Comunismo, nazismo e totalitarismo
Le riflessioni di Alain de Benoist.
di Massimo Virgilio
RECENSIONI |
Nel suo saggio intitolato “Comunismo e nazismo” (Arianna Editrice, 104 pagine, 9,29 euro) Alain de Benoist prende lo spunto dalle polemiche suscitate in tutto il mondo dall’uscita del “Libro nero del comunismo” per porre ai suoi lettori una domanda inquietante. Se il comunismo ha provocato massacri superiori a quelli determinati dal nazismo come si spiega che l’anticomunismo è quasi del tutto assente, mentre l’antifascismo militante è sempre al centro del dibattito politico e culturale?
Per risolvere questo dilemma l’autore inizia la sua analisi sottolineando la necessità di distinguere e separare la memoria dalla storia. Esse infatti “rappresentano due forme antagoniste di rapporto con il passato”. La prima non è altro che una “modalità di rapporto affettivo col passato”. La seconda invece provvede a illuminare il passato attraverso rigorosi e imparziali studi scientifici.
Per il saggista francese non ci sono dubbi: comunismo e nazismo devono essere valutati con la lente della storia e non con quella della memoria. E per essere valutati devono essere necessariamente comparati: “l’unica maniera per capirli è prenderli assieme”. A questo punto de Benoist fa propria la discussa tesi del “nesso causale” fra comunismo e nazismo proposta dallo studioso Ernst Nolte. “Il nazismo appare infatti una reazione simmetrica al comunismo”. Esso dunque non sarebbe altro che un atimarxismo, un anticomunismo teso ad annientare il nemico assumendone le forme e i metodi, “a partire dai suoi mezzi terroristici”. Comparare non significa però assimilare: “dei regimi comparabili non sono necessariamente identici”.
Tornando
alla domanda iniziale l’autore evidenzia il fatto che molti sostengono
l’idea che il nazismo sia stato un regime ben peggiore di quello comunista in
quanto il primo professava una dottrina di odio e di rifiuto del concetto stesso
di umanità, mentre il secondo una dottrina di liberazione e di amore per
l’umanità. Dunque i crimini comunisti non sarebbero stati altro che “una
perversione del comunismo, che era in sé un ideale di liberazione umana”.
Ai sostenitori di questa idea il saggista oppone una semplice considerazione:
“fare male in nome del bene non è meglio che fare male in nome del male.
Distruggere la libertà in nome della libertà non è meglio che distruggerla in
nome della necessità di sopprimerla”.
Sia il comunismo che il nazismo hanno attirato la simpatia di larghe masse professando idee di felicità che si possono considerare false e quindi cattive. Idee di felicità, per di più, che per essere realizzate implicavano necessariamente l’annientamento di un gran numero di esseri umani. “Sia l’utopia della società senza classi che l’utopia della razza pura esigevano l’eliminazione degli individui che si ritenevano ostacolassero l’avvento di una società radicalmente migliore”.
Ma allora perché il nazismo suscita un astio che il comunismo non suscita? Per de Benoist la risposta risiede “nell’alleanza siglata nell’ultima guerra fra lo stalinismo e le democrazie occidentali, alleanza che ha costituito il fondamento dell’ordine internazionale scaturito dalla sconfitta tedesca del 1945”. Poiché la Russia sovietica e le democrazie occidentali hanno combattuto da alleate il comune nemico nazista quest’ultimo non può che essere peggiore di Stalin. Altrimenti come giustificare una simile alleanza?
Dunque l’URSS in quanto ad antifascismo non ha nulla da invidiare alle democrazie occidentali. L’antifascismo del Cremlino, però, serve ad occultare la realtà dei campi di concentramento russi: cancella “la specificità del regime sovietico ponendolo nello stesso campo delle democrazie occidentali; permette di identificare il comunismo con la difesa della democrazia”.
Sia il regime comunista che quello nazista, perciò, rientrano a buon diritto fra quelli che si possono definire regimi totalitari. In entrambi infatti si ritrova un’ideologia ufficiale che permeava l’intera vita sociale, un partito unico di massa, un efficientissimo apparato poliziesco, un controllo totale da parte dello stato dei mezzi d’informazione e di comunicazione, un monopolio dei mezzi di lotta e un’economia estremamente centralizzata. Comunismo e nazismo hanno tutti questi caratteri formali in comune. Ma non solo. La loro parentela è legata anche all’ispirazione e alle aspirazioni. “Questa ispirazione e queste aspirazioni non hanno tanto a che vedere con un’idea comune nel senso dottrinario del termine, quanto piuttosto con un atteggiamento mentale basato sulla fusione di una visione manichea e messianica, di natura religiosa, con un volontarismo estremo, legato a un’adesione senza riserve ai valori della modernità”.
