione) anche con questa muta può esssere utilizzato un sottomuta da 3 mm, che aggiunge protezione senza compromettere eccessivamente l'aderenza della muta.

MUTA STAGNA L'uso della muta stagna può cambiare notevolmente il nostro modo di andare sott'acqua. La maggior parte dei subacquei che s'immerge tutto l'anno ha sempre desiderato possedere una muta simile che potesse proteggerlo non solo dal contatto con l'acqua gelida dei mesi invernali, ma pure dallo sempre spiacevole atto di svestizione e rivestizione spesso effettuato all'esterno.

Questo tipo di muta è realizzato con materiale impermeabile e tenute stagne che impediscono il contatto del corpo con l'acqua, proteggendolo così dal freddo. La protezione termica in queste mute è data dagli indumenti che si indossano sotto la muta.

L'isolamento non è l'unico vantaggio offerto. Il comfort dato dal calore, influisce anche sulla sicurezza. Infatti, quando il corpo si raffredda, reagisce togliendo sangue agli arti con conseguente aumento del volume di sangue al centro. La minore quantità di sangue presente nelle zone periferiche del corpo limita lo scambio gassoso e favorisce il ristagno dell'azoto all'interno dei tessuti, fattore predisponente all'insorgere di MDD. Oltre a questo, un subacqueo con una muta di questo tipo rimane asciutto e caldo tra un'immersione e l'altra e riesce a vestirsi con estrema facilità.

MATERIALI:

I materiali utilizzati per realizzare le stagne si sono evoluti nel tempo. Possiamo distinguere sostanzialmente tra due tipi di mute: le stagne in tessuto ed in neoprene.

MUTA STAGNA IN TESSUTO. Indipendentemente dal tipo di tessuto (trilaminato, poldura, nylon, poliuretano, ecc...) sono tutte caratterizzate dal taglio abbondante, dovuto alla mancanza di elasticitá del tessuto stesso, necessario per consentire una discreta libertá di movimento e scarsissima coibenza termica propria del materiale costruttivo. Sono robuste, leggere, quando ripiegate occupano poco spazio, si asciugano rapidamente e sono discretamente economiche. La resistenza di questi materiali è soddisfacente per l'attività ricreativa, ma insufficiente per uso lavorativo. Le mute in poliuretano rappresentano un compromesso tra quelle in gomma e quelle in trilaminato. Sono un po' meno resistenti della gomma ma più elastiche e facilmente riparabili. Le mute in poldura sono le ultime nate. Poldura indica una famiglia di tessuti a base poliuretanica. Sono adatte sia ad immersioni sportive sia ad immersione professionali, con una buona resistenza e flessibilità.

MUTA STAGNA IN NEOPRENE ESPANSO. É il comune neoprene utilizzato per realizzare le classiche mute umide, foderato con nylon. Di spessori diversi (5,7,10 mm), sono molto coibenti, adatte ad immersioni in acque molto fredde. Anch'esse molto robuste, sono utilizzate prevalentemente da sub professionisti, altofondalisti o sub che si immergono in mari molto freddi o sotto i ghiacci. Essendo la galleggiabilità una delle caratteristiche del neoprene è necessario l'uso di una quantità maggiore di zavorra.

MUTA STAGNA IN NEOPRENE CRUSHED. Brevetto internazionale della DUI. É ottenuto sottoponendo fogli di neoprene espanso a cicli di compressione a grandi pressioni sino a quando le bolle d'aria all'interno del materiale vengono "rotte" quasi del tutto. Ció permette di avere coibenza termica e ridottissima comprimibilitá del materiale a tutto vantaggio dell'assetto in immersione.

MUTA STAGNA IN NEOPRENE COMPRESSO. É un particolare tipo di neoprene a cellule chiuse che presenta al suo interno poca aria intrappolata tra le molecole di neoprene sotto forma di bolle.

L'utilizzo del neoprene permette un taglio della muta piú aderente e riduce la necessitá di indossare indumenti caldi ma ingombranti sotto la muta, rendendola piú confortevole in immersione. Sono robuste, come la maggior parte delle mute in tessuto, ma piú pesanti, piú lente ad asciugarsi e generalmente piú care.

CARATTERISTICHE PRINCIPALI:

Le stagne si distinguono dalle mute comuni per alcune particolarità: cuciture e guarnizioni a prova d'acqua, cerniera stagna, stivali incorporati e due valvole. La tenuta stagna è garantita dai polsini e dal collarino, che possono essere in lattice o in neoprene monofoderato a seconda del materiale della muta.

La cerniera dovrebbe essere in bronzo, larga e robusta; può essere montata sulla schiena o anteriormente. Gli stivali oggi sono incorporati ed eliminano le infiltrazioni. Sono normalmente in gomma e con la suola antisdrucciolo.

Le valvole sono indispensabili per utilizzare questa attrezzatura. Infatti, durante la discesa la pressione dell'acqua riduce il volume dell'aria tra la muta ed il subacqueo, provocando uno schiacciamento della stagna sul corpo. Per evitare questo si deve agire sulla valvola di carico situata anteriormente, immettendo così aria nella muta. In risalita, al contrario, l'aria che abbiamo immesso tenderà ad aumentare il volume. In questo caso dovremo agire sulla valvola di scarico per poter controllare l'assetto.

