Filosofia



Nietzsche



Vita e scritti
Filosofia e malattia: nuovi punti di vista critici
La denuncia delle "menzogne millenarie" dell'umanità e l'ideale di un "super uomo"
Nietzsche e Schopenauer
Il "dionisiaco" e l'"apollineo" come categorie interpretative del mondo greco
L'accettazione totale della vita
La critica della morale e la trasvalutazione dei valori
La critica al positivismo e allo storicismo
La "morte di Dio" e la fine delle illusioni metafisiche
Il grande annuncio, il racconto dell'uomo folle
Morte di Dio e avvento del superuomo
Crisi del mondo vero e della metafisica platonica
Il problema del nichilismo e del suo superamento
L'eterno ritorno
Il superuomo e la volontà di potenza






Vita e scritti

Nietzsche è stato inquadrato in vari modi: come filosofo della liberazione e come filosofo del nazismo. A prescindere, comunque, dalla interpretazione che si vuole dargli, ciò no toglie che egli rimanga tuttora uno dei filosofi più letti, studiati e tradotti.
Freidrich Nietzsche nacque a Rocken presso Lutzen nel 1844. Fu studente di filologia classica a Bonn e Lipsia e in quegli anni maturò in lui l'entusiasmo per il romanticismo e la cultura greca. Fu da studente che lesse e si innamorò dell'opera di Schopenhauer, "Il mondo come volontà e rappresentazione".
Nel 1869, appena ventiquattrenne, gli venne offerta la cattedra di filologia classica di Basilea. Nel 1872 pubblicava la sua prima opera "La nascita della tragedia" e in quegli anni andava affievolendosi la grande amicizia che aveva stretto col famoso musicista Wagner, di cui ammirava lo spirito romantico e l'impeto fervente. Col passare del tempo, tuttavia, Nietzsche lo vedeva sempre più come l'estremo rappresentante del Romanticismo, arrivando a scorgere sempre più nell'ultima fase dell'opera del musicista, un abbandono ai valori del cristianesimo che sapeva di rassegnazione. Nel 1878 pubblicava "Umano, troppo umano", che segnò il definitivo distacco da Schopenhauer e Wagner.
Già nel 1875, tuttavia, egli dovette rinunciare alla propria cattedra per via di un indebolimento della salute e iniziò la sua vita di inquieto e nervoso, trascorsa tra la Svizzera e il Nord Italia nella eterna speranza, sempre delusa, di avere dei seguaci e dei discepoli.
La pubblicazione, nel 1882, de "La gaia scienza", lo convinse di essere il portatore di una speranza per l'umanità col compito di condurla verso il nuovo destino. Un incidente, tuttavia, stroncò tali speranze: nel 1882 conobbe una giovane finlandese di 24 anni, Lou Salomè, nella quale egli crede di aver trovato una fedele discepola. Ella però finisce col rifiutare di sposarlo e con l'unirsi in matrimonio con un altro suo discepolo.
Tra il 1883 e il 1888 egli pubblica le sue opere più importanti: "Così parlò Zarathustra" e "Al di là del bene e del male" sono le sue due opere fondamentali. Nel frattempo, egli si era stabilito a Torino.
Nel 1889 fu un accesso di pazzia che lo trascinò nel buio di una malattia che lo avrebbe torturato per 10 anni ancora. In quel periodo egli era precipitato nelle tenebre della pazzia da cui sporadicamente riaffioravano ricordi della tormentata esistenza. Nietzsche moriva il 25 agosto 1900, mentre tutte le sue opere, sconosciute fino a qualche anno prima, giravano già per il mondo.
Fu la sorella, poi, che riappropriatasi dei manoscritti originali li modificò per tentare di dare al fratello la fama di un teorico di una palingenesi rivoluzionaria e furono quelle manipolazioni che portarono alle interpretazioni naziste dell'opera nietzschiana.



