LA RIVENDICAZIONE MANCANTE

di Vincenzo Baldassarre

11 SETTEMBRE

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La tragedia americana di pochi giorni fa ha scosso profondamente l'animo di tutte le persone civili. L'orrore delle immagini trasmesse dalla televisione ha permeato tutte le nostre case e ci ha reso quasi partecipi come attori in quell'immane disastro.

Già pochi minuti dopo che i due aerei avevano colpito le torri del World Trade Center la prima domanda che ci si poneva era: "Chi è stato?".

A tutt'oggi, a quasi quattro giorni di distanza, non c'è stata nessuna rivendicazione ufficiale dell'attentato e neanche la solita miriade di rivendicazioni di mitomani: questo è alquanto singolare. Di solito le rivendicazioni di atti terroristici sono un elemento fondamentale dell'atto stesso: il loro scopo è quello di "pubblicizzare" le capacità operative degli attentatori e quindi di accrescere le loro "quotazioni" nell'ambiente.

Nel caso dell'attentato agli USA si nota invece esattamente l'opposto: una corsa a dichiarare il non averci nulla a che fare.

Perché quest'atteggiamento? 

Proverò a fare alcune considerazioni:

1) Tutti concordano che gli obiettivi colpiti sono dei simboli del capitalismo americano e della sua potenza militare;

2) Sembra chiaro, anche dai riscontri delle indagini iniziali, che una simile operazione abbia richiesto una preparazione se non lunga di sicuro molto accurata e probabilmente sorretta da qualche apparato statale;

3) Le notizie che, man mano, sono rese pubbliche ci affermano che negli ambienti terroristici si parlava di "un grosso colpo" ai danni degli USA;

4) I risultati conseguiti da questi attentati sono stati: un numero di morti spaventoso, si va dai 5000 stimati alle 30.000 bare richieste dal sindaco di New York, il blocco della finanza americana per un periodo di giorni mai visto prima, il blocco totale dei voli sui cieli degli Stati Uniti, altra cosa senza precedenti nella storia tanto per citare i più evidenti.

La logica ci porterebbe a affermare che gli autori dell'attentato, visti i risultati così clamorosi, non dovrebbero esimersi dal rivendicarli, eppure ciò non è accaduto.

Chiediamoci, allora, se questi risultati erano effettivamente quelli cercati: io ritengo di no.

A mio giudizio il grosso colpo, spettacolare, era sicuramente voluto. Un alto numero di perdite umane era, altrettanto sicuramente, una parte importante della buona riuscita dell'operazione, in particolare per i riflessi sull'universo dei media e quindi della "mondializzazione" dell'avvenimento ma, quello che è successo è andato molto oltre le attese. Un numero di vittime così elevato si è trasformato in un boomerang che rischia di colpire mortalmente chi lo ha lanciato.

E' in sostanza impossibile a qualunque organizzazione rivendicare quest'attentato ed attendersi una qualsivoglia forma di copertura o protezione da parte di qualunque apparato statale. Nessuno stato può illudersi di passarla liscia sia politicamente sia economicamente sia militarmente dopo la rivendicazione di una simile azione.

Nessun paese del mondo si opporrebbe in maniera sostanziale ad una dura azione di risposta all'attentato e, in effetti, in pratica tutti gli Stati si sono associati agli USA nel giudicare l'assalto come un inqualificabile crimine contro l'umanità.

Un attentato contro i simboli del capitalismo e degli USA con un numero di morti quantificabile nelle centinaia avrebbe lasciato intatte le possibilità di diverse nazioni di dissociarsi da un'eventuale dura risposta e, quindi, di fornire una specie di ombrello protettivo agli attentatori.

Uno dei maggiori sospettati è lo sceicco Osama Bin Laden con la sua organizzazione che sembra essere, attualmente, al sicuro in Afghanistan. Proprio questo paese, in una delle prime dichiarazioni, ha affermato che, in caso di prove sicure della colpevolezze dello sceicco, avrebbero potuto prendere in considerazione la possibilità di mandarlo via dal paese.

Ora, invece, questo stesso paese ha modificato la propria posizione e sta invitando tutto il mondo islamico ad unirsi ad esso in caso di attacco militare all'Afghanistan tentando di creare una specie di ombrello protettivo preventivo. Tentativo che ufficialmente, sino a questo momento, non ha trovato riscontri positivi e che lascia intravedere una specie di sondaggio preventivo per analizzare quali mosse siano possibili ed effettuabili.

Il tentativo del presidente Bush di creare una vastissima coalizione contro il terrorismo sembra stia procedendo speditamente, riducendo ancora di più i margini di manovra dei "supporters" del terrorismo.