Le valvole normalmente più utilizzate sono Si-Tech, Apeks, Poseidon o Gvs. Queste fanno parte di due grandi famiglie, le valvole automatiche e quelle manuali. A differenza di queste ultime, quelle automatiche (di scarico) si possono tarare, in modo che con l'aumento della pressione interna dell'aria si scarichino automaticamente, mantenendo il subacqueo sempre in assetto neutro.

Il cappuccio può essere incluso o staccato; questa seconda possibilità è la più frequente per una maggiore comodità durante la vestizione. Le bretelle rendono più confortevole la muta, facendo in modo che rimanga più aderente all'inguine. Importanti sono i rinforzi come le toppe alle ginocchia che permettono di proteggere questo delicato punto da eventuali strappi.

 

GUANTI e CALZARI

GUANTI

Servono sia a proteggere le dita dal contatto con asperità, madrepore e animali urticanti, sia a proteggere dal freddo. In alcune zone tropicali sono ora vietati per tutelare l'ambiente. Molti animali, specialmente madrepore, attinie e altri celenterati, vengono facilmente danneggiati se toccati e senza dubbio un subacqueo privo di guanti sta molto più attento a come si muove prima di appoggiare le mani non guantate sul reef.

Quelli di protezione sono realizzati nei materiali più vari: cotone, pelle, gomma, materiali sintetici e devono proteggere l'epidermide ammorbidita e resa vulnerabile dall'acqua lasciando, però, sensibilità alle dita. Alcuni hanno sul palmo della mano e sulle dita un rivestimento antiscivolo, che facilita la presa. E' meglio se il polso ha una chiusura elastica o a velcro, per limitare l'ingresso d'acqua e per evitare che il guanto si sfili.

Per proteggere dal freddo, invece, viene utilizzato il neoprene, in spessori compresi fra 2 e 5 mm, che può essere monofoderato o bifoderato. Importante è che palmo e dita siano ricoperti di materiale antiscivolo, dato che il nylon bagnato non permette una buona presa e che siano preformati in una posizione di riposo arcuata, in modo che sia facile poter afferrare una cima o qualsiasi altro oggetto.

CALZARI

Sono un complemento indispensabile dell'attrezzatura subacquea, non solo per proteggere le estremità dal freddo, ma anche per evitare il contatto della delicata pelle dei piedi con le parti più dure delle pinne, che alla lunga può provocare ferite e piaghe difficili a cicatrizzare. Anche ai tropici, dove la temperatura dell'acqua sconsiglierebbe di coprire i piedi, il loro uso diventa importante per evitare il contatto delle caviglie con le madrepore.

Sono realizzati in due versioni principali: quelli a forma di calza , interamente in neoprene, e quelli a scarpetta, dotati di suola rigida in gomma. I primi sono adatti sia all'apnea sia all'immersione con le bombole e richiedono pinne a scarpetta chiusa. Vengono prodotti indiversi spessori compresi fra 2 e 5 mm e il potere termico è strettamente condizionato dallo spessore del materiale. La forma è in genere anatomica, con il piede leggermente inclinato rispetto alla caviglia, in modo che il calzare non sia sotto tensione nella normale posizione del nuoto pinnato. Il neoprene può essere monofoderato o bifoderato (quest'ultimo è meno elastico ma più resistente). Per limitare la circolazione dell'acqua, alcuni modelli hanno la parte terminale della caviglia in neoprene liscio sul lato esterno, in modo da avere una tenuta pressoché stagna, insieme a quello del manicotto dei pantaloni.

I modelli a scarpetta e suola rigida sono sempre realizzati in neoprene bifoderato da 3 o 5 mm e possono essere dotati o meno di cerniera. Quest'ultima facilita la calzata, ma permette un certo ingresso d'acqua. La suola è più o meno flessibile, a seconda dei modelli, e può arrivare a spessori notevoli, particolarmente idonei per camminare su fondali accidentati e sugli scogli, ma ovviamente più pesanti. Con questi modelli è d'obbligo utilizzare pinne a cinghiolo, che hanno la scarpetta progettata in maniera da poter alloggiare calzari spessi con suola alta.

 

PINNE

Le pinne possono essere divise in tre categorie principali: uso universale e snorkeling, immersione con autorespiratore, apnea profonda.

Ora le pinne, salvo pochissime eccezioni, vengono fabbricate in materiali termoplastici , in tempi molto brevi. Ogni pinna viene stampata in due fasi successive: prima la pala, in materiale più rigido, poi la scarpetta e le costolature in materiale sempre sintetico, ma più morbido e confortevole.

Dal punto di vista delle prestazioni, gli attuali materiali consentono una maggiore elasticità della pinna, mantengono le caratteristiche a lungo inalterate nel tempo e sono soprattutto più leggere, ma sono meno resistenti ai graffi rispetto alla gomma. Per rimediare a questo inconveniente, i modelli più moderni hanno delle sovrastampate di materiale più morbido e gommoso in corrispondenza delle nervature di rinforzo e dei punti più esposti.

