CRITICA LETTERARIA: CARLO GOLDONI

 

Luigi De Bellis

 
 
  HOME PAGE

Giudizi e testimonianze attraverso i secoli

Novità e limiti dell'arte del Goldoni

La lieta fantasia del Goldoni

Natura e ragione nella poetica goldoniana

Lingua e dialetto nel Goldoni

Il programma del "Caffé"

 
Iscriviti alla mailing list di Letteratura Italiana: inserendo la tua e-mail verrai avvisato sugli aggiornamenti al sito


Iscriviti
Cancellati




 


LA LIETA FANTASIA DEL GOLDONI

di ATTILIO MOMIGLIANO



La nota tipica del teatro goldoniano è data, secondo il Momigliano, dal tono di gioconda e spensierata festevolezza che lo pervade. Non ci sono, nelle commedie del Goldoni, né intenzioni morali, né ricerche psicologiche o preoccupazioni realistiche: vi domina una fantasia lieta e leggiera, che inesauribilmente inventa occasioni di divertimento, di riso, di scherzo lieve, spiritoso, con una finezza d'arte che si rivela, ad esempio, nella presenza delle maschere, ereditate dalla commedia dell'arte, ma utilizzate come spunti per più vivaci e ilari invenzioni di battute e di situazioni.

Una delle caratteristiche del riso goldoniano, è che spesso non scaturisce da nessun giudizio; è semplicemente giocondità. Tutta la sua folla è per lo più molto allegra, e se anche ha qualche malanno, se ne ride. Per questo riguardo sono notevoli soprattutto le maschere, e prima di ogni altra Arlecchino, l'eterno affamato, il servo dalla comicità sottile e dagli atteggiamenti buffoneschi vivacemente immaginosi, il critico efficacissimo del padrone parassita, grandioso e spiantato. Nelle commedie dove s'è ingentilito, è la più grande delle anime ilari del Goldoni. Ci tiene in un continuo solletico di riso. Sa essere arguto anche nella miseria: rallegra tutto. È pronto, perspicace, ha spesso il tono di chi piglia in giro garbatamente, solo per divertirsi, per naturale lepidezza. Nessuno ha un'acuzie così spontanea e che si esprima con tanta agilità, e con tanta grazia e con tanta impalpabilità di forme, nessuno sa usar così finemente l'eufemismo e l'attenuazione, tenersi così bene nel confine tra l'arguzia e la buffoneria, celar come lui la buffoneria della intenzione coll'arguzia della forma. Qualche volta esce in una buffonata: eppure non c'è nessuna stonatura nella mescolanza di queste due specie di riso. Dinanzi a questa come ad altre maschere sentiamo che la loro regola di vita è diversa dalla nostra: sono dominate da un bisogno di riso volubile, da un bisogno di abbandonarsi incoerentemente ora a questo ora a quel motivo di giocondità. La norma del loro mondo non è la psicologia, ma lo scherzo: è la norma stessa della fantasia del Goldoni in qualcuna delle sue ore migliori: la legge di quella fantasia di poeta si trasforma nella legge della loro vita. Vivono fuori del nostro mondo, nella piena libertà dell'anima da ogni costrizione esterna o interna, in un'allegra anarchia spirituale: sono la più perfetta incarnazione dell'ilarità del Goldoni. Fra tanti vantaggi che il riformatore del nostro teatro ha ricavato dalla commedia dell'arte, è forse il più grande questo, che è così opposto al suo indirizzo innovatore: l'avere avuto dalle umili maschere l'ispirazione per creare un tipo che nella sua giocondità inesauribile si mantenesse sciolto dai legami della realtà e, eternamente vivo nei regni della fantasia, si ridesse della psicologia, come già se ne rideva l'Arlecchino che improvvisava. Il Goldoni lasciò a questo, e talora ad altri servi, l'incoerenza psichica tradizionale, ma gli diede una consistenza fantastica, una volubilità e una finezza di riso nuove.
