TUNGSTENO AL POSTO DELL'URANIO SUGLI AEREI: UNA LEZIONE DALL'ORIENTE

di Marco Saba

ATTUALITÀ

Vai a inizio pagina

L'incidente di Nikko: il 12 agosto del 1985, un Boeing B-747 della JAL, Japan Air Lines (JA8119), ebbe un incidente che lo portò a spargere l'uranio, almeno 450 kg. utilizzati nei contrappesi degli alettoni, sulla Baia di Sagami e a Izu. Questo fatto, la presenza di materiale radioattivo come parte costituente il velivolo, portò ad un ritardo nei soccorsi causando la morte di parecchie persone. Ma vi fu un lato positivo, la gente prese coscienza del pericolo derivante dall'uso di uranio a bordo degli aerei Boeing e si impose alla JAL di sostituire tutti i contrappesi all'uranio presenti nella flotta aerea con contrappesi fatti di tungsteno. Questa sostituzione comunque venne ultimata solo nel 1996, come confermatoci da fonti diplomatiche, ovvero l'Ambasciata italiana a Tokio. Rimane un mistero il fatto che questo esempio non sia stato seguito da tutte le altre compagnie aeree, Alitalia inclusa che non risponde nemmeno alle varie lettere inviategli in merito. Questo nonostante che su "Panorama" del 27 dicembre 1998 il presidente della compagnia Domenico Cempella, in un articolo intitolato "Prevenire, innanzitutto - I controlli e la manutenzione sugli aerei della flotta Alitalia", parli dell'Alitalia come di una delle compagnie più sicure del mondo. Si pensi inoltre che le assicurazioni non coprono questo tipo di danni sulla popolazione in caso di incidente. Il mistero si infittisce a causa di una lettera inviataci dall'ANPA, l'Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente, che scrive che sarerebbe addirittura uranio arricchito quello usato come contrappeso sugli aerei! Ma torniamo con i piedi per terra. L'ultimo incidente di aerei all'uranio di cui si ha conoscenza e che ha coinvolto personale italiano, è avvenuto a Kukes a 200 metri dal campo profughi dove è caduto e si è incendiato un Hercules C-130 Lockheed che avrebbe dovuto svolgere una missione segreta a Pristina. Per quanto ne sappiamo, ancora nessuna misura è stata presa per verificare il grado di intossicazione o contaminazione causato ai nostri connazionali presenti come volontari. 
Ma il tungsteno si presta a sostituire l'uranio anche in altre applicazioni, ad esempio nelle armi usate dalla NATO e nelle armature dei carri armati. E non solo, nelle mazze da golf e praticamente in tutti gli usi civili che si fanno, con grave rischio in caso d'incendio, dell'uranio "impoverito". Difatti come ci segnala David A. Kay, vicepresidente del SAIC e direttore del "Centro di tecnologia antiterrorismo ed analisi", l'uranio impoverito è un emettitore di radiazioni alfa che sono collegate al cancro in caso di esposizione interna e a tossicità chimica che causa danni ai reni [1]. Nonostante ciò i militari USA progettarono armi all'uranio che vennero utilizzate nella guerra del Golfo come in un grande laboratorio, causando tra l'altro l'avvelenamento di almeno 80.000 soldati alleati oltre alla morte di centinaia di migliaia di cittadini iracheni, in buona parte bambini.  Cos'è il tungsteno (chiamato anche Wolframio)? Si tratta di un metallo grigio-argenteo, dalle proprietà fisiche importanti, compreso un alto punto di fusione e densità, una buona conduttività elettrica termica, un basso coefficente di espansione e una resistenza eccezionale alle temperature elevate. Il nome viene dallo svedese "tung sten", pietra pesante, datogli dal suo scopritore, il chimico Axel Fredrik Cronstedt, nel 1758. Viene consumato principalmente sotto la forma di carburo estremamente duro nel taglio, nei componenti che necessitano di resistenza all'usura, come metallo o lega per i filamenti delle lampadine, sotto forma di elettrodi di illuminazione, per le superfici di contatto elettriche ed elettroniche, come protezione dal calore e dalla radiazione nelle fornaci a temperatura elevata e nelle attrezzature dei raggi X ed infine come elettrodo in determinati metodi di saldatura.