“Il totalitarismo visto da Alain de Benoist - scrive il professore Marco Tarchi nella sua recensione a “Comunismo e Nazismo” apparsa sul numero 247 della rivista Diorama letterario - è una espressione radicale della modernità e dei suoi tratti negativi. E’ riduzione dell’uomo ad oggetto, atomizzazione, sradicamento e culto di un Progresso indefinito”. Il totalitarismo dunque non è altro che una religione secolare, portatrice di certezze assolute, che rende ogni idea differente un’idea falsa e mistificante. Da una parte c’è tutto il Bene, dall’altra tutto il Male. Se non si è fra gli amici, ci si colloca necessariamente fra i nemici.
Questi ultimi devono essere annientati. Infatti “il messianismo ha senso - afferma l’autore francese – solo se i buoni e i cattivi conoscono destini radicalmente opposti”. La soppressione del nemico, che per il comunismo s’identifica nell’ineguaglianza di classe e per il nazismo nella dominazione ebraica, è indispensabile per ottenere la salvezza della collettività eletta, “l’accesso a una vita futura realizzata non più nell’aldilà ma in un prossimo futuro. Il totalitarismo istituzionalizza così la guerra civile”.
Da tutto questo deriva una ulteriore spiegazione del fenomeno del miglior trattamento riservato dalle democrazie occidentali al comunismo rispetto al nazismo. Liberalismo e comunismo infatti sono parenti: scaturiscono entrambi dall’ideale illuminista e “si distinguono esclusivamente nella maniera di realizzarlo. In altri termini , le democrazie liberali non possono evitare di riconoscersi nelle aspirazioni egualitarie-universaliste del comunismo”.
Dunque, se le democrazie borghesi e il totalitarismo comunista hanno origini comuni nulla assicura che i regimi democratici liberali siano immuni per natura contro il totalitarismo. Gli uni e l’altro possono raggiungere gli stessi scopi, seppur con mezzi differenti. “ La caduta dei sistemi totalitari del XX secolo – osserva giustamente de Benoist – non allontana lo spettro del totalitarismo. Essa invita piuttosto a interrogarsi sulle forme nuove che potrebbe assumere in futuro”.
E come non riconoscere una nuova forma di totalitarismo nelle società liberali? “Come i totalitarismi di ieri anche esse tendono ad imporsi come il solo sistema universalmente possibile”. L’uomo continua ad essere ridotto alla condizione di oggetto; i cittadini sono trasformati in consumatori; l’economia ha preso il sopravvento sulla politica; la pubblicità ha sostituito la propaganda; “il conformismo assume la forma del pensiero unico”. Al pari dei tradizionali regimi totalitari le società liberali riducono l’uomo in servitù, ma lo fanno in una forma nuova, attraverso la persuasione e il condizionamento piuttosto che con la violenza brutale: “l’uomo si trova privato dolcemente, e persino con il proprio assenso, della sua umanità”.
Giusta a questo punto l’osservazione di Marco Tarchi (Diorama letterario N. 247, settembre 2001): “Chi vuole omologare le masse al proprio modo di pensare dispone oggi di strumenti per controllarne le menti ben più raffinati di quelli di cui hanno fatto uso i regimi totalitari del periodo fra le due guerre mondiali. Non andiamo in cerca di mali assoluti d’altri tempi, prendendo a bersaglio due esperienze storicamente concluse quali il fascismo e il comunismo. Mali relativi ma non meno sgradevoli ci stanno intorno, e meritano di essere combattuti: anche e soprattutto quando ci si presentano sotto la maschera del migliore dei mondi possibili”.
“Di tutte le forme di persuasione occulta – ha scritto Pierre Bourdieu – la più implacabile è quella che si esercita semplicemente attraverso l’ordine delle cose”.
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inchiesta internazionale |
Recentemente, la Cia, per capire quali siano le ragioni che sottostanno alla protesta del cosiddetto popolo No-Global-New-Global, ha realizzato in gran segreto un'inchiesta mondiale in cui si cercava risposta alla seguente domanda:
"Qual'è la sua opinione sulla scarsità di alimenti nel resto del mondo?"
Dopo aver vagliato attentamente i risultati, gli esperti di Langley hanno presentato gli esiti dell'inchiesta al direttore della Cia, ma Tenet ha preferito non inoltrarli al Presidente Bush, in quanto:
In Africa nessuno sapeva cos'era "alimenti";
In Europa Occidentale nessuno sapeva cos'era "scarsità";
In Europa Orientale nessuno sapeva cos'era "opinione";
Negli Stati Uniti nessuno sapeva cos'era "il resto del mondo";
George W. Bush non aveva capito la domanda;
I No-Global-New-Global nemmeno.
Benché sul rapporto Cia sia mantenuto il più grande riserbo, il Limes Club Roma lo ha carpito grazie alle sue fonti...
di Aldo Torchiaro
Attualità |
Vorrei chiedere chi conosce lo stato attuale dell’operazione Endouring Freedom, di cui l’Italia è parte in causa, con stanziamento di personale militare, di mezzi aerei e navali. Con stanziamento di fondi.
Kabul è stata riconquistata e ricondotta ad un governo garante del ritorno alla democrazia, ma questo non basta allo scopo di debellare il terrorismo di Al-Qaeda, annidato in chissà quali e quanti rivoli tra le pieghe non indagabili del mondo.