Filosofia e malattia: nuovi punti di vista critici

Per lungo tempo si è pensato alla malattia di Nietzsche come un fattore screditante, che avesse condizionato il suo pensiero o che ne fosse il risultato. In ogni modo essa veniva vista comunque in modo negativo.
Le nuove interpretazioni che si sono date delle opere di Nietzsche hanno permesso di vedere la malattia come base della sua filosofia, o viceversa, arrivando, in qualche settore, a valorizzare la malattia stessa: in pratica, sarebbe anche grazie alla sofferenza e alla malattia che Nietzsche, libero dalle illusioni dei sani, ha potuto vedere il mondo in un modo del tutto innovativo.
Oggigiorno c'è tuttavia il rifiuto totale di giudicare la filosofia di Nietzsche (come di tutti gli altri filosofi, d'altronde) in funzione di particolari eventi biografici affidandosi solamente ad un'analisi oggettiva del suo filosofare.




La denuncia delle "menzogne millenarie" dell'umanità e l'ideale di un "super uomo"

Nietzsche occupa un ruolo da protagonista nel vasto processo di "demistificazione" del mondo. La filosofia di Nietzsche, infatti, è una continua distruzione di miti e credenze della cultura occidentale, i cui uomini, afferma, per poter sopportare il caos della vita, hanno dovuto crearsi delle illusioni e dei miti irraggiungibili, tesi che ricorda in questo Feuerbach, di natura religiosa, metafisica o morale. Tali illusioni non sono altro che utopie irraggiungibili, necessità di sopravvivenza infeconde che il filosofo, mediante intraprese di "percorsi proibiti", ha il compito di abbattere.
Ciò che egli scrive in "Ecce homo", a tal proposito, credo non necessitino di commenti: "Conosco la mia sorte. Sarà legato al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme – una crisi quale mai si era vista sulla terra. […] Io non sono un uomo, sono una dinamite."
Quest'opera di demolizione, tuttavia, non si limita ai semplici sistemi di credenze o idee ma sfocia in una critica sistematica di tutta la cultura occidentale (da buon amante di Schopenhauer) e del suo prodotto più fallito: l'uomo, individuo anti-vitale sottomesso ad un'autorità precostituita.
Il rifiuto del passato avviene, tuttavia, nel momento in cui Nietzsche contempla già una soluzione: all'uomo del passato egli sostituisce un uomo del futuro, un superuomo, simbolo della nuova, libera umanità.
Egli non procede per idee sistematiche, ordinate, come la critica di Kant, ma va avanti per aforismi, profezie, allusioni che lasciano il testo libero a qualunque interpretazione (anche un'interpretazione nazista).





Nietzsche e Schopenhauer

L'amore di Nietzsche per Schopenhauer si esaurirà presto ma l'influenza che il filosofo dell'ascesi avrà sul primo sarà costante.
La concezione della vita elaborata da Schopenhauer accompagnerà sempre il procedere di Nietzsche. Entrambi convergono sul concetto di vita come dolore, lotta, sconfitta, crudeltà, tempo trascorso in balìa del caso (o meglio, del caos) solo che Schopenhauer, come soluzione, individuerà l'ascetismo, la liberazione di e da sé, la fuga mentre Nietzsche opterà per accettazione della vita. Egli, infatti, profetizzerà il prendere positivamente la vita nei suoi caratteri originari, accettarla per quella che è, superando così l'uomo in favore del superuomo. Tutta la sua opera è improntata per l'accettazione totale ed entusiastica della vita e Dioniso rappresenta il simbolo divinizzato di tale filosofia e Zarathustra ne è il profeta.




