Della
giovinezza di Lucio Anneo Seneca le notizie sono molto labili. Si sa
che nacque in Spagna, a Cordova, tra il 4 e l'1 a.C. Il
padre Seneca Retore lo condusse a Roma quando egli era ancora giovane e
qui frequentò Sozione il Giovane, filosofo neopitagorico,
Attalo, filosofo stoico, e Papirio Fabiano. Intraprese la carriera
oratoria nel 31 e presto divenne senatore. I
primi scontri col potere risalgono al 39 quando rischiò la
condanna a morte sotto il principato di Caligola. Nel 41 fu vittima di
un pettegolezzo che lo voleva amante della sorella di Caligola, Livia
Drusilla e per questo venne esiliato fino al 49 dall'imperatore
Claudio. Il ritorno a Roma venne sostentato da Agrippina la quale,
morta Messalina, preparava la successione al trono al figlio Nerone e
vedeva in Seneca un buon consigliere per il figlio, visti i
risentimenti del retore nei confronti dell'imperatore. Morto Claudio
nel 54, per avvelenamento, gli succedette proprio Nerone con affianco
Seneca e il pretore Afranio Burro. Presto
nell'animo di Nerone iniziarono ad affiorare sintomi di pazzia e
crudeltà che gli fecero commettere crimini assurdi come gli
omicidi del fratellastro Britannico nel 55 e della stessa Agrippina nel
59. Seneca rimase al fianco dell'imperatore ancora fino al 62, anno in
cui, morto Burro, forse per avvelenamento, Tigellino prese il suo
posto, appoggiando e aiutando l'imperatore nelle sue malefatte. Seneca
intraprese un periodo di studi e di composizione di alcune importanti
opere. Nel
65 venne sventata la "congiura dei Pisoni" nei confronti di Nerone.
Seneca non riuscì a dimostrare la propria
estraneità ai fatti e decise di dimostrare la sua innocenza
suicidandosi con la moglie Paolina.
Le opere in prosa
Le
opere in prosa di Seneca sono per lo più di carattere
filosofico. Sono giunti fino a noi i trattati De Clementia, Naturales
quaestiones, la raccolta Epistulae morales ad Lucilium e i
Dialogi. I Dialogi contengono vari libri tra cui De
providentia, De ira, De vita beata, De tranquillitate animi, De
brevitate vitae, De otio, De constantia sapientis. In
realtà, non si tratta di veri e propri dialoghi in quanto
Seneca si riferisce ad interlocutori sempre diversi.
I
Dialogi
Seneca
dedica ad Anneo Sereno il De constantia sapientis. Sereno era un
funzionario di corte che, sulle orme di Seneca, aveva abbandonato
l'epicureismo in favore dello stoicismo. Seneca tratta della saldezza
interiore del saggio che, in virtù di tale saldezza, non
può essere ferito dalle ostilità (iniura) altrui. Anche
il De otio è dedicato a Sereno ed è un trattato
sulle cause che possono impedire allo stoico di impegnarsi nella vita
pubblica. Seneca rivaluta l'otium inteso come vita contemplativa
facendo emergere che esso permette di dedicarsi alla ricerca della
verità stoicamente intesa. Il
tema della sostituzione dell'otium alla vita politica è
presente anche nel trattato De tranquillitate animi, unico vero
dialogo. Seneca parla della ricchezza come fonte di turbamento per
l'anima e indica dei consigli per conseguire la serenità
dell'animo. Tale serenità è caratterizzata da uno
stato di placidità e di imperturbabilità
derivante dalla consapevolezza di aver intrapreso la stoica via della
virtù. Seneca
dedica al fratello maggiore Lucio Anneo Novato il trattato De ira
riprendendo il tema dell'iniura trattato nel De constantia sapientis:
è l'iniura che genera l'ira facendo sprofondare l'uomo
nell'incoscienza, nella crudeltà e nella vendetta. Seneca si
rivolge in particolar modo ai potenti, esortandoli a non farsi prendere
dall'ira. Sempre
al fratello dedica il De vita beata. Qui Seneca affronta il problema di
dove risieda la vera felicità. Alla fine, si evince che
Seneca sia convinto del fatto che la essa risieda non nel piacere
epicureo ma nella ricerca della virtù secondo la concezione
stoica. La felicità intesa in tal senso diviene armonia
interiore, massimo connubio di umano e divino e rende l'uomo felice di
se stesso e della propria vita. Il
De providentia è dedicato a Lucilio. Qui Seneca si pone il
problema di come mai le sventure capitino sempre agli uomini migliori.