Le pinne attuali sono progettate per l'utilizzo dei calzari a suola rigida e hanno scarpette con una conformazione tale da bloccare il piede e farne un tutt'uno con la pinna. Ciò consente l'utilizzo, durante la pinneggiata, di tutta la muscolatura della gamba e non solo dei muscoli del piede e del polpaccio.

Le fibbie del cinghiolo sono a regolazione rapida, permettono il basculaggio in senso verticale e si sganciano per agevolare la calzata. Ogni costruttore studia, poi, soluzioni particolari atti a limitare la zona negativa, che corrisponde a tutta la parte inferiore compresa fra il calcagno e metà circa della pala. Uno degli accorgimenti più usati è quello di praticare delle aperture in questa zona, che permettano all'acqua di sfuggire durante la falcata negativa, o di inserire vere e proprie alette e paratie mobili.

Alcune ditte costruiscono la pala con materiali che consentono la deformazione a cucchiaio della stessa, per accentuarne l'inclinazione durante la falcata positiva e ridurre la zona negativa durante la falcata corrispondente. Importante è anche la risposta elastica della pala che dipende sia dal materiale impiegato, sia da quello dei longheroni laterali di rinforzo. Al termine di ogni falcata questa parte della pinna deve, infatti, tornare istantaneamente nella posizione di riposo e piegarsi un attimo dopo in quella opposta.

Regine incontrastate in questo caso sono le pinne lunghe da apnea, per le quali si utilizzano materiali speciali come le fibre di carbonio, ma che purtroppo hanno il difetto di essere piuttosto fragili.

Io utilizzo le Plana Avanti Quattro della Mares.

COLTELLO

Lla scelta è dettata non solo dai gusti personali, ma anche dalla destinazione finale dell'attrezzo. Per la pesca si scelgono piccoli stiletti dalla lama molto stretta. Per la subacquea in generale si preferiscono modelli un po' più grandi, con la lama più larga, lunga in genere una decina di centimetri e spessa almeno 4 o 5 mm. Per il lavoro infine si scelgono modelli speciali, più robusti e dotati di accessori.

La funzione fondamentale di un coltello è, come abbiamo visto, quella di recidere con facilità, sagole, lenze o reti. Purtroppo non è ancora passata la moda di quelle pericolose intaccature chiamate "tagliasagola", che servono più che altro a tagliare le dita, mentre per recidere una lenza o cima si deve usare il lato seghettato della lama. Il lato a filo dritto serve meno allo scopo, perché il nailon scivola lungo la lama.

La punta può servire, infine, più che altro come utensile da lavoro, per sostituire un o-ring o in mille altre occasioni. L'impugnatura, realizzata in gomma o in plastica ha in genere forma anatomica e monta a volte un'elsa paradita.

Il fodero riveste un'importanza notevole nella scelta. Un tempo era una guaina in gomma o plastica nera, con un elastico sagomato che ne bloccava l'impugnatura. Oggi i foderi sono per lo più in materiale plastico rigido, con un sistema di trattenuta del coltello a slitta o pulsante, che permette un'estrazione più veloce, ma anche, in alcuni casi, una perdita altrettanto veloce in caso di urto.

Per la lama, si impiegano acciai inossidabili speciali, con un certo contenuto di carbonio. I migliori inossidabili non permettono però una buona affilatura, per cui si scelgono acciai meno inossidabili, che permettono alla lama di tagliare bene. Non preoccupatevi, quindi, se la lama arrugginisce in fretta, è il prezzo che si paga per avere un coltello che tagli veramente.

 

BUSSOLA

Una bussola subacquea non differisce sostanzialmente da un modello terrestre, salvo che per la maggiore robustezza dell'involucro e del vetro. L'ago deve essere annegato in un liquido sufficientemente denso, che impedisca eccessive vibrazioni e che ammortizzi le oscillazioni impresse dal nuoto e dai movimenti del subacqueo, non al punto però da rallentare eccessivamente l'orientamento dell'ago verso il Nord magnetico.

Una suddivisione importante vede le bussole tradizionali, che richiedono di essere guardate dall'alto, e quelle da rilevamento , che prevedono una finestrella laterale, da dove è possibile leggere i gradi della rosa dei venti mentre si punta la bussola verso la meta. Recentemente sono comparsi anche modelli digitali , già diffusi da alcuni anni nella nautica da diporto, molto più precisi, ma anche decisamente più costosi.

Quasi tutte le bussole subacquee hanno una tacca mobile, posta sulla ghiera esterna, che permette di memorizzare la posizione che l'ago deve mantenere durante il percorso e che assolve in pratica alla funzione di indice di riferimento. C'è poi una linea, detta linea di fede, che corrisponde alla direzione del moto, indicata da una freccia o rappresentata da uno dei lati della bussola. Intorno al quadrante, sovente su una lunetta girevole, è disposta la rosa dei venti, suddivisa in gradi.

Per un uso subacqueo difficilmente si hanno intervalli inferiori a 10°, vista poi la difficoltà di mantenere durante il nuoto una lettura più precisa. Da non trascurare infine il tipo di cinghiolo e la bombatura inferiore della cassa che deve adattarsi al polso per conferire la migliore stabilità possibile.

Molti costruttori adottano cinturini in nylon intrecciato o in plastica rigida, senza rendersi conto che in immersione il volume del braccio si riduce notevolmente a causa della compressione della muta. Solo i cinturini elastici seguono automaticamente questa compressione e sono senz'altro da preferirsi agli altri, che richiedono un aggiustamento in profondità, spesso difficile a causa dell'uso dei guanti.