Il "dionisiaco" e l'"apollineo" come categorie interpretative del mondo greco

Perno fondamentale de "La nascita della tragedia" è la differenziazione di "dionisiaco" e "apollineo", concretizzata da una serie di opposizioni (istinto-ragione, oscurità-luce, infinito-finito, coscienza-incoscienza) tutte presenti in Natura –nella quale vige la contrapposizione tra infinito e finito, cioè tra Principio ed Essere che da esso deriva e in esso termina (la dottrina dell'àpeiron) –e che rappresentano le caratteristiche fondamentali del mondo greco  e della sua espressione artistica. Il dionisiaco scaturisce, infatti, dalla fora vitale e dal caotico divenire e si esprime nella musica; l'apollineo è invece l'atteggiamento di fuga di fronte al flusso degli eventi e si esprime nelle arti plastiche.
Nietzsche insiste sul carattere fondamentalmente dionisiaco del mondo greco, la cui sensibilità ovunque scorge il dramma della vita e della morte e cerca di darvi, se non una soluzione, almeno un sollievo. Tale sollievo è rappresentato dagli dèi olimpici, i quali altro non sono che il tentativo dell'uomo greco di sublimare, fondere la morte e l'orrore in qualcosa di piacevole e meno amaro per dimenticare di essere uomini.
Nella Grecia presocratica, impulso apollineo e impulso dionisiaco vissero indipendentemente. In un secondo periodo, che Nietzsche inquadra nel periodo della tragedia attica di Sofocle ed Eschilo, le due categorie si fusero insieme per creare capolavori di indubbia magnificenza, accoppiamenti perfetti di musica (dionisiaco) e interpretazione (apollineo).
Sull'origine della tragedia viene ripresa l'idea secondo cui essa sarebbe nata dal coro tragico dei seguaci di Dioniso trasformati in capri. A questa visione mitica, egli propone una nuova interpretazione includendo i concetti di dionisiaco e apollineo: in sostanza, egli afferma che la tragedia nasce quando Dioniso viene "rappresentato" da una serie di immagini, quando la musica prende forma in un'interpretazione sul caos della vita, cioè sulla vita dell'eroe.
Nel periodo successivo, l'apollineo prevale sul dionisiaco, fin quasi a soffocarlo, dando così inizio ad un periodo di decadenza che inizia con la tragedia di Euripide e trova spiegazione nella dottrina di Socrate, il quale, al mondo istintivo dionisiaco, contrappone l'ideale di un procedere raziocinante e misurato.




L'accettazione totale della vita

Nietzsche propone un fervido ritorno alla figura di Dioniso, in quanto in essa egli vede il simbolo dell'accettazione felice e potente della vita, il dire un totale "sì" al mondo. Egli è il simbolo dell'accettazione infinita della infinita vita. Tale accettazione però non è affatto rassegnata, bensì felice. Infatti, qualunque rassegnazione è segno di infelicità mascherata. Tutte le mortificazioni di sé, dei propri valori, le virtù che puniscono l'energia vitale finiscono con l'annullare lo spirito dionisiaco. Dioniso è il dio della gioia, della risata, del canto ed è nel suo spirito che si trasforma il dolore in gioia, l'oscurità in luce, il finito in infinito, la distruzione in creazione. Per Nietzsche, dunque, sono virtù tutte le predisposizioni che dicono sì al mondo. Liberando il proprio istinto primitivo, l'uomo ritrova Dioniso e, invece di rinunciare ai valori della vita, li accetta e li gode.
La filosofia di Nietzsche, tuttavia, influenzata da Schopenhauer, non è una accettazione cieca: egli è cosciente del momento tragico dell'essere. Nietzsche critica il pessimismo come segno di decadenza e l'ottimismo come segno di superficialità portando verso una visione limpida della vita, verso una accettazione di tutte le sue contraddizioni.




