Lizia Dagostino - Pubblicazioni

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MANAGER, CONOSCI TE STESSO!

Recensione di Lizia D’Agostino
Risorse Umane in Azienda, anno II n. 3 Gennaio 1991

La parola d’ordine dei nostri tempi è crisi, nei vari settori della vita: sociale, politico, economico, agricolo, industriale, ambientale... E di crisi si parla anche nella sfera del privato, del personale: modificazioni riguardo a ruoli, mansioni, capacità, nuove figure professionali emergenti.

In questa realtà sociale ed aziendale in crisi di crescita e di cambiamento così varia, problematica, in quest’epoca di transizione si inserisce uno studio di Gareth Morgan, pubblicato da Franco Angeli (Sull’onda del cambiamento), Milano 1989.

Obiettivo dichiarato del libro è illustrare le nuove competenze richieste al manager in sfida verso il Duemila. L’obiettivo raggiunto, ma non dichiarato, è il paradosso che, in realtà, non esistono “nuove competenze”.

Da Morgan viene, infatti, delineato non tanto un nuovo Stile di management, ma un modo antico di essere uomini sani ed operativi.

La competenza non è più fare determinate scelte o vestire un determinato ruolo, ma è, soprattutto, capacità di divenire e di proporsi autentici ed assertivi attraverso un continuo cambiamento. L’innovazione dello scenario scientifico e tecnologico trasforma la sicurezza in illusione in molte realtà aziendali.

“Sull’onda del cambiamento” suggerisce l’immagine e il sentimento davanti ad un infinito e imprevedibile mare: l’unica certezza è il movimento che non si può guidare ma si può interpretare e prevedere. Morgan propone un modo diverso di leggere la situazione presente, imparando fra le righe a decodificare la realtà perché è qui e ora la chiave di lettura del futuro; quello che accadrà domani non arriverà dal cielo: esiste già. Bisogna, allora, intuire e rappresentare i segnali del nostro tempo.

I managerdovranno dotarsi di antenne sensibilissime per scoprire i più impercettibili segni di crisi e di cambiamento…“ (pag. 23).

Le varie componenti strutturali e funzionali del libro riviste e ricomposte attraverso la nostra riflessione sono:
1) La filosofia
2) I principi teorici
3) La pratica
4) La finalità

L’autore propone una filosofia proattiva, capace, cioè, di anticipare i tempi, in cui si coglie uno stato d’animo disponibile alla novità e al cambiamento e una capacità di fotografare la situazione presente e di utilizzare, contemporaneamente il vissuto e i valori del passato.

Un altro punto importante di tale filosofia è trasformare in positivi i lati negativi delle situazioni e, in generale, degli esseri umani.

Queste considerazioni richiamano i concetti base della filosofia “analitico-transazionale”. Infatti, l’idea berniana di personalità “sana” viene inconsapevolmente ripresa da Morgan nell’immagine presentataci di un manager funzionante, come direbbe E. Berne, “con tasti bianchi e neri”. Parliamo di una persona che abbia integrato le varie parti di sé, che riesca a darsi varie opzioni e che sia consapevole delle sue scelte.

Il programma proposto è, allora, di allargare i campi d’azione, di aumentare l’energia, non tanto di aggiustare gli errori. In quest’ottica non è neanche necessario trasformare il negativo in positivo, visto che il negativo ha già in sé energia positiva che va liberata.

LAVORARE SULLA PROPRIA PERSONALITÀ
E’ interessante prendere come esempio la sfida del manager che viene restituita alla persona come valore da non distruggere, ma da utilizzare come energia per costruire. La sfida, in questo senso, è potenza. Non è più spingere l’altro nel precipizio, ma offrire a se stessi nuove possibilità.

L’autore sottolinea che “gli avvenimenti si creano...“ (pag. 54): il manager, infatti, ha autorità e responsabilità ma questo può diventare una magia se non specifichiamo che il dirigente non ha il potere di creare dal nulla ma può utilizzare le occasioni, può scegliere dopo aver capito e vissuto la situazione. La realtà è che non si può invertire la marcia, non si può tornare indietro quando è evidente che non si è sulla strada del successo; l’unica possibilità è vivere la circostanza e utilizzarla.

Vincere non significa risolvere la situazione ma averla risolta oggi.
Questo vuol anche dire che non ci sono regole o formule per riuscire.

Come lo stesso Morgan avverte: “La vera risorsa primaria, quella di cui c’è più bisogno, è gente di prim’ordine” (pag. 82).

Quindi è indispensabile reclutare gente giusta “creando nella propria azienda un ambiente favorevole alla sua efficienza e alla sua crescita professionale...“ (pag. 83); “per imparare questa capacità non esistono né occorrono manuali, occorre solo saper camminare con la gente: non è una questione di tecniche” (pag. 91). Ma, sicuramente, aggiungiamo noi, è una questione di lavoro sulla propria personalità: sapere chi si è, quali sono i punti di forza su cui poter contare, i lati di sé che piacciono meno. Significa riprendersi il proprio potere ma anche i pericoli che ci sono in esso.
Vincere come manager è vivere la realtà, non vederne solo il guscio.