Alcune applicazioni non metalliche del tungsteno sono: come prodotto chimico fosforescente nei pigmenti, negli schermi ai raggi X, nei tubi catodici della televisione e nell' illuminazione fluorescente. Il tungsteno inoltre può essere usato militarmente come lega di metalli pesanti, nella protezione delle armature dei carrarmati e nei proiettili. Uno degli impieghi a nostro avviso interessante, è quello dell'ossido di tungsteno quale additivo nei vetri e cristalli che diventano così autoscurenti all'esposizione al sole per tornare poi trasparenti appena la luce diminuisce. Difatti il "W O3" è trasparente, mentre il "W20 O58" è blu scuro e la reazione chimica che lo produce, provocata dalla luce, è reversibile.
Il tungsteno compare in natura assieme al calcio, al ferro, o al manganese in quattro forme minerali importanti. Anche se si trova in varie miniere sparse per il mondo, quasi il 42% delle risorse totali di tungsteno sono in Cina. Altri giacimenti significativi di tungsteno sono in Australia, Austria, Bolivia, Brasile, Birmania, Canada, Corea del nord, Perù, Portogallo, Corea, Spagna, Thailandia, Turchia, Uzbekistan e Stati Uniti.
Il ricorso degli Stati Uniti ai fornitori stranieri per i materiali a base di tungsteno è aumentato quasi del 40% dal 1984 rispetto alla media dei 10 anni precedenti. Molto di questo aumento era dovuto al declino costante nella produzione mineraria nazionale ed all'incremento della produzione del concentrato per il mercato mondiale da parte dei cinesi. I prezzi per il concentrato hanno raggiunto livelli record verso la fine degli anni 70 per la forte richiesta di prodotti al tungsteno, toccando i 175 dollari a tonnellata nel 1977 [2], ma da allora hanno cominciato a declinare come conseguenza d'un aumento graduale nel rifornimento superiore alla richiesta, attribuita da molti consumatori occidentali del mondo ad una sovrapproduzione da parte dei cinesi. In realtà come si è visto, ciò è stato anche dovuto al fatto che dappertutto si è voluto sostituire il tungsteno con l'uranio "impoverito", principale scoria dell'industria nucleare che i paesi del primo e secondo mondo oramai non sanno più dove mettere. Principalmente si tratta di USA ed ex Unione Sovietica. Dal 1990, la produzione di concentrato da parte della Cina ha rappresentato circa il 52% del mercato mondiale rispetto al 25% del 1978. Oltre al concentrato, gli Stati Uniti hanno importato una quantità costantemente in aumento di paratungstato di ammonio (APT), la maggior parte dalla Cina, durante i periodi 1978 - 1987. L'APT è un materiale intermedio importante da cui vengono prodotti il metallo, i carburi ed i prodotti chimici a base di tungsteno. Nel 1987, gli Stati Uniti e la Cina firmarono un accordo di disciplina della vendita che limitava le importazioni di Tungsteno per un periodo di 4 anni.
E' certo che la sensibilità delle persone, specialmente a seguito della guerra contro la Repubblica Federale Yugoslavia dove sono state riversate decine di tonnellate di uranio, porterà ben presto ad un bando mondiale dello spargimento di questo materiale radioattivo, chimicamente tossico e piroforico, che vuol dire che si autoincendia anche a temperatura ambiente. Materiale che, lo vogliamo ricordare, è stato bandito dall'ONU nel 1996 come arma disumana. Difatti l'uranio dimezza la sua radioattività in 4,5 miliardi di anni, l'età attribuita al nostro sistema solare. Un tempo troppo lungo per permetterci di spargerlo nell'ambiente. [3] Inoltre a causa della sua non tossicità, il tungsteno è adatto anche a sostituire i tradizionali proiettili al piombo e le munizioni dei cacciatori. Tempi buoni in vista per il tungsteno cinese?