La critica della morale e la trasvalutazione dei valori

Secondo Nietzsche la morale è stata sempre individuata come una serie di accettazioni che si auto-impongono all'individuo. Nel suo processo di demistificazione, Nietzsche si assume il compito di porre un dubbio, un sospetto per smontare la morale stessa: egli afferma che, in definitiva, è sempre mancata una critica oggettiva che porti ad una maturazione e ad una coscienza del "valore dei valori" che compongo la morale. In sostanza, egli analizza i valori e le "virtù" che fanno parte della morale, ponendo il dubbio che essi non siano poi perfetti come si è sempre creduto.
Sostanzialmente egli afferma che tali valori e la morale stessa altro non siano che una proiezione nell'uomo di specifiche tendenze umane, di determinazioni imposte non da Dio ma da altri uomini (la voce della coscienza è la voce degli altri uomini). Questo spiega anche come la morale umana si sia evoluta con gli uomini. La moralità, in definitiva, è secondo Nietzsche, "l'istinto del gregge nel singolo individuo", ovvero la sua obbedienza a determinazioni imposte dalle classi d'èlite.
Tale morale, però, era in un primo momento, soprattutto nel mondo classico, una morale improntata verso un istinto vitale, dettata da classi cavalleresche (morale dei signori), positiva, fiera. In un secondo momento, col cristianesimo, si ha la cosiddetta "morale degli schiavi", dei sacerdoti che professano l'abnegazione, il sacrificio di sé e, quindi, una morale anti-vitale.
Com'è avvenuto il passaggio tra morale dei signori e morale degli schiavi? Nietzsche trova la risposta nel fenomeno del "risentimento", cioè della vendetta del debole sul più forte: all'inizio, i soldati, "profeti del corpo", professavano la morale dei signori, etica della gioia e della fierezza. In seguito, i sacerdoti, "profeti dello spirito", invidiosi del loro potere, hanno iniziato a professare la morale del sacrificio, il cristianesimo, secondo cui chi è sconfitto è buono, chi è povero, sofferente, umile è devoto e, secondo un'equazione a detta di Nietzsche falsa, essi sono anche buoni. Tale azione, che antepone lo spirito al corpo, l'orgoglio all'umiltà, la fierezza alla codardia, è il risentimento del debole (il sacerdote) che, non potendo battere il forte (il soldato) sul campo della forza del corpo, lo batte sul campo della forza dello spirito, illudendosi così di vincerlo.
Nietzsche vede la genesi di tale trasformazione nel popolo ebreo, il popolo per eccellenza "sacerdotale", il quale, in Giudea, subite le angherie dei romani hanno cercato rivalsa nel cristianesimo dichiarandosi vincitori perché sconfitti. Nietzsche scorge dunque nel cristianesimo occidentale, l'input di anti-vita che ha portato l'uomo a mettersi contro la vita stessa.
Il cristianesimo dunque, crea un uomo oppresso, auto-tormentato, che non riesce a pacificare i propri sensi di colpa e che, sotto una maschera di apparente felicità, nasconde un'innata aggressività verso il prossimo; da qui deriva la critica di Nietzsche vero la Chiesa che "è esattamente ciò contro cui Gesù ha predicato e contro cui egli ha insegnato i propri discepoli a combattere", ricordando dei bagni di sangue che si sono fatti in suo nome e delle caste sacerdotali spesso corrotte e costituite più da politici che da religiosi.
A tutte queste affermazioni, Nietzsche contrappone l'ideale della trasvalutazione dei valori. Egli professa un meccanismo che vada a cambiare, ad invertire la verità che è sempre stata, in precedenza, la menzogna mascherata da verità stessa. Egli attacca tutti i predicatori di una vita ultraterrena, affermando che la terra è fatta per essere abitata dall'uomo e non vi è altro mondo per lui. Egli non esalta, quando si dichiara "il primo immoralista", una vita priva di valori e criterio (inaccettabile per un superuomo) bensì la creazione di nuovi valori adatti alla vita mondana dell'uomo nuovo. Un uomo essenzialmente fatto di corpo, un uomo che si fonde con la terra in cui vive, che la abita come abita una casa gioiosa.




La critica al positivismo e allo storicismo

Nel procedere di Nietzsche c'è spazio per due critiche a due diversi sistemi di pensiero, il positivismo e lo storicismo, entrambi accusati di far discendere l'uomo da qualcosa di preordinato e di indipendente dall'uomo stesso.
Contro l'ideale positivistico del sapere oggettivo, Nietzsche contrappone i presupposti extra-scientifici da cui la scienza stessa sgorga. Lo scienziato è, in definitiva, un asceta affascinato dalla perfezione matematica del mondo in cui vive, diverso da quello polimorfo e mutevole dell'esperienza concreta. La scienza, inoltre, persiste nell'intento di basarsi su dati presunti oggettivi ma Nietzsche afferma che non esistono dati ma solo interpretazioni che lo scienziato dà di essi,
Nietzsche accusa, tra l'altro, anche lo storicismo, il quale assoggetta l'uomo ad un passato troppo potente, facendone un mero risultato di eventi inevitabili e schiavizzandolo nell'impossibilità di costruire un proprio futuro. Nietzsche, tuttavia, non colpisce la storia in sé e per sé bensì lo storicismo cieco di matrice hegeliana. Egli scorge sia i lati negativi che quelli postivi, arrivando adire che l'uomo ha bisogno della storia per tre motivi: grazie ad essa egli è attivo ed aspira, conserva e venera, soffre e si libera. A questi tre motivi corrispondono tre tipi diversi di storia: la storia monumentale, in cui l'uomo vede i suoi esempi passati e cerca di ripeterne le gesta eroiche, la storia archeologica che nasce quando l'uomo si riconosce l'erede di una tradizione giustificatrice ed inevitabile. La storia critica, che libera l'uomo da questa oppressione, trascinando il passato davanti ad un processo che lo condannerà.
Nietzsche non nega la storia, ma la asservisce alle funzioni e alle esigenze dell'uomo nuovo.