Nel teatro del Goldoni le maschere, più che rappresentare un'anima, diffondono un tono, un colorito: la festività. Questo è per lo più il loro ufficio. Nella vita ci sono soltanto anime singole, ogni anima è un tutto in sé finito; nell'arte può essere diversamente: di molti personaggi si può fare un'anima sola, e quell'anima unica, divisa in molti corpi, dà una vivacità ed una agilità alla commedia che altrimenti non avrebbe. Il mondo allegro e vario della servitù il Goldoni lo può rappresentar molto meglio colorendo in un servo un particolare, in un altro un altro: ciascuno di quei personaggi, preso a sé, può non esser vivo, ma l'insieme ci dà l'immagine compiuta di quella classe, con in più, in forza di quello spezzettamento in cui una particella ne integra un'altra, il senso efficacissimo del movimento piccino e molteplice di quel mondo.
Questa festività goldoniana si vede anche in altri personaggi. Molti vanno in rovina e scherzano tranquillamente, non hanno danari e fanno dei festini. Il Pantalone de La bancarotta è un giocondo tipo di vecchio sbarazzino, che rappresenta bene questa moltitudine gaudente e scoppiettante. Danza sulla sua miseria e ignora il futuro. Dice che fallisce per causa della moglie, e questa dirà altrettanto di lui; ma subito dopo, in un momento di sincerità, riflette che ha consumato anche la dote: e si consola pensando che scroccherà al figlio: «Fenio la roba, fenio i pensieri»; Pantalone è tutto qui, in questa spensieratezza imperturbabile. Ha goduto i suoi danari, e li ha fatti godere agli amici: questo basta a confortarlo. «I mi beni xe tutti sequestrai, la meggio roba xe in pegno, i mobili xe bolai, la bottega xe voda, onde mi no gh'ho più niente da far». Bellissimo quell'onde. In molto di quello che dice, ma specialmente in questo meraviglioso monologo (I, 10) tutto ravvivato da quelle rapide scosserelle briose così caratteristiche del veneziano, c'è la comicità più singolare del Goldoni, quella che si diffonde su tutto il suo allegro mondo e consiste nel far ridere non di un difetto ma di uno spettacolo giocondo, nel suscitar quel riso che non è critica ma letizia, nell'irradiar le scene di quell'ilarità che scaturisce da una contemplazione senza preoccupazioni, dalla vita considerata come una festa più che come un miscuglio di beni e di mali.
Di qui l'indifferenza morale della parte artisticamente più elevata di quel riso, di qui il fatto che quella del Goldoni spesso è ilarità più che comicità. Ci passano dinanzi, nella scena varia e gioconda, uomini amanti della burla o dello scherzo; inesauribili spacciatori di frottole, spiantati che la scialano e fanno debiti, oziosi che vivono di maldicenza, cicisbei, parassiti, giocatori, avventurieri che sbarcano il lunario con cento piccoli ripieghi ignominiosi, birbe che un nulla divide dai delinquenti, una moltitudine mirabilmente adatta alla musa d'un poeta sferzante: eppure quando ci abbandoniamo all'onda effervescente del dialogo goldoniano, non pensiamo quasi mai all'inconsistenza morale di quella folla. La caratteristica più personale del Goldoni è veramente quest'ilarità che si sostituisce alla contemplazione comica propria di quasi tutti i poeti di commedie, questa gaiezza che gli si desta così spontanea di fronte allo spettacolo della vita. Nessun poeta comico ha mai posseduto questa qualità come il Goldoni; per essa a lui spetta un posto separato nella storia della commedia: essa è il vero titolo della sua grandezza.
Il meglio delle sue commedie è questa giocondità leggera, mobile come il pulviscolo di luce che dà un'anima ilare a tutte le cose e fa balzar nella vita anche la pagliuzza; un'allegria che fa formicolare il sangue in ogni vena de' suoi personaggi e ne fa brillare il volto in una luminosità diffusa, uguale e serena come se dall'interno vi s'irradiasse un piccolo sole nascosto.

2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it