LETTERATURA ITALIANA: IL TRECENTO

 

Luigi De Bellis

 


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Il Trecento


Biografia di Brunetto Latini

Brunetto Latini nasce a Firenze verso il 1220, da una delle più importanti famiglie della città, figlio del notaio e judex Bonaccorso e muore nel 1295, o 1294 come attesta il Villani nella sua Cronica. Di lui abbiamo pochi riscontri nei documenti storici; tra l'altro sappiamo che fu notaio e cancelliere del Comune fiorentino, e come tale rogò atti e convenzioni di grande importanza per la storia della città. Politicamente era schierato con la parte guelfa e per questo nel febbraio del 1260 fu nominato sindaco di Montevarchi e sempre nello stesso anno fu inviato in Spagna per chiedere aiuto ad Alfonso X di Castiglia, detto il Savio, quando la potenza ghibellina per l'ultima volta si riaccese in Italia con Manfredi. Sulla via del ritorno, viene raggiunto da una lettera del padre, che gli comunica la sconfitta dei suoi nella sanguinosa battaglia di Montaperti (4 settembre 1260); per questo non può far ritorno in patria, ed è costretto all'esilio. Trascorre in Francia quasi tutto il periodo di lontananza da Firenze, prima a Montpellier, poi, pare, a Parigi, distraendosi dalla malinconia dell'ozio forzato con la letteratura, e dandosi a impegni che fino allora la professione di notaio non gli aveva concesso.
Nascono così le opere che conosciamo di lui:
- la Retorica, composta nei primi anni dell'esilio, un volgarizzamento dell'opera ciceroniana De inventione, intercalato a un commento nel quale rielabora materiali preesistenti attingendo agli insegnamenti dei maestri bolognesi dell'«ars dictandi»; in tal modo introduce a Firenze la teorizzazione della retorica classica e le norme della composizione scritta secondo strumenti indispensabili per la vita pubblica cittadina, sviluppando in special modo la dimensione politica dell'uso della Retorica;
- Il Tesoretto, poemetto allegorico in settenari rimati a coppie, che rimane incompiuto nel momento in cui ser Brunetto pensa di riunire in un'opera di più vasta portata sia come contenuto che come qualità tutto ciò che sapeva;
- Li livres du Tresor, l'enciclopedia vagheggiata dai grandi letterati, che, per essere più vicina ai modelli francesi, e perché si trovava in Francia, egli scrisse in questa lingua che, afferma lo stesso Brunetto, è "la lingua più gradita e comune a tutti (la parleure plus delitable et plus commune a tous gens"). La scelta linguistica una precisa scelta culturale in favore di una letteratura che si era espressa appunto in francese ed è narrativa e insieme didascalica e allegorica, una letteratura che si stava diffondendo anche in Italia insieme alle chansons de geste (pensiamo ad esempio al Roman de la rose).
Nel 1266, sei anni dopo, le sorti politiche in Italia, e in Toscana in particolare, si rovesciano con la battaglia di Benevento. Con la conquista del potere da parte dei Guelfi, Brunetto può rientrare in patria: da questo momento diventa sia sul piano politico che su quello culturale uno dei personaggi di maggiore importanza ed autorevolezza fino alla morte avvenuta nel 1293: come scrive il Villani nella sua Cronica, Brunetto agli occhi dei contemporanei era «gran filosofo e rettorico perfetto, cominciatore e maestro in digrossare i fiorentini».
Riprende il suo ufficio: nel 1269 lo troviamo protonotaro del vicario angioino a Firenze e a Pisa, e nel 1273 è segretario dei Consigli del Comune fiorentino, nel '75 viene eletto Console dell'Arte dei Giudici e dei Notari, nel 1280 si trova tra i negoziatori del compromesso tra Guelfi e Ghibellini, nel 1287 viene eletto tra i Priori di Firenze. È questo il periodo in cui conosce Dante e lo incoraggia agli studi: come scrive il Villani nella sua Cronica, Brunetto agli occhi dei contemporanei era «gran filosofo e rettorico perfetto, cominciatore e maestro in digrossare i fiorentini»,
Di lui conosciamo anche il Favolello, di cui non conosciamo la data di scrittura, un'epistola in versi sull'amicizia, diretta al poeta ghibellino Rustico di Filippo, composta comunque dopo il suo ritorno a Firenze. Generalmente gli viene attribuito anche il Pataffio, ma si tratta in verità di opera molto posteriore.
Il nome di Ser Brunetto ricorre ancora fino al 1292 in molti atti consiliari del comune di Firenze dove morì nel 1294 o '95 e fu sepolto in Santa Maria Maggiore.
Dante lo ricorda prima nel De vulgari eloquentia, insieme a Guittone d'Arezzo e a Bonagiunta Orbicciani fra quegli uomini famosi toscani che "hanno preteso arrogarsi la gloria del «volgare illustre» mentre le loro poesie sono da considerarsi «non curiali ma solo municipali» (vedi I,XIII,1), poi con affetto nel canto XV dell'Inferno, salutandolo come uno dei suoi maestri, nel girone dei pervertiti, ma anche di questo suo vizio non si trova riscontro tra i documenti del tempo.



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