 Note:
[1] - SAIC, luglio 1990, vol. 1, 2-2
[2] - International Tungsten Industry Association - Londra - http://www.itia.org.uk - In questo sito possono essere trovate moltissime informazioni sul tungsteno.
[3] - Un sito Internet dedicato all'uranio ed ai relativi problemi per l'uomo e l'ambiente, è: http://stop-u238.i.am

WELFARE STATE:
"LE RAGIONI DI UNA CRISI"

Spigolature su uno dei temi più cari all’opinione pubblica italiana

di Domenico Catera

ATTUALITÀ

Vai a inizio pagina

Il Welfare State (o Stato Sociale) è una delle realizzazioni politiche-sociali più importanti che i Paesi Europei abbiano prodotto nella loro lunga storia.
Analizzando la sua nascita e la propria evoluzione nel corso del tempo, si possono distinguere due modelli di solidarietà e protezione, quello universalistico (stesse prestazioni a tutti i cittadini) e quell’occupazionale (prestazioni differenziate in base alla posizione lavorativa). Sia il modello universalistico sia il modello occupazionale sarebbero entrati in crisi verso la metà degli anni settanta, non del tutto superata: e da questa crisi potranno emergere dei nuovi assetti della protezione sociale molto diversi da quelle passate. Questi problemi trovano origine nel fatto che per entrambi i modelli verranno meno una serie di premesse socio-economiche e politiche-istituzionali su cui entrambi i modelli erano stati edificati nel corso del tempo. Premesse che si possono riassumere in sei punti essenziali:
La prima premessa e che entrambi i modelli davano per scontata una crescita economica continua la quale avrebbe prodotto notevoli introiti fiscali per lo Stato, entrate che poi sarebbero state ridistribuite sotto forma di protezione sociale. Tale crescita non è durata molto a lungo e, verso la metà degli anni ’70 le economie dei Paesi Europei sarebbero entrati in una lunga crisi che costringerà i Governi dei vari Paesi ha rivedere le proprie politiche sociali per far fronte ai vincoli di bilancio sempre più stretti. La seconda premessa è che il Welfare State traeva la propria forza da quelle economie industriali dove il baricentro di tutto era rappresentato dalla produzione e dal consumo di massa. Col passaggio ad economie di tipo postindustriali imperniate sui servizi e su nuovi modi di produrre, con consumatori che impongono nuovi modelli di consumo lo stato sociale deve ritrovare una sua nuova dimensione nelle economie globalizzate. La terza premessa era costituita dalla centralità e dalla stabilità della famiglia e dalla divisione del lavoro al suo interno, dove l’uomo era dedito alla produzione e la donna si occupava della crescita dei figli. Con gli anni settanta inizia un’affermazione massiccia delle donne nel mondo del lavoro e dei loro diritti in una società in cui l’uguaglianza dei sessi sempre essere raggiunta. La quarta premessa era costituita da strutture demografiche relativamente equilibrate nella composizione interna sia rispetto ai rapporti tra le varie fasce d’età sia rispetto ai saldi migratori. A partire dalla metà degli anni settanta il declino demografico (ancora in atto) ha prodotto un invecchiamento della popolazione, che è andato ad intaccare gli equilibri che sottostavano il Welfare State. Altro fattore distorsivo è rappresentato dal flusso continuo di immigrati da sud a nord. La quinta premessa è d’ordine socio-culturale: entrambi i modelli presumevano delle aspettative misurate da parte dei loro beneficiari, ma ciò viene meno ha metà degli anni settanta; infatti, i nuovi utenti dello stato sociale vogliono sempre più prestazioni, con il conseguente risultato di moltiplicare i costi che il sistema deve sopportare. Infine, la sesta premessa su cui i due modelli erano stati edificati era la centralità dello stato nazione, venuto meno con l’affermarsi di nuove organizzazioni sovranazionali come l’UE e, lo svilupparsi di nuove forme di interdipendenza economica trans-nazionali. 