In definitiva l'elevatissimo numero di vittime lascia presupporre una risposta durissima ed un'assoluta perdita di "posizione" nel novero del consesso internazionale; prezzo troppo alto da pagare per chiunque e, quindi, nessuno tenterà di rivendicare l'atto terroristico.

Queste sono le considerazioni alla base della singolare anomalia costituita dalla mancata rivendicazione dell'attentato.

la mia impressione

di Marco Panichelli

11 SETTEMBRE

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La mia personale impressione e' che si e' aperto un fronte terroristico che difficilmente potrà essere estirpato con i tradizionali strumenti usati dai governi occidentali. Al di la del tragico evento che va condannato in ogni sua attuazione da tutte le parti politiche, e la profonda delusione mia personale che mi vede per l'ennesima volta incapace di capire cosa rappresenta il valore umano ed il valore della vita per chiunque pratichi simili disastri.

Noto però con preoccupazione che da molti anni si e' creato un vasto malumore in localizzate aree del mondo nei confronti di tre stati: USA, Inghilterra, Israele. Chiunque giri il mondo non da turista ma da Viaggiatore passatemi il termine antico, si accorge che la povertà e lo sfruttamento è sempre più vasto , che il concetto di globalizzazione sta producendo invece che l'agognata ricchezza per tutti, la profonda povertà per i soliti paesi, e ragionando superficialmente questo "resto del mondo" circa 5 Miliardi di persone!! attribuisce la colpa di tutto ciò agli USA e ad i suoi alleati occidentali.

C'è molto da riflettere

una nuova stagione

di Stefano Cera

11 SETTEMBRE

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Penso che la tragedia di martedì pomeriggio possa essere l'inizio di una nuova stagione per la comunità internazionale, caratterizzata da un'estrema incertezza. in questi giorni sto sentendo spesso la parola terza guerra mondiale, la prima guerra del nuovo millennio, la nuova guerra dell'America e così via; spero però che questa incertezza, di dimensione planetaria, che porta ad avere timore di prendere anche soltanto un autobus, di andare in metropolitana, possa comunque contribuire a determinare una nuova impostazione della politica internazionale americana ed occidentale.

Cosa significa nel concreto? Certamente dare una risposta "forte", dal punto di vista militare e soprattutto politico. In questo senso il chiamare in causa l'articolo 5 della Nato, non mi sembra la risposta migliore, in quanto una forte partecipazione internazionale, a mio parere, significa invece una iniziativa all'interno dell'Onu, attraverso una politica comune dei paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza (sono importanti in tal senso le parole della leadership russa di martedì sera) contro il terrorismo. La risposta Nato, invece, a mio avviso, potrebbe essere interpretata, non solo per il mondo islamico (ammesso che una realtà così frammentata possa essere compresa in un tutto unico) come l'ennesima risposta "di parte" dei paesi occidentali.

Quindi anche questo episodio (come per esempio la guerra del Kosovo) dovrebbe far emergere l'esigenza di una nuova linfa da dare all'Onu, invece di affidare il governo mondiale a strumenti come il G8 (richiesto dal presidente del consiglio Berlusconi), o la Nato, quale nuovi strumenti di intervento concreto, efficace, contro la lentezza e la mancanza di efficacia dell'Onu. L'Onu non potrà mai essere una forza concreta fin quando gli Stati che ne fanno parte non agiscono per renderla tale.

Allo stesso tempo poi non mi sembra che la tragedia abbia portato ad una certa prudenza in una delle aree che, in via diretta diretta o incidentale, ha contribuito a determinare il "contenitore" entro il quale si è consumato l'attentato: il Medio Oriente, come dimostrano le iniziative israeliane che proseguono anche in questi giorni.

Attenzione: non intendo minimamente giustificare in alcun modo l'azione di martedì, ma soltanto far rilevare che pensare che tali azioni terroristiche determinano uno scontro tra forze del bene e forze del male (parole del presidente americano Bush), mi sembra voler descrivere in maniera semplicistica un fenomeno molto complesso, che può essere sconfitto solo attraverso un'azione militare, nel senso di colpire con azioni mirate, chirurgiche (queste sì) i mandanti, ed un'attenta diplomazia (colloqui con Siria, l'Iran di Khatami, Giordania, Egitto) volta ad isolare Bin Laden, ad impedirgli di "nutrirsi" di quel clima che ha contribuito all'odio contro gli americani e contro gli occidentali.