 

TORCIA

Vi sono in commercio sistemi di illuminazione di ogni dimensione, da quelli alimentati da un paio di pilette ministilo (utili come torcia di riserva), a quelli che utilizzano torcioni o perfino accumulatori ricaricabili. Quello che non tutti sanno è che una torcetta minuscola, che utilizza 4 pile ministilo, ha la stessa intensità luminosa di un grosso faro alimentato da 4 torcioni. Entrambi i sistemi forniscono, infatti, una tensione di 6 V, mentre cambia l'amperaggio, che si traduce, in pratica, in un'autonomia circa 16 volte superiore a favore del faro.

Una piccola scaletta che può risultare utile è la seguente: le torce a stilo hanno, a parità di voltaggio e di lampadina impiegata, il doppio di autonomia rispetto alle ministilo; le mezzetorce ne hanno 4 volte di più delle pile a stilo; i torcioni ne hanno il doppio rispetto alle mezzetorce. E' facile, a questo punto, scegliere una torcia a seconda delle proprie esigenze.

Quelle più piccole servono per la pesca o come pile di scorta, quelle medie hanno un utilizzo universale, mentre gli illuminatori di grosse dimensioni sono ideali per le lunghe esplorazioni e le immersioni notturne.

Grandi passi in avanti sono stati fatti, in questi anni, nel campo delle lampadine. Quelle comunemente impiegate per le torce subacquee hanno, quasi sempre, un voltaggio inferiore a quello di alimentazione, in modo da fornire una luce particolarmente bianca. Ne esistono al quarzo, al kripton allo xenon e altri gas nobili racchiusi nel bulbo, che producono luci molto brillanti e consumano poco. Recentemente si sono poi aggiunte torce a led , che consumano ancora meno e producono una luce bianchissima. Sulle torce più grandi è naturalmente possibile cambiare la lampadina a seconda della potenza desiderata.

L'autonomia di alcuni modelli arriva così a superare perfino le 10 ore, permettendo di ammortizzare l'elevato costo di un set di pile alcaline.

Caratteristiche

Una caratteristica da prendere in considerazione è l 'ampiezza del fascio luminoso . Molte torce derivano dai modelli da pesca, dove l'esigenza è quella di abbagliare il pesce e riuscire a illuminare, con una luce concentrata e brillante, il fondo di una tana. Chi si immerge con le bombole ha, invece, esigenze totalmente diverse, perché deve avere anche a breve distanza una vasta porzione di parete illuminata.

In genere, solo i fari dispongono di un fascio di luce sufficientemente ampio e i migliori risultano essere quelli utilizzati per le riprese video o costruiti per l'esplorazione con caratteristiche simili. Pochissimi modelli di torce e fari hanno il fascio luminoso regolabile dall'esterno, ma non si pensi di adattare il fascio alle proprie esigenze allargandolo o stringendolo, in quanto inevitabilmente si creerebbero delle grosse zone d'ombra.

Lo scopo non è quello di variarne l'angolo, quanto quello di concentrare e pulire la luce, ottenendo sempre una centratura ottimale della lampadina rispetto alla parabola. Le torce più grosse o i fari sono in genere disponibili anche in versione con accumulatori ricaricabili al Nichel Cadmio (NiCd) o al Nichel metalidrato (NiMh), queste ultime senza efetto memoria. Un sistema di questo tipo ha il vantaggio di poter essere ricaricato prima di ogni immersione e di disporre così della totale autonomia, mentre con le pile non si conosce esattamente lo stato di carica, a meno di non sostituirle ogni volta.

Purtroppo i modelli con batterie ricaricabili presentano alcuni difetti: sono notevolmente costosi, hanno una minore autonomia rispetto alle pile a secco e l'esigenza di disporre di una presa per la ricarica e del relativo numero di ore necessario per effettuarla.

Gli interruttori di cui torce e fari sono dotati possono essere sia meccanici sia magnetici. Nel primo caso una leva o una manopola agiscono, tramite un alberino passante, sull'interruttore del circuito. Nel secondo non ci sono, invece, perni passanti, dato che un cursore esterno sposta un magnete, che agisce sulle lamelle di un piccolo reed (interruttore magnetico). Entrambi i sistemi funzionano bene, se ben progettati, ma, in genere, con grossi amperaggi si preferiscono i sistemi meccanici, per evitare l'incollaggio delle lamelle del reed.

 

COMPUTER

I computer subacquei sono presenti sul mercato ormai da molti anni e sono diventati un accessorio fondamentale per la maggior parte dei subacquei ricreativi. Parlando infatti di immersioni cosiddette "ricreative" (e quindi profondità limitate, fuori curva generalmente non contemplato), se è vero che sarebbe necessario pianificare accuratamente l'immersione è anche vero che, di fatto, l'utilizzo delle tabelle per questa pianificazione ed il rispetto della pianificazione eseguita risultano nella maggior parte dei casi semplicemente impossibili.