Egli stesso risponde dicendo che le sventure sono solo in apparenza
tali ma che in realtà esse servano a temprare la
spiritualità dell'uomo forte e ad accrescerne la fede nel
fato divino. La provvidenza fa soffrire chi è forte per
mettere alla prova la sua virtù. Seneca,
nel De brevitate vitae, tratta l'argomento del rapporto tra l'uomo e il
tempo. Seneca sostiene che l'esistenza umana non è affatto
breve ma è l'uomo che la rende tale nel costante affannarsi
in vista del futuro e della morte. Egli spreca il suo tempo in
attività inutili che si preoccupano delle aspettative; il
saggio, invece, sa trarre il meglio da ogni istante che passa.
Seneca
Il
De Clementia
Il
De Clementia si compone di tre libri. L'opera è dedicata al
nuovo sovrano Nerone. Seneca lo esorta ad usare il proprio potere con
moderazione e giustizia, astenendosi dall'usarlo in vendette private o
pubbliche. Nel libro I Seneca descrive la clementia come sentimento
contrastante la crudelitas propria del tiranno. Essa è la
virtù di chi soprassiede nonostante la
possibilità di vendicarsi. Il tiranno fa l'opposto. Il
trattato tratta due temi diversi: uno teorico e uno pratico. Da una
parte Seneca giustifica Nerone come l'unico in grado di poter dare
benessere ai cittadini, dall'altro egli si rivolge proprio a Nerone
dicendogli che non ha bisogno di fortificarsi materialmente
perché non esiste migliore difesa della benevolenza del
popolo. Dall'opera
emerge la concezione politica di Seneca. Non potendo esserci i
requisiti per un regno governato dai filosofi egli è
convinto che essi possano comunque svolgere la propria opera di
consigliere al fianco del sovrano. Seneca ammette un principato
purché sia nelle mani di un saggio e dichiara ormai morto il
periodo repubblicano, giustificando l'impero con l'evoluzione dei tempi
che ha portato alla nascita di nuovi valori e aspirazioni che trovano
tutte risposte nell'impero.
Le Naturales
quaestiones
L'opera,
costituita da 7 libri e dedicata all'amico Lucilio, è
un'opera della vecchiaia. Ha un contenuto naturalistico-scientifico ma
non manca tuttavia la costante attenzione che Seneca ha per l'uomo.
L'opera si propone di liberare l'uomo dalle paure dei fenomeni
naturali. Nel primo libro tratta l'arcobaleno e le meteore, nel secondo
tuoni, fulmini e lampi, nel terzo le acque terrestri, nel quarto le
piene del Nilo, le nubi e le precipitazioni, nel quinto i venti, nel
sesto i terremoti e nel settimo la natura e il moto delle comete. Seneca
si propone di raggruppare nella sua opera tutte le conoscenze fino ad
allora raggiunte dalla meteorologia, intesa nel senso antico del
termine, cioè studio dei fenomeni di interazione tra cielo e
terra. Partendo da una base scientifica, Seneca crea numerose
digressioni di carattere moralistico (l'uso degli specchi, la cupidigia
degli uomini alla ricerca dei metalli) toccando tutti i temi cari al
suo pensiero: l'origine di dio, dell'uomo, lo scopo della vita, il
perché esista un distacco degli uomini dalla filosofia, la
libertà.