La "morte di Dio" e la fine delle illusioni metafisiche

Le critiche alla morale ed al cristianesimo raggiungono assieme un picco nella cosiddetta tesi sulla "morte di Dio", fulcro centrale del filosofare di Nietzsche.
Bisogna puntualizzare, però, la concezione che Nietzsche ha di Dio: per il filosofo Dio è innanzitutto una prospettiva anti-vitale che pone l'essere al di fuori dell'essere stesso inducendo così l'uomo alla fuga. In secondo luogo, Dio è la personificazione di tutte le certezze che l'uomo si è col tempo creato per potersi illudere di vivere in un mondo ordinato.
Riprendendo l'idea di Schopenhauer, Nietzsche parla di un mondo "sdivinizzato" in cui Dio è solo una costruzione della nostra mente per poter sopportare la durezza della esistenza. In altre parole, gli uomini hanno dovuto crearsi un'essenza di ordine che potesse alleggerire la loro esistenza e potesse illuderli che il mondo non fosse come in realtà è, cioè caotico, corrotto e crudele. Da ciò deriva il moltiplicarsi terrificante del numero delle religioni e delle filosofie metafisiche le quali propongono la genesi di tutto nella figura di un'essenza superiore.
Dinnanzi allo sguardo disincantato del filosofo moderno, però, l'illusione svanisce e le religioni e le metafisiche vengono demitizzate, distrutte ed etichettate come decorazioni di bugie a scopo di sopravvivenza.
Di conseguenza, Dio appare a Nietzsche come la più grande delle bugie, come la menzogna eterna, la incarnazione di tutte le credenze escogitate nel corso della storia nei modi e nelle forme più varie.
La coscienza di un mondo "sdivinizzato" è così radicata in Nietzsche che egli ritiene superflua una sua qualunque spiegazione. Per lui, l'ateismo è qualcosa di dato, imprescindibile, inspiegabile, è la realtà stessa che spiega tutte le cose. Egli preferisce concentrarsi più che altro su due aspetti fondamentali: l'annuncio della morte di Dio e la riflessione sulle conseguenze di questo evento.



Il grande annuncio, il racconto dell'uomo folle

L'opera più significativadi Nietzsche riguardo la morte di Dio è senza dubbio "La gaia scienza". È qui riportato un celebre passo dell'opera, il racconto dell'uomo folle che annuncia la morte di Dio:


<<Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro. “Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? è emigrato?” — gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio? — gridò — ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!” A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. "Vengo troppo presto — proseguì —non è ancora il mio tempo". Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione e ancora sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!”. Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: "Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?”>>.


Come il mito platonico della caverna, anche questo racconto è pieno di simboli ed allusioni filosofiche. Senza stare a trattarle tutte, si può fare un elenco delle più rilevanti:

•    L’uomo folle                il filosofo profeta
•    Le risa al mercato            l’ateismo ottimistico
•    La difficoltà a bere il mare, a strusciare l’orizzonte, a eliminare la terra dal sistema sole            la difficoltà ad eliminare Dio
•    Il precipitare nello spazio vuoto, l’avanzare della notte            il senso di vertigine conseguente alla morte di Dio e il crollo delle certezze
•    Il dover diventare divinità            la nascita del superuomo
•    Il giungere troppo presto del folle            il filosofo che passa per pazzo perché parla di un evento, la morte di Dio, non ancora conosciuto dalle masse
•    Le chiese come sepolcri di Dio            la crisi della Chiesa e della religione moderna.