Provate ad effettuare una immersione con una guida, insieme ad altri subacquei in un qualsiasi diving e pretendere che venga rispettata scrupolosamente la vostra pianificazione... Oppure pianificate con le tabelle la vostra immersione multilivello (attività già di per se abbastanza impegnativa e non esente da errori) e in immersione scorgete finalmente, pochi metri più sotto, quello che non siete mai riusciti a vedere... Non si può, non è stato pianificato.

Attenzione : questo NON significa che con il computer si possa tenere sott'acqua il comportamento che si vuole, ignorando le più elementari regole di sicurezza, anzi. Il computer stesso lavora e fornisce dati in modo corretto solo se queste regole vengono rispettate, quindi risalite lente, profili regolari e non a "dente di sega" e tutto quello che si impara nei corsi resta assolutemente valido.

Ricordate: il vero computer sta nella testa del subacqueo.

Cosa fa un computer

Il computer consente di incrementare notevolmente il tempo di permanenza sott'acqua mantenendo il livello di sicurezza. Durante l'immersione il computer misura continuamente una serie di parametri (profondità, tempo, temperatura, in alcuni modelli il consumo d'aria) e ricalcola in continuazione il livello di saturazione e desaturazione di azoto nei tessuti. Riesce cosi ad indicare il tempo rimanente alla profondità data prima di uscire dalla curva di sicurezza o, in alternativa, la profondità e la durata delle soste di decompressione necessarie.

In questo calcolo vengono utilizzati degli algoritmi sviluppati sulla base degli studi del fisiologo inglese John Scott Haldane , che attorno al 1907 elaborò un modello matematico rappresentativo del comportamento del corpo umano durante la respirazione di gas compresso analizzando i problemi di malattia da decompressione che si verificavano sui cassonisti che lavoravano esposti a pressioni superiori a quella atmosferica.

A partire dagli studi di Haldane, i modelli si sono evoluti (ricordiamo quello di Buhlmann, uno dei più diffusi) ma tutti hanno la stessa base teorica: una " modellizzazione " del corpo umano a cui sia possibile applicare le funzioni fisiche che regolano l'assorbimento ed il rilascio dei gas. Per fare questo, il corpo umano viene idealmente diviso in "tessuti" (ad esempio il grasso, le ossa, il sangue, i muscoli) che vengono raggruppati in " compartimenti tissutali ", ciascuno dei quali ha un diverso tempo di emisaturazione , cioè il tempo in cui il tessuto impiega a raggiungere il 50% delle saturazione totale.

Sulla base di questo modello, se un tessuto ha un tempo di emisaturazione ad esempio pari a 2 ore impiegherà 2 ore a raggiungere il 50% della saturazione totale, 4 ore a raggiungere il 75%, 6 ore a raggiungere l'87,5%, 8 ore a raggiungere il 93,75%, 10 ore a raggiungere il 96,875%, mentre in qualsiasi istante intermedio del fenomeno di saturazione impiegherà sempre solo 2 ore ad assorbire la metà della ulteriore quantità di gas che può ancora assorbire a quella pressione.

Il tempo necessario per saturarsi del 50% di azoto di ciascun tessuto è quindi una caratteristica propria, e costante, di ogni tessuto. Sapendo che il passaggio di un gas all'interno di una soluzione segue la legge di Henry (la quantità di gas che si scioglie in una soluzione è proporzionale alla pressione esercitata dal gas sulla soluzione) e integrando opportunamente questa legge con il modello dei tessuti le basi dell'algoritmo sono pronte. Agggiungendo un microprocessore che ricalcola i dati in tempo reale ecco che abbbiamo (quasi) fatto il nostro computer subacqueo.

L'evoluzione del modello

Abbiamo detto quasi perchè il modello di Haldane è stato approfondito e completato nel tempo con altri parametri: la velocità di risalita (che non poù essere arbitraria), il numero dei compartimenti tissutali considerati (Haldane ne considerava 5, oggi i computer ne considerano 8, 12 o addirittura 16), lo squilibrio pressorio caratteristico di ogni tessuto (ogni compartimento ha una sua particolare pressione parziale massima di azoto che potrà tollerare senza dar luogo alla formazione di bolle, cosa che Haldane non aveva considerato), la temperatura dell'acqua.

Oltre a considerare l'azoto disciolto all'interno dei tessuti gli ultimi modelli incorporano algoritmi che cercano di modellizzare la formazione delle microbolle che si sviluppano all'interno del circolo sanguigno in risalita, suggerendo al subacqueo una velocità di risalita più bassa. Inoltre è anche possibile impostare la severità dell'algoritmo da parte del subacqueo, a seconda delle condizioni fisiche e ambientali in cui viene effettuata l'immersione.

I modelli in commercio

Pressochè tutti i computer in commercio sono dotati di una serie di funzioni comuni. Durante l'immersione indicano la profondità attuale, la massima raggiunta, il tempo totale di immersione, il tempo rimanente in curva o la durata e la profondità della prima sosta di decompreessione. Dopo l'immersione essi indicano il tempo di non volo, l'intervallo di superficie e il tempo necessario per una completa desaturazione dei tessuti.

Sono tutti dotati di allarmi visivi e/o sonori per avvisare il subacqueo di potenziali condizioni di pericolo, quali ad esempio l'uscita di curva o una eccessiva velocità di risalita. Alcuni forniscono anche informazioni aggiuntive, quali data e ora, la temperatura dell'acqua, un'indicazione visiva del livello di saturazione dei tessuti, la velocità di risalita, ecc.