Le
Epistulae morales ad Lucilium
Si
tratta di 124 lettere raccolte in 20 libri scritte nel periodo di
ritiro dalla vita politica (62-65 d.C.). l'opera è
considerata il capolavoro filosofico e artistico di Seneca, il picco
più alto e maturo del suo pensiero. Non
si sa con certezza se queste lettere siano poi state realmente inviate
a Lucilio ma qualche è certo è che esse non
fossero indirizzate solo a lui ma a tutte le generazioni successive che
avessero avuto il desiderio di crescere moralmente. La forma epistolare
permetteva a Seneca di esprimere liberamente i propri concetti senza
l'obbligo della schematicità dei trattai filosofici. L'opera
finale è un intreccio di temi diversi, alcuni già
trattati nei Dialogi, espressi mediante riflessioni incisive e fulminee
ora col compito di fare da consigli morali ora con il dovere di
affrontare questioni filosofiche e dottrinali. L'obiettivo è
la crescita di tutto il genere umano, non solo Lucilio, che deve
prendere coscienza di sé. Un
tema spesso ricorrente nelle Epistulae è l'elogio
dell'otium, della vita ritirata che permette di coltivare la propria
spiritualità e la propria saggezza in modo da pervenire alla
propria coscienza. Da qui il motto senecano Recede in te ipsum
("Ritirati in te stesso"). Quest'idea, espressa così
chiaramente non trova precedenti in nessuna filosofia greca o romana. Seneca
dà notevole importanza alla coscientia. Essa è il
giudice che vive nell'uomo, la consapevolezza del bene e del male; di
conseguenza l'uomo può anche sfuggire alla legge ma non al
rimorso e alla paura della propria coscienza. Nella
profonda analisi che Seneca fa della personalità umana, il
filosofo scopre il fattore divino che risiede in ogni uomo. I toni che
egli usa suggestioneranno, in seguito, i lettori cristiani:
"[…] Dio è vicino a te, è con te,
è dentro di te. […] in noi dimora uno spirito
sacro che osserva e controlla le nostre azioni buone e cattive; a
seconda di come noi lo trattiamo, lui ci tratta. In verità,
nessun uomo può esser virtuoso senza Dio". Seneca scopre,
nelle profondità dell'animo umano, un Dio che è
vicino agli uomini che ha i caratteri di un buon padre, che protegge ed
ascolta gli uomini stessi. Seneca
tratta il sentimento dell'humanitas avvicinandosi vertiginosamente alla
dottrina cristiana. La sensibilità con cui egli dice di
trattare gli schiavi è propria della dottrina cristiana:
"Comportati con chi ti è inferiore come vorresti che si
comportasse con te chi ti è superiore". Seneca è
pronto a concedere allo schiavo tutta la dignità che l'etica
del suo tempo gli negava, evidenziando come lo schiavo e il padrone
vivano l'uno in funzione dell'altro. Seneca
pone, come mezzo per il raggiungimento della virtù, la
volontà: "Di che cosa hai bisogno per essere buono? Di
volerlo!". La volontà è indipendente dalla
conoscenza e non è spiegabile mediante un meccanismo
razionale perché "la volontà non si impara";
nemmeno Seneca riesce a spiegarsi come essa abbia origine: "Non potrai
citarmi quomodo quod vult coeperit velle (qualcuno che sappia come
abbia cominciato a volere ciò che vuole): non vi
è stato condotto dalla riflessione ma dall'impulso." Ad
ogni evento di vitalità, Seneca contrappone il tema della
morte. È la legge della natura che chi è nato
debba morire, prima o poi, dunque: "[…] Chiunque si lamenta
che qualcuno è morto si lamenta che sia stato uomo." L'uomo
ha il compito di prepararsi alla morte, serenamente, come fece Socrate.
In questo può aiutare la filosofia che rende l'uomo libero,
sereno e cosciente di sé, quindi felice di essere uomo.
La
filosofia di Seneca non può essere accostata a nessuna
scuola filosofica. Fu decisamente uno stoico ma abbracciò
anche le dottrine platoniche e neo-pitagoriche, senza disdegnare alcuni
insegnamenti i Epicuro. Seneca
rimane un rinnovatore nel moderare i termini e smussare i margini dello
stoicismo, dimostrandosi sempre aperto a nuove correnti e mostrando la
vitalità e la fecondità dei principi platonici ed
epicurei.