L’uomo moderno, secondo Nietzsche, è così radicato nel cristianesimo che, se anche si potesse confutarlo in mille modi diversi, egli ci crederebbe ancora ad ogni costo.




Morte di Dio e avvento del superuomo

È facile notare la vertigine che l’uomo folle nota in seguito alla morte di Dio, tanto che in alcuni passaggi il testo sembra scritto da un credente.
In realtà, la vertigine colpisce solo l’uomo non ancora superuomo. Infatti, la morte di Dio è l’input per il rinnovamento dell’uomo verso lo stato di superuomo. Solo quando deciderà di guardare in faccia la realtà, l’uomo potrà avviarsi verso la condizione finale di perfezione. La vertigine, dunque, colpisce solo chi ancora non ha trovato il coraggio di diventare superuomo e che vede tutti i propri punti fermi crollare sotto di sé, sprofondando nel caos, o nel mare aperto pascaliano in cui l’umanità vaga senza appiglio e i cui appoggi sono mossi ed instabili. Il superuomo emerge soltanto dopo aver passeggiato sui cadaveri di tutte le divinità.
In conclusione, due cose possono essere vere: o si ammette che il mondo è caos e che quindi Dio sia morto e che quindi il superuomo abbia senso o si ammette che il mondo non sia caotico e dunque Dio non sia morto e quindi il superuomo non avrebbe senso. L’universo è nietzschiano solo nel momento in cui si ammette che il mondo sia caos perché tutto il sistema si basa sulla nascita del superuomo.
D’altronde l’ateismo di Nietzsche è così radicale che non demitizza solo Dio o le altre divinità ma anche i successivi suoi surrogati. È infatti molto difficile arrivare al superuomo in quanto, morto un Dio, l’uomo se ne crea subito un altro (l’Assoluto hegeliano, l’infinito idealistico, il socialismo, lo Stato, la scienza, ecc.). Nietzsche satireggia, in “Così parlò Zarathustra”, mostrando come gli uomini, in mancanza di altro Dio, inizino ad adorare un asino.




Crisi del mondo vero e della metafisica platonica

La morte di Dio coincide, secondo Nietzsche, con la sconfitta definitiva del platonismo e del cristianesimo, definito “platonismo per il popolo”.
È stato, infatti, Platone a costruire un mondo vero e perfetto, in conoscibile a cui si contrappone il nostro mondo apparente.
Nietzsche scandisce i tempi della sconfitta del platonismo in 6 momenti diversi: in un primo momento, Platone e la filosofia greca creano una dualità di mondi, il vero e l’apparente; in un secondo momento, il cristianesimo, ritenendo il mondo vero intangibile, lo promette ai più virtuosi; in un terzo momento, Kant si rende conto che il mondo vero è indimostrabile e lo rende un postulato morale, un obiettivo, un mondo reale che non possiamo vedere perché i nostri sensi lo distorcono; in un quarto momento, il positivismo definisce in conoscibile il mondo vero; in un quinto momento, il mondo vero viene confutato e diventa inutile ed eliminabile, i saggi esultano per l’eliminazione del platonismo; in un sesto momento, eliminato il mondo vero, Zarathustra elimina anche il mondo apparente e parla di un solo, unico mondo.