IL MIO PENSIERO

di Michele Cosimo Santoro

11 SETTEMBRE

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Egregio Limes Club Roma, anzitutto ringrazio per l'opportunità di esprimere liberamente il mio pensiero, un lusso in certi posti del mondo...

La tragedia dell'11 settembre 2001 mi ha colpito per due motivi: 

  1. La violabilità di posti come il Pentagono,che era (ormai è passato) in teoria il luogo più sorvegliato e quindi sicuro del pianeta;da ciò ne deriva un comune e diffuso senso d'insicurezza

  2. La mancanza,o quantomeno,la ridotta attenzione dei potenti a domandarsi il motivo profondo di questi terribili atti.

Credo che il presupposto di tutto sia la cultura, intesa come studio dei valori universale e non come imposizione di un modello antropologico culturale, occidentale, islamico o qualsiasi altro esso sia. L'Onu deve impegnarsi a finanziare la democratizzazione di tutti i Paesi che vivono sotto dittatura. L'Occidente ha le sue colpe (e deve saper fare autocritica), ma si deve impedire a personaggi come Bin Laden o Saddam Hussein di convincere popolazioni intere (o quasi) che i colpevoli della loro misera condizione siano unicamente gli Usa o gli Occidentale. Tutto ciò nel rispetto delle culture locali. Non occidentalizzazione, ma democratizzazione.

L'ERRORE DEI PRINCIPI UNIVERSALI

di Massimo Virgilio

11 SETTEMBRE

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Il crollo del blocco sovietico, simboleggiato dalla caduta del muro di Berlino, ha posto fine a decenni di guerra fredda. Il bipolarismo che aveva condizionato fino a quel momento le scelte di politica interna e internazionale di tutte le nazioni del mondo cessava di esistere. Il comunismo aveva fallito: nessuno poteva più considerarlo quale propria ideologia di riferimento. Al contrario, la democrazia liberale di stampo occidentale aveva dimostrato sul campo la propria superiorità, trionfando nettamente sull'ideologia avversaria.  Ma l'Occidente, una volta morto il comunismo, non ha saputo resistere alla tentazione di spingere al massimo il piede sull'acceleratore dell'universalizzazione dei principi ideologici che avevano portato democrazia, libertà, progresso culturale e scientifico, e prosperità economica all'interno della propria area. Alcuni suoi intellettuali erano perfino giunti a teorizzare la fine della storia. Nulla sarebbe stato più come prima: i paesi occidentali avrebbero continuato il loro percorso sulla strada del progresso e, non più ostacolati dal nemico comunista, avrebbero condotto sullo stesso percorso anche tutte le altre nazioni del mondo. Accecati dal bagliore della vittoria sul comunismo gli ideologi della universalizzazione dei valori occidentali hanno perso di vista quello che stava avvenendo sotto i loro occhi: i popoli culturalmente affini andavano creando nuovi reciproci legami, determinando al contempo  inedite linee di frattura all'interno di quelli che fino a poco tempo prima erano i compatti blocchi occidentale e sovietico. Dunque la forte spinta all'universalizzazione dei principi della democrazia liberale occidentale è stata avviata dai suoi rappresentanti proprio nel momento in cui invece i vari popoli della terra, liberati finalmente dal giogo dell'obbligatoria appartenenza a uno dei due schieramenti che si erano fronteggiati durante la guerra fredda, iniziavano a pensare a se stessi e quindi alle proprie alleanze o inimicizie in termini completamente nuovi, autonomi e indipendenti da fattori esterni. Terminata l'opposizione fra USA e Unione Sovietica le nazioni che fino ad allora erano state oggetto della storia avevano iniziato a considerarsene soggetto: non più in balia di una delle due superpotenze ma libere di autodeterminarsi. Questa sensazione di libertà, però, è durata poco: la parte uscita vincitrice dalla guerra fredda, infatti, non si è limitata a trarre i dovuti benefici da questa vittoria, ma ha cercato di imporre il proprio stile di vita al mondo intero. I popoli e i paesi  che non sono ancora riusciti ad avere una  ben chiara identità e che quindi non si sono ancora dati un ruolo preciso all'interno delle relazioni internazionali assistono passivamente all'egemonizzazione del mondo da parte della cultura occidentale. Ma quei popoli e quei paesi che in questi anni post guerra fredda sono già riusciti a rispondere alla domanda "chi siamo?" hanno iniziato una dura resistenza contro le ingerenze dell'Occidente. I decenni che verranno dunque saranno connotati da questo conflitto: il mondo occidentale, nel suo tentativo di estendere la propria egemonia sull'intero pianeta, contro il resto del mondo, che nel riaffermare la propria specificità e autonomia a quel tentativo si oppone.

 


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