Sono programmati per gestire anche le immersioni in altitudine tramite un aggiustamento manuale o automatico dei parametri ed esiste la possibilità di scaricare i dati di log delle immersioni su su pc tramite apposita interfaccia.

Alcuni modelli sono integrati , in grado cioè di misurare costantemente la pressione all'interno della bombola (o tramite una frusta o per mezzo di sensori radio collegati direttamente al primo stadio) e adattare i risultati dell'algoritmo a seconda del ritmo respiratorio del subacqueo, controllando costantemente la riserva d'aria e il tempo rimanente.

Esistono modelli (integrati e non) dove può essere variata la percentuale di ossigeno della miscela respirata, utili per chi effettua immersioni in Nitrox. Oltre ad adattare le indicazioni alla nuova miscela, tengono conto delle pressioni parziali dei vari gas e forniscono indicazioni e allarmi sul raggiungimento di condizioni critiche quali, ad esempio, la soglia di tossicità dell'ossigeno, ecc.

Naturalmente esiste poi tutta un'altra gamma di computer per immersioni tecniche con miscele a più gas, molto costosi e non adatti all'ambito ricreativo.

 

BOMBOLE

Le bombole sono da sempre croce e delizia del subacqueo. Pesano, hanno costi esorbitanti, richiedono un'accurata manutenzione, montano diversi tipi di rubinetto e cambiano in continuazione, colorazione e normative per i collaudi. Attualmente esistono due principali tipi di materiali per la produzione di bombole per apparati d'immersione denominati SCUBA (Self Contained Underwater Breathing Apparatus) e sono: Acciaio e Alluminio, anche se, in entrambi i tipi, sono usate leghe metalliche (acciaio al cromo-molibdeno per le bombole d'acciaio e una lega d'alluminio con magnesio, fosforo, silicio e manganese per quelle in alluminio).

 

ACCIAO o ALLUMINIO? Vediamo le differenze e i problemi che questi due diversi tipi di materiale presentano:

Il problema dell'ossidazione – Per le bombole d'acciaio, il processo chimico dell'ossidazione, nel tempo, è pressoché inevitabile. In una bombola d'acciaio, infatti, per quanto protetta da sofisticati processi di verniciatura, l'ossidazione troverà sempre un suo punto d'innesco che nel tempo non mancherà di mostrare i suoi effetti (ruggine). Per aumentare la vita di una bombola di acciaio non è sufficiente però preservarne solo l'esterno, ma vanno effettuate costanti ispezioni anche nell'interno. E' qui che condensa e umidità aiutate da una buona quantità di ossigeno (bombola carica) riescono più facilmente ad intaccare il metallo.Uno dei punti nevralgici delle bombole di acciaio è inoltre rappresentato dalla base sferica, che racchiusa nel fondello di gomma, necessario per tenerla in piedi, costituisce uno dei punti di maggior ristagno per l'acqua. Nel tempo il ristagno dell'acqua può intaccare la vernice e dare inizio all'ossidazione del metallo in una zona difficilmente visibile della bombola.

L'ossidazione delle bombole in alluminio pur essendo molto rapida rispetto a quella dell'acciaio costituisce invece una protezione del metallo stesso. L'ossido di alluminio infatti, essendo impermeabile all'ossigeno, una volta formatosi, protegge il materiale sottostante aumentandone la durata. Tale fenomeno di ossidazione dell'alluminio è detto: “passivazione” . E' quindi giusto affermare che per ambienti molto umidi, come imbarcazioni da crociera o per usi molto frequenti come quelli che se ne fanno nei Diving Center delle aree tropicali, dove le stesse bombole entrano in acqua anche tre o quattro volte al giorno per circa otto mesi l'anno, è preferibile l'utilizzo di bombole in alluminio.

La Corrosione Galvanica – E' quel particolare fenomeno, denominato anche elettrolisi, che causa la parziale dissoluzione di uno dei due metalli che vengono a contatto attraverso una soluzione elettrolitica (acqua marina). Nel nostro caso i metalli in contatto sono quello della bombola (acciaio o alluminio) e quello della rubinetteria (generalmente ottone cromato). Questo fenomeno porta alla possibilità che vi sia nel tempo un deterioramento del metallo della bombola con formazione di piccole cavità o scomparsa di parte dei filetti della bombola stessa. Il fenomeno può essere riscontrato più facilmente nelle bombole in alluminio che in quelle in acciaio. Fortunatamente la cromatura delle rubinetterie in ottone ed il rivestimento protettivo delle bombole stesse, insieme ad un adeguato e periodico trattamento, impediscono nella maggior parte dei casi l'instaurarsi di questo fenomeno.