L’autore sa di dover parlare più di uomini e di idee che non di fatti a venire perché il rischio è che si giochi a fare il manager più che esserlo. Il fine, l’unico obiettivo da raggiungere, è la consapevolezza, non l’intellettualizzazione. La consapevolezza porta verso l’autonomia e la liberazione della propria personalità, l’intellettualizzazione, invece, si trasforma, spesso, nell’espressione selvaggia di ciò che si è letto e sentito ma non appreso.

G. Morgan offre egli stesso un esempio di come il manager moderno deve avvalersi della collaborazione autonoma dei suoi operatori. Per la stesura del suo libro utilizza, infatti, il contributo dei dirigenti e degli imprenditori da lui coinvolti nella ricerca.

E proprio un direttore generale ad affermare : “E sorprendente quanto sia abile e ingegnosa la gente quando deve affrontare situazioni nuove: sono sempre all’altezza della situazione. Il guaio è che non hanno quasi mai l’occasione di dimostrarlo” (pag. 84).

Al manager l’arduo lavoro di supervisionare, raccogliere, unificare le informazioni, le idee, le proposte. Fare supervisione non è correggere i compiti, controllare o “trasmettere ordini da eseguire meccanicamente” (pag. 75). Significa creare una situazione di apprendimento in cui tutti scelgono di imparare qualcosa.

E’ importante che il manager, quindi, lavori “in un ambiente di eguali e anziché isolarsi al vertice del settore di sua pertinenza, interagisca con una rete di gruppi autogestiti” (pag. 113).

L’apprendimento, allora, diviene un processo di vita e di lavoro continuativo personale ed originale. Da qui scaturisce una nuova idea sulla competitività: la creatività non può essere paragonata e quindi cade il presupposto per il confronto improduttivo con l’altro che non sarà migliore o peggiore di me, ma diverso. Nella pratica queste considerazioni portano ad utilizzare strumenti e tecniche come la direzione via elicottero e la direzione via cordone ombelicale.

Tali metodi promuovono l’autogestione, la necessità di un continuo aggiornamento professionale, la ricerca e il bisogno di un senso critico e di un dibattito costruttivo.

Il decentramento delle strutture organizzative è, essenzialmente, la capacità di trovare “il giusto equilibrio fra delega e controllo diretto” (pag. 39). Il concedere agli altri poteri sempre più ampi presuppone non soltanto una moda ma una conquista personale: è, ancora una volta, 1’“Io vado bene - Tu vai bene” proposto dall’Analisi Transazionale. Non è il principio popolare di volersi tutti bene: è la profonda convinzione che ciascun essere umano ha potenzialmente la responsabilità e la capacità per vivere in autonomia. Questa è, insieme all’interdipendenza, la finalità che Morgan ci propone di raggiungere nell’azienda al passo con i tempi.

Necessitano, quindi, uomini che siano consapevoli e che creino, di conseguenza, “una cultura che crede in se stessa” (pag. 99).

La consapevolezza è non solo legata al sapere ma ad un processo interno di crescita; in tale prospettiva l’apprendimento diviene anche cambiamento.

Eccessi da evitare saranno sicuramente, come Morgan sottolinea, “l’astrazione e l’analisi” (pag. 43) e noi aggiungiamo anche la sintesi sterile e la concretezza non mirata ai bisogni del momento.
Ma una caratteristica del testo di Morgan che lascia perplessi è la grande quantità di “deve ... dovrà ... dovrebbe ...“ con cui l’autore invita il manager del 2000 a rimettersi in carreggiata.

Per cui egli “deve guardare avanti” giacché “la parola chiave è forza”, deve essere capace di ”giocare d’anticipo” di ”sostenere”, “creare”, “armonizzare”, “organizzare”, “dirigere”, “intuire”, “comunicare”, “risolvere”..., perché, conclude il nostro autore, “non è il capitale che scarseggia ma il coraggio...” (pag. 174).

Con gli ordini di agire il più in fretta possibile e in maniera eccellente, con la maledizione di non aver tempo per... e di non poter riuscire se non..., abbiamo il dubbio che il manager del 2000 si senta con le spalle al muro: potrà così divenire vittima dei suoi doveri e persecutore dei suoi collaboratori, anche se il suo ideale resterà sempre quello di salvare ad ogni costo l’azienda.

Ci sembra, a questo punto, doveroso permettere al dirigente di vivere al di là dei suoi limiti, delle situazioni, a volte, non gestibili, dei problemi non risolvibili in una visione sicuramente meno efficiente ma più concreta ed umana della realtà, specialmente di quella italiana.

Pag. 1
Pag. 2

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