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Paesaggi

ISOLA DI MOTHIA

SELINUNTE

SAN VITO LO CAPO

ERICE

Isola di Mozia
Isola di Mozia
Isola di Mozia
Isola di Mozia

Una piccola isola in mezzo ad una laguna, così piccola da non far supporre di aver avuto parte nella storia della grande isola, la Sicilia. Eppure su San Pantaleo, suo nome odierno, i Fenici diedero vita ad una prosperosa colonia. La posizione strategica, circondata dalle acque basse della laguna dello Stagnone, e naturalmente protetta dalla vicina Isola Longa, la resero un obiettivo ambito sia dai Cartaginesi che dai siracusani. Ed è proprio a causa di questi ultimi che Motya venne completamente distrutta e presto dimenticata, per essere poi riscoperta alla fine del secolo scorso.

Situata su di una spianata alta circa 30 metri s.l.m., Selinunte prende il nome dal Selinon , il prezzemolo selvatico. Venne fondata da coloni di Megara Hyblaea guidati dall' ecista Pammilos, nel VII secolo a.C. Immigrazioni successive di coloni megaresi sicelioti si ebbero sia negli ultimi decenni del VII sia per tutto il VI secolo fino agli inizi del V. Selinunte tentò di fondare delle colonie nella Sicilia occidentale (Eraclea Minoa). Quando, all'inizio del V secolo divampò la guerra fra Greci di Sicilia e Cartaginesi, che si concluse con la battaglia di Himera nel 480, Selinunte, stranamente, preferì allearsi con Cartagine.

Il paese di San Vito è nato attorno all'attuale Santuario, frutto di numerosi interventi edilizi susseguitisi nei secoli. La prima "fabbrica", realizzata intorno all'anno 300, è stata una piccola cappella dedicata a San Vito Martire, patrono del paese: Narra la leggenda che il giovane Vito, patrizio mazarese figlio di un alto funzionario di Roma, sia dovuto fuggire dalla sua città natale assieme alla nutrice Crescenzia e all'istitutore Modesto, che lo avevano convertito al cristianesimo, per sottrarsi alle persecuzioni ordinate da Diocleziano; dopo due giorni di navigazione verso nord, una tempesta costrinse la nave di Vito ad approdare in un golfo ridossato dal vento, riparato da un capo roccioso ben conosciuto dai naviganti del tempo (Egitarso o Egitallo il suo nome) e qui i tre avrebbero cercato di convertire gli abitanti del villaggio Conturrana, che sorgeva a circa tre chilometri dal mare, sotto un'alta rocca.

Furono il culto della fertilità e dell'amore a segnare Erice, celebre nell'antichità per il suo santuario in cima alla montagna al quale si rivolgevano i naviganti.

Fu di Astarte per i Cartaginesi, di Afrodite per i Greci, di Venere Ericina per i Romani: faro in tutto il Mediterraneo, il tempio della dea venne forse fondato da Enea, o forse da Dedalo, o magari dal re locale Eryx, figlio di Afrodite, che sfidò Eracle di passaggio da quei luoghi e venne da lui ucciso (e dunque la città rimase sacra ad Eracle).
Di questo tempio non v'è più traccia; secondo Diodoro, sorgeva sull'antica acropoli ove nel XIII secolo fu costruito il castello normanno. Vi si giunge attraverso i giardini del Balio, strepitosa panoramica a strapiombo sul mare, da dove ci si abbandona ad un orizzonte che prende le Egadi e monte Cofano. Si passeggia sulla spianata della magnifica fortezza, spesso battuta da onde nebbiose che si ispessiscono e si diradano dolcemente quanto improvvisamente.


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