BERLINO CAPITALE

di Francesca Barbara Scisciani

ATTUALITÀ

Vai a inizio pagina

Il 23 agosto con l'insediamento materiale del governo Schroëder negli uffici governativi berlinesi ha preso il via ufficialmente lo spostamento effettivo del governo tedesco nella nuova, ma vecchia, capitale della Germania unificata. La stampa di tutto il mondo ha giustamente colto l'occasione per  fare il punto sulla Germania di oggi, per ricordare cosa ha significato Berlino nella storia tedesca e in quella Europea, per ricordare certi fantasmi che provoca l'idea della grande Germania, e che per alcuni non sono mai scomparsi. Inoltre le elezioni locali del 10 ottobre, che hanno visto la forte avanzata dell'ex partito comunista della DDR soprattutto nelle zone est della città, e una lieve inversione di tendenza per quanto riguarda il crollo elettorale che la SPD ha subito a livello locale nel resto della Germania, hanno ulteriormente attirato l'attenzione sulla città. Ma in chi era a Berlino da turista nel mese di agosto, nascono altre riflessioni, meno politiche e più personali, la prima delle quali è: ma la città è conscia di trovarsi a vivere un momento desiderato o temuto da mezza Europa? Di essere sul punto di ritornare il luogo dove verranno prese decisioni che possono cambiare il destino della Germania e dell'intera Europa continentale? Berlino non è una città esteticamente bella, né nella sua parte ex Occidentale che in quella ex Orientale (anche se architettonicamente le cose migliori sono nella parte Est), per di più oggi è una città da lavori in corso, con una quantità di cantieri aperti tale da essere notata anche da chi viene da una Roma in preda a nevrosi urbanistico-costruttive da Giubileo. Non è una città elegante, né è, almeno per ora, una città all'avanguardia nell'architettura moderna. Non è nemmeno una città con trasporti pubblici particolarmente efficienti stile Parigi o Londra, né una città ricca tipo Monaco di Baviera. Meno che mai è una città cosmopolita: l'immigrazione non  europea è molto più ridotta rispetto ad altre città, è abitata da tedeschi che parlano solo tedesco (forse in parecchi sanno ancora il russo, ma probabilmente non amano ricordarselo). I berlinesi però, anche se non capiscono il turista straniero che tenta di mettere insieme tre scarse parole di tedesco, lo aiutano come possono, non hanno il tono imperioso dei tedeschi di Monaco. Se capita di entrare in una stazione di Polizia berlinese dopo aver smarrito un documento ci si può trovare davanti a poliziotte con l'orecchino al naso che si ingegnano a trovarti un collega che sappia almeno due parole di inglese per starti a sentire. E' una città enormemente estesa ora che è una sola, eppure non ci si sente mai assediati dalla megalopoli. Berlino è un luogo pieno di storia, ma anche una città dalle ferite apparentemente chiuse ma ancora non rimarginate, che forse non vuole fare i conti con il suo passato recente. O invece che forse non ne vuole fare una attrazione turistica proprio perché fa ancora troppo male. Del muro resta poco, ed i suoi graffiti si stanno rapidamente deteriorando, come se la città non vedesse l'ora che scompaiano del tutto. Per lo storico questo è un crimine, ma per il berlinese? Camminare in una giornata coperta lungo l'East Side Gallery (l'unico tratto di muro continuo lasciato intatto e lungo circa 1 km), se si ha un minimo di sensibilità fa venire i brividi anche al turista più disattento. Il museo, sostanzialmente fotografico, presso quel che resta del Checkpoint Charlie (Un celebre cartello stradale e una foto da un lato di un militare sovietico e dall'altro di un americano) dice più di tante parole libri, o discussioni. La voglia di chiedere cosa prova oggi chi viveva dietro al muro è tanta, ma nell'aria c'è qualcosa che spinge a non fare domande ai berlinesi, come per rispetto verso di loro. In città ci sono due luoghi dove però si possono percepire due modi diametralmente opposti di vivere il dopo muro. Il primo è l'immenso cantiere di Postdammer Platz: quello che era uno spazio smisurato e desolato, che segnava uno dei punti di confine tra due mondi sta diventando un enorme centro direzionale, che innegabilmente può essere considerato oggi un ottimo laboratorio di urbanistica e architettura moderna. Postdammer Platz si avvia a diventare un'insieme di modernissimi palazzi da dove le grandi industrie tedesche, e non, dirigeranno i loro affari. Probabilmente non si potrà più nemmeno chiamare piazza nel senso stretto del termine. La zona è destinata a diventare il simbolo dell'Occidente che ha trionfato. Il simbolo della vecchia Germania Occidentale che affidandosi alle forze di mercato dei suoi ex nemici è tornata grande ed è riuscita a riunirsi a quella parte di se stessa  che la storia aveva allontanato da lei. L'altro luogo, completamente opposto, è il Tacheles, una costruzione semidistrutta occupata nel 1990 da un gruppo di squatters (prima vi erano i componenti di una band della DDR, chiamati Tacheles, da cui il nome del posto), che ne hanno fatto una sorta di "centro sociale" destinato primariamente a mostre d'arte. Il Tacheles è un qualcosa di molto diverso rispetto ai nostri centri sociali: poca politica, se intesa nel senso classico del termine, ma molto fermento artistico (arte moderna, modernissima, che trasmette in pieno tutta l'angoscia del mondo contemporaneo, che poi è anche quello fuori da Berlino, e che non si riconosce nei megapalazzi in vetro sigillati nella loro aria condizionata). Il dopo muro visto dal Tacheles è qualcosa di molto diverso da quello che si vede dal nascente Sonycenter di Postdammer Platz, o dalle Galeries Lafayette di Friedrichstrasse, pochi metri oltre ciò che era il Checkpoint Charlie. Sono due mondi tra loro agli antipodi, che a Berlino convivono, senza scontrarsi, ma anche senza incontrarsi mai. Questa è una contraddizione, un muro invisibile, tipico di tutte le grandi città ed è forse la caratteristica che più di altre rende Berlino pronta a diventare capitale più di qualunque altra città tedesca. La città si sta rifacendo il look, ma resta nell'anima una città di tante realtà diverse (il voto del 10 ottobre ne è un esempio), molto meno agitata per quello che le sta succedendo di quanto non lo sia chi non vive lì. Probabilmente la città è in realtà perfettamente conscia di essere sul punto di tornare capitale, e di conseguenza ritrovarsi ancora una volta davanti agli occhi di tutto il mondo. Ma in fondo sa anche che davanti al mondo lo è sempre stata, forse mai tanto quanto negli anni in cui capitale di una sola Germania non lo era più, ed in cui era considerata  più un simbolo che una città vera e proprio il tornare ad essere capitale, probabilmente  è per i berlinesi meno importante dell'essere tornati ad essere semplicemente una sola città, abitata da individui alle prese con i quotidiani problemi e le contraddizioni, anche dolorose, di ogni altra città moderna.

 


ARTICOLI PRECEDENTI

INDICE BORDER