Pesi e Dimensioni – E' certamente a tutti nota la differenza di peso tra acciaio ed alluminio, quest'ultimo è infatti notevolmente più leggero rispetto al primo ( Acciaio Ps=7,85 kg/dm3 Alluminio Ps=2,60 kg/dm3 ). Un'altra differenza sta nella diversa resistenza dei due metalli (durezza) ciò fa sì che per bombole in alluminio a parità di pressione di esercizio siano necessari spessori di metallo maggiori ( Acciaio spessore 5 mm, Alluminio spessore da 12 a 18 mm ). Tutto ciò porta a due osservazioni: le bombole in acciaio a parità di capacità risulteranno leggermente meno pesanti (a terra) di quelle in alluminio, per via del maggior spessore di metallo di queste ultime, mentre le bombole in alluminio, pur pesando di più, risulteranno avere una galleggiabilità maggiore di quelle in acciaio. Possiamo dire quindi che: chi s'immerge utilizzando bombole in acciaio può considerare il peso della bombola scarica (senza quindi il peso della miscela respiratoria) come parte integrante della zavorra necessaria a scendere, mentre chi s'immerge con bombole in alluminio dovrà, oltre che compensare la diminuzione di peso dovuta alla diminuzione della miscela respirata durante l'immersione (cosa che è necessaria anche con le bombole in acciaio) anche compensare la galleggiabilità offerta dalle bombole in alluminio stesse. Queste, infatti, leggermente zavorrate, finiscono per offrire una galleggiabilità neutra che non disturberà la galleggiabilità del subacqueo quando questo dovesse avere necessità di separarsene.

LA CAPACITA'

Per quanto riguarda la capacità delle bombole subacquee attualmente possiamo affermare che c'è solo l'imbarazzo della scelta. Troviamo infatti bombole da 5, 10, 12, 15 e 18 litri e non è difficile reperire anche tagli intermedi come 3, 7 o 9 litri sia in alluminio sia in acciaio. Va però sottolineata, a parità di dimensioni esterne, la differenza di capacità tra bombole in alluminio e bombole in acciaio. Quest'ultime, a parità di dimensioni, presentano una maggiore capacità. L'acciaio infatti, come già detto, avendo una durezza maggiore dell'alluminio necessità di spessori più sottili, il tutto a vantaggio del volume interno della bombola, che risulterà maggiore.

Tabella Capacità, Pesi e Misure delle bombole
Capacità e materiale
Diametro in mm
Lunghezza in mm

Peso in kg

10 litri acciaio
178
570
10.08
12 litri acciaio
203
510
12.08
15 litri acciaio
203
620
16.09
18 litri acciaio
208
650
19.07
10 litri alluminio
176
655
12,7
12 litri alluminio
191
670
15,7



LE PUNZONATURE DELLA BOMBOLA E I COLLAUDI

Ogni bombola porta con se un suo passaporto. Si tratta di tutte quelle informazioni che si trovano punzonate sulla sua ogiva. È importante conoscerne il significato al fine di non commettere errori in fase di assemblaggio del rubinetto o di ricarica che potrebbero provocare spiacevoli incidenti. Di seguito riportiamo l'elenco delle punzonature che secondo l'attuale direttiva europea ( 97/23/EC Pressure Equipment Directive ) devono trovarsi sull'ogiva della nostra bombola.

M25x2 = tipo di filetto della rubinetteria
EN 1964-1 IT FABER 02/1301/024 = numero di matricole assegnato della bombola
CE 0062 UT = identificativo dell'organismo che collauda, UT sta per controllo ad ultrasuoni
3,8 MM = spessore minimo di progetto
010 KG = peso della bombola
V15,0 L = capacità della bombola
PS 200 BAR AT 15 °C = pressione di esercizio in bar
PS 318 BAR TS -50+65 °C = pressione di prova idraulica in bar (collaudo)
X = punzone del collaudatore
2004/01 = anno e mese di collaudo
BREATHING APPARATUS 1002 AIR/ARIA = tipo di gas
XXXXXXX XXXXXXX = punzonatura opzionale richiesta al produttore dal rivenditore

Per quanto riguarda il collaudo della bombola (test idrostatico) questo attualmente è previsto trascorsi 4 anni dalla data del primo (quello effettuato dal produttore). I collaudi successivi dovranno effettuarsi invece con cadenza biennale dalla data dell'ultimo collaudo punzonata sull'ogiva.

FILETTATURA RUBINETTERIA

Da anni si sentiva la necessità di uniformare il filetto delle bombole subacquee ad un unico passo al fine di evitare errori nell'assemblaggio dei rubinetti. Questo è finalmente accaduto, grazie ad una precisa normativa comunitaria ( UNI EN 144-1:2000 ) che non ha però risolto il vecchio problema. Nel passato, infatti il filetto generalmente utilizzato per le bombole subacquee era il noto ¾GAS , progressivamente sostituito dall'attuale M25x2 . Il problema sta nel fatto che mentre il vecchio ¾GAS non può essere avvitato su una bombola con filetto M25x2 è possibile riuscire a fare il contrario. Com'è facile intuire montando un rubinetto M25x2 su di una bombola con passo ¾GAS si ottiene un apparente buon assemblaggio tra i due, anche se, per arrivare al fine corsa del filetto della rubinetteria è necessario fare forza con un mazzuolo (cosa che può sembrare normale a chi ha poca esperienza con le bombole) a danno dello stesso filetto della rubinetteria. Ovvio che alla prima carica il rubinetto, che non presenta un'idonea tenuta dei filetti, potrebbe essere espulso dalla pressione, causando spiacevoli inconvenienti. Il problema dovrebbe comunque risolversi nel tempo. La norma comunitaria introdotta prevede infatti, la totale scomparsa delle bombole con il vecchio filetto ¾ GAS in un periodo definito di transizione che non può andare oltre il 2010.