Il problema del nichilismo e del suo superamento

Il tema del nichlismo è, in Nietzsche, strettamente connesso alla morte di Dio e alla distruzione della metafisica.
Per nichilismo, egli intende, in una prima definizione, un atteggiamento di fuga e disgusto nei confronti del mondo, comportamento che vede attuato nel platonismo e nel cristianesimo.
In un secondo tempo, Nietzsche definisce per nichilismo la situazione di vuoto dell'uomo moderno derivante dal non credere più in nessuna certezza metafisica. Il filosofo arriva a definirsi il primo nichilista d'Europa. Ora, però, ci si pone la domanda riguardo come egli abbia potuto superare la condizione di nichilista. Circa l'argomento, i testi del filosofo sono abbastanza espliciti. Infatti, se si prende come esempio la domanda che egli stesso si pone: "cos'è il nichilismo?" egli stesso risponde "manca il fine; manca il <<perché>>, dunque i valori si svalorizzano". Ma come ha dunque origine il nichilismo? Cosa porta un uomo, ad un certo punto, a pensare che non ci sia alcun fine, che tutto in realtà sia nulla. Nietzsche risponde che l'uomo, visti crollare tutti i suoi castelli metafisici dei saperi assoluti, visto inabissarsi il mondo che rappresentava il suo fine (il mondo vero) e avendo scoperto che non ci sono altri mondo oltre quello reale e tangibile che egli vive, il quale non è né "uno" (inteso come uno metafisico) né "vero" (non esistendo alcuna verità) né "buono" (in quanto la realtà tradisce le illusioni), allora egli sprofonda nel nichilismo. Più egli si illude, più resta deluso; qui il filosofo propone l'esempio del neo-cristiano, il quale, crollato il suo Dio e le sue certezze, sprofonda nel senso di vuoto proprio perché ha attraversato il cristianesimo.
L'equivoco del nichilismo, tuttavia, ci viene fatto notare dallo stesso Nietzsche. Infatti, tale equivoco risiede nell'associare la mancanza di certezze e senso in seguito al crollo delle metafisiche alla mancanza di qualunque altro senso; in pratica, l'equivoco del nichilismo sta nel vedere la mancanza assoluta di sensi nel mondo solo perché non ha più senso il mondo metafisico. In realtà i sensi esistono ma non come verità assolute (sapere, infinito, Dio) ma come prodotti della volontà di potenza che affronta il caos dell'essere, lo vince e impone all'essere stesso i propri fini.
Ciò mostra che Nietzsche, pure essendo egli stesso un nichilista radicale, avendo già individuato l'equivoco del nichilismo, ha già raggiunto una condizione che gli permette di superare il nichilismo stesso. Egli descrive il suo processo di miglioramento distinguendo 3 tipi di nichilismo: il nichilismo radicale è quello di cui si è parlato sinora, il nichilismo attivo è l'atteggiamento positivo di volontà di distruzione delle vecchie fedi, il nichilismo passivo è l'abbandono al senso di vuoto derivante dal nichilismo radicale.
Nietzsche individua nel nichilismo attivo sia una forza non ancora sufficiente a rinnovarsi sia come premessa per la trasformazione stessa e per l'affermazione della volontà di potenza.
In conclusione, si può dire che vivere senza metafisica, per Nietzsche, non significa vivere senza senso ma educare l'uomo ad avere coscienza di sé come fonte di nuovi sensi e significati.



L'eterno ritorno

La teoria dell'eterno ritorno, rappresenta, in Nietzsche, il pensiero più profondo e filosofico.
Tramite il racconto de in demone il quale dice ad un uomo che, prima o poi, egli rivivrà, ritornerà a vivere la sua vita attimo per attimo, egli racconta le diverse reazioni dell'uomo e del superuomo. Il primo si sente appesantito e sconvolto, il secondo alleggerito e gaio. La teoria dell'eterno ritorno rappresenta dunque questo: in "così parlò Zarathustra", Nietzsche ne abbozza un primo modello, scrivendo di un giovane pastore che morde la coda del serpente e diventa superiore. Il giovane pastore rappresenta l'uomo che, per diventare un essere superiore, cioè un superuomo, deve prendere una decisione coraggiosa, mordere la testa, verso l'eterno ritorno, il serpente simbolo della ciclicità.
Nietzsche ritorna dunque all'antica concezione di greca memoria sulla ciclicità dei tempi, distaccandosi dalla concezione neo-cristiana de un tempo rettilineo.
A questo punto ci si chiede: cos'è davvero l'eterno ritorno? Una tesi scientifica cosmologica, basata sulla finitezza dell'energia dell'universo confrontata con l'eterna durevolezza del suo tempo? Una tesi etica che impone all'essere di amare la vita perché deve ritornare? Un modo di essere dell'essere? Le tesi sono tutte aperte e tuttora in discussione e fanno dell'eterno ritorno la questione storiografica più complessa dell'opera del filosofo.
Le difficoltà interpretative dell'eterno ritorno, tuttavia, permettono comunque di individuarne la funzione che esso ha.
Innanzitutto, aderire all'eterno ritorno significa rifiutare una concezione del tempo rettilinea in cui ogni momento è funzione del successivo ("concezione edipica"). Aderire all'eterno ritorno significa, sostanzialmente, aderire ad un progetto ciclico del tempo, in cui l'essere trova in sé e non fuori di sé il proprio significato e in cui ogni attimo viene vissuto nella piena sua durevolezza.
Il tipo di uomo che ovviamente può accettare l'eterno ritorno non è l'uomo occidentale conosciuto, stretto nella morsa della fine del suo tempo e angosciato dal contrasto tra senso e antitesi. Al contrario, è il superuomo che, conscio del ritorno della sua vita, gode appieno di ogni attimo che vive nella più totale felicità.