Bin Laden è scomparso dall’interesse dei media e quindi per molti è svanito nel nulla da cui era emerso. Invece sembra sia vivo e vegeto e mediti di tornare a calcare le scene da un momento all’altro. Periodicamente, qualche agente segreto lo nota in una remota cittadina afgano-pakistana, ma la notizia trova sempre meno ospitalità in casa nostra. Il fumo che emetteva Ground Zero si è ormai diradato, respiriamo aria nuova. Magari quella salubre del Gran Paradiso, dove da mesi ormai si indaga e si discute sull’omicidio di Cogne…
Il dettaglio che il nostro Paese sia coinvolto nell’operazione che solo per accortezza si è evitato di chiamare “Infinity justice”, nata come progetto di guerra globale al terrorismo, su più fronti e di lunga durata, è cosa che non interessa né il mondo politico né il popolino.
Questa constatazione non può bastare. Tra il sette e il nove marzo ci sono stati sei morti ed alcuni feriti tra i soldati europei ed americani di stanza nel Sud dell’Afghanistan, dove apprendiamo combattere una vivace resistenza talebana. Notizia non riportata da tutti i giornali, e nei rari casi di pubblicazione, messa quanto più a latere si può…
Questa fuga dalla realtà, pure così tragicamente importante, è la reazione ad una iniziale abuffata mediatica ? Le immagini del 11 settembre le abbiamo impresse vita natural durante in ciascuno di noi, è vero. Abbiamo consumato con avidità una notevole scorta di news, dall’arabo di Al Jazeera al concitato american english di Cnn e Bbc. Si è dato forse vita ad un eccesso da cui depurarsi ? Adesso siamo tentati dalla distrazione, dal non ricordo?
E’ molto strano essere ancora in guerra, e non percepirlo più. Eppure nessun conflitto come quello contro i Talebani aveva le premesse per fare la storia. Si era parlato con molta enfasi di lotta del bene contro il male. Nessun evento della modernità era stato annunciato come un conflitto permanente e universale come questo. Ma si sono spenti i riflettori. O li hanno spenti apposta ?
Negli ultimi quattro mesi, esaurita una prima fase di Endouring Freedom, quella mirante al rovesciamento della dittatura a Kabul, si è passati ad enunciare, con fare un po’ esitante e pasticciato, gli obiettivi successivi. Il Pentagono ha inzialmente puntato il dito sulla Somalia. Se ne è parlato quel tanto che è bastato ad attivare un fitto scambio di lettere diplomatiche tra quella parte del Corno d’Africa e l’Europa, con l’Italia in testa. Non è dato sapere come e quanto sia servito, ma da gennaio si è iniziato a parlare solo della Corea del Nord quale regno del male.
Non sarà un diversivo per poter poi colpire meglio il vero nemico, che come tutti sanno è l’Iraq di Saddam Hussein ?
In questo quadro di sicure incertezze e caduche continuità, gli alleati di quella che era la Nato, e che oggi si chiama “Coalizione contro il terrorismo”, hanno pensato bene di imbarcare la Siria di Bashar El Assad quale interlocutore verso l’Islam malato dei fondamentalisti. Malgrado gli innumerevoli rapporti in fatto di violazione dei diritti umani, sospetta pulizia etnica, armamento degli Ezbollah nel Libano, per tacere di altro, la Siria viene ammessa a fine settembre scorso nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ed esclusa dal novero dei Paesi interessati dall’integralismo di Al-Qaeda. E’ una decisione incontrovertibile e definitiva.
Altri governi come quello iraniano e quello sudanese, invece, entrano ed escono dall’obiettivo degli analisti con una disinvoltura imbarazzante. Ma insomma: dove sono le tante basi di Al-Qaeda? Ne esiste una mappatura, anche solo iniziale, o si procede tatticamente per postulati e smentite ?
Mai un conflitto enunciato con tanta grandeur si è risolto in una nebulosa di ipotesi ed in una strana sequenza di incidenti, diplomatici e non. Mai una operazione decisiva per le sorti dell’umanità si è svilita anche e soprattutto agli occhi delle persone che, in ultima analisi, qui in Occidente, contribuiscono a dare o a togliere il consenso diffuso intorno alle scelte importanti.
Chiediamoci come reagirà la piazza, a Roma, Parigi, Berlino, nella futura eventualità di un massiccio attacco all’Iraq. Benché nulla nelle premesse sia cambiato, quello che si poteva accettare sulla scorta emozionale del 11 settembre, oggi non si accetterà allo stesso modo. I governi europei lo sanno e si prospetta una discrepanza tra quanto Usa e Gran Bretagna decideranno di fare, e quello che i loro alleati manderanno giù, o meglio faranno accettare ad una opinione pubblica sempre più insofferente rispetto alla guerra.
La mia impressione è che la lotta al terrorismo si combatta anche sul fronte dell’informazione, e che non si capisce chi la stia vincendo. Se prevale il disinteresse, e decade la pressione e la compattezza della coalizione antiterrorismo, non avrà vinto Bin Laden?