CODICI COLORE PER LE BOMBOLE

Il subacqueo moderno si trova non di rado a trafficare con gas quali Ossigeno, Argon ed Elio, oltre ovviamente alla vecchia, ma sempre amata Aria, per la preparazione di miscele respiratorie adatte al proprio profilo d'immersione. La ricarica fai da te di miscele binarie (Nitrox) e Ternarie (Trimix) è infatti sempre più utilizzata, non solo da chi effettua immersioni tecniche, ma anche da chi semplicemente desidera aumentare i propri margini di sicurezza in immersione (immersioni ricreative utilizzando nitrox). Le bombole contenenti gas, sia per uso respiratorio che industriale, riportano una punzonatura sull'ogiva che ne identifica il contenuto. il contenuto è inoltre indicato mediante un preciso codice colore riportato sull'ogiva della bombola stessa.
Con Decreto 7 gennaio 1999 il Ministero dei Trasporti, ravvisando l'opportunità di uniformare le colorazioni distintive delle bombole nei Paesi CE, ha disposto l'applicazione della nuova norma UNI EN 1089-3 che prevede un sistema di identificazione delle bombole con codici di colore delle ogive e che differisce da quello attualmente usato in Italia. Il nuovo sistema di identificazione è divenuto obbligatorio per le bombole nuove dal 10 agosto 1999, ma fino al 30 giugno del 2006 è ammesso l'uso del vecchio sistema di colorazione ancora in circolazione. La codifica dei colori riguarda solo l'ogiva delle bombole, in generale il corpo della bombola può essere dipinto di qualsiasi colore che non comporti il pericolo di erronee interpretazioni.

Da notare che per l'uso subacqueo vale la colorazione per le miscele ad uso respiratorio (ricordiamo che l'aria è comunque considerata una miscela di azoto/ossigeno). Attenzione però, mentre per le miscele binarie elio/ossigeno (Eliox) è prevista una specifica colorazione nulla è sancito per le miscele respiratorie ternarie (Trimix). Ricordiamo comunque che ogni bombola contenente miscele diverse dall'aria va sempre contrassegnata in modo da indicarne il contenuto e la quota (profondità massima o minima) alla quale la miscela contenuta può essere respirata senza causare problemi

 

ALTRI ACCESSORI

CINTURE DI ZAVORRA

Usata per contrastare la galleggiabilità del proprio corpo e della muta, è formata in genere da una cintura in nylon con fibbia in metallo o plastica, su cui sono infilati dei pesi in piombo. I pesi, in diverse forme e misure, sono disponibili con o senza rivestimento in plastica ed anche a forma di piastre curve per una migliore adattabilità ai fianchi. Un altro tipo di cintura è realizzata in materiale morbido con delle tasche in cui inserire i pesi o dei sacchetti di pallini di piombo. Altre cinture sono elastiche, utili per compensare la riduzione di spessore della muta in profondità. Esistono anche cinture di zavorra con bretelle, utilizzate quando si devono portare molti pesi, per ridurre lo sforzo sopportato dalla parte bassa della schiena. Tutte le cinture, al di là del tipo e modello, devono essere provviste di un sistema a sgancio rapido, azionabile con una sola mano, per liberarsi velocemente della zavorra in caso di necessità.

MANOMETRI

Un erogatore non è completo se al suo primo stadio non è collegato un buon manometro, che indichi la pressione esistente nella bombola. Un tempo le rubinetterie delle bombole disponevano di complessi meccanismi di "riserva", potenziale causa di ulteriori problemi, poi si è verificato come un buon manometro fosse più semplice e più affidabile, purché il subacqueo si ricordi di controllarlo durante l'immersione.

PROFONDIMETRI

Per potere scendere sott'acqua in sicurezza è necessario conoscere esattamente la profondità e la durata dell'immersione. Per questo i subacquei devono disporre di profondimetri ed orologi subacquei. I profondimetri, un tempo molto diffusi oggi sono sempre più spesso soppiantati dai computer d'immersione.

PALLONI SEGNASUB

Per la legge italiana il subacqueo in immersione deve essere segnalato da una bandiera rossa con diagonale bianca, visibile per tutto l'orizzonte da almeno 300 metri di distanza. Quando non è disponibile una imbarcazione con questa bandiera i subacquei devono trascinare sulla superficie un apposito pallone, su cui sia presente la bandiera (è infatti essa e non il pallone a segnalare il subacqueo).

BORSONI

E' consigliabile munirsi di borse, nelle quali raccogliere tutte le attrezzature, per trasportarle più facilmente. Sono da preferire quelle in nylon o tela resistente poiché non ammuffiscono facilmente. Il mercato offre borse per l'equipaggiamento create appositamente per la subacquea, estremamente funzionali, in quanto dispongono di tasche speciali per gli erogatori, le pinne e per gli strumenti. Molte sono anche provviste di compartimenti stagni, in cui riporre l'abbigliamento e tutto ciò che non si deve bagnare. Sono anche realizzate in versione "zaino" e persino con ruote.

 

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