Il superuomo e la volontà di potenza

La filosofia di Nietzsche si risolve e si conclude tutta nei concetti di superuomo e di volontà di potenza.
Il superuomo è il concetto che identifica tutta la filosofia di Nietzsche, il primo motivo per cui egli viene ricordato. Da quanto è già stato detto, è emerso che il superuomo è il progetto filosofico dell'uomo nuovo, l'uomo del futuro che accetta tutte le critiche proposte da Nietzsche: il superuomo è colui in grado di accettare dionisicamente la vita, di rifiutare la morale e l'autorità, operare una trasvalutazione dei valori,di accettare la morte di Dio, diventare una divinità, di superare il nichilismo, collocarsi nell'eterno ritorno e porsi come volontà di potenza.
Un progetto simile non può che posizionarsi nei tempi futuri; da ciò il carattere profetico della filosofia di Nietzsche. Quando è stata tradotta la parola über-mensch si è parlato di superuomo e di oltreuomo, ponendo l'accento sul carattere futuristico del progetto nietzschiano e sulla differenza tra l'uomo del futuro e l'uomo del presente.
Il concetto di superuomo, estremamente fuggevole al concreto, presenta, tuttavia, delle ambiguità. Tutti sono d'accordo nel ritenere Nietzsche il filosofo della liberazione ma il soggetto liberato riguarda l'intera umanità (secondo le recenti interpretazioni di sinistra) o una classe d'èlite destinata alla grandezza (secondo le tradizionali interpretazioni di destra)? La liberazione riguarda tutti o qualcuno? Analizzando oggettivamente i testi del filosofo, essi sono aperti a entrambe le interpretazioni, offrendo punti d'appoggio sia per l'una che per l'altra tesi. Nietzsche criticò tutte le soluzioni politiche del suo tempo, dal socialismo alla democrazia parlamentare al nazionalismo militare. L'errore risiede dunque nel cercare di inquadrare politicamente l'opera di Nietzsche. Egli, ricusando tutte le opzioni conosciute, risulta ambiguo, agganciabile e rimandabile ad ognuno di esse. Così, anche il superuomo diventa un concetto aperto alla libera interpretazione e, essendo proprio superuomo il cardine del pensiero del filosofo, tutta l'opera di Nietzsche risulta immersa in una irrisolvibile ambiguità.
Il discorso rimane identico se riferito al concetto di volontà di potenza. Nietzsche intende, per volontà di potenza, la libertà che il superuomo ha di creare e reinventare continuamente le cose e il mondo in cui vive. È la nascita, l'interpretazione nuova di significati vetusti, l'atteggiamento che ricrea l'essere a seconda delle necessità della superumanità.
La volontà di potenza intesa in senso ermeneutica coincide col concetti di vita che rinnova se stessa, continuamente, che si reinvesta in maniera eterna.
Anche qui, però, si pone il dubbio: chi è il soggetto della volontà di potenza e chi il destinatario? L'interpretazione di sinistra afferma che l'umanità intera è il soggetto che continuamente rinnova il mondo in cui vive, l'interpretazione di destra afferma che è la "classe dei signori" che esercita la volontà di potenza sul prossimo e sulla caoticità del mondo.

Nietzsche conclude così il proprio percorso, il proprio "essere dinamite"; lascia al mondo il compito di interpretare il suo pensiero nascosto, enigmatico, ambiguo eppure imponente negli effetti che provoca alle generazioni pensatrici successive.