CRITICA LETTERARIA: IL DUE E IL TRECENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
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Poesia e prosa delle origini
di B. MIGLIORINI



Il Migliorini indica all'origine della lingua italiana l'intento di creare una lingua comune attraverso il superamento dei particolarismi regionali, guidato da un ideale di nobiltà e di raffinatezza, che riconosce nel latino il proprio modello. Di qui la diversità di sviluppo e di importanza della poesia che, nei confronti della prosa, si trova ad avere uno strumento linguistico piú adeguato alle proprie esigenze.

Le varietà locali del volgare parlato erano molto divergenti, e i tentativi che finora erano stati fatti per metterli in scrittura avevano tentato di levigarne la rozzezza eliminando le peculiarità troppo spiccate e ricorrendo ai suggerimenti che poteva dare la lingua scritta per eccellenza, il latino. Proprio l'esempio del latino, con la sua relativa fissità e regolarità, fa sentire il bisogno di modelli anche per il volgare. C'è nell'aria l'idea che se e quando appariranno dei modelli degni, essi saranno imitati anche nelle loro particolarità, e per questa via si troverà un rimedio alle incertezze grammaticali e lessicali.

Non si mira insomma direttamente a una lingua comune: si mira a una lingua bella e nobile, la quale eliminerà i particolarismi e sarà perciò anche "comune". Nell'Italia di questa età, artisticamente cosí matura e politicamente cosí divisa, modello voleva dire modello di bellezza, di eleganza artistica. Questo ci spiega come emergano tanto imperiosamente, creando una scia d'imitazione letteraria e linguistica, quegli scritti in cui si persegue un ideale di bellezza.

È la lirica che si pone all'avanguardia della letteratura, e che crea un moto d'entusiasmo, con conseguenze che dureranno per secoli. La spinta iniziale data dai poeti siciliani della curia sveva, i primi in Italia a servirsi del volgare per fare poesia d'arte, sarà trasmessa a tanti altri: e tutti, non solo i pedissequi imitatori siculo-toscani, ma anche il Guinizelli, gli stilnovisti e in genere tutti quelli che scriveranno in versi, terranno conto in proporzione maggiore o minore dei modelli siciliani, cosí che alcune peculiarità entreranno stabilmente nell'uso poetico italiano.

Non basta: questa spinta fa sí che la poesia acquisti un vantaggio tanto sensibile sulla prosa da creare fra i due modi di scrivere addirittura una scissione che durerà per secoli. I modelli poetici che si susseguono costituiscono una tradizione, che fornisce un modello di lingua relativamente uniforme per le varie regioni; invece la prosa stenta (e stenterà per molto tempo) a uscire dall'àmbito locale. Sorge sí, poco dopo la fioritura siciliana, una prosa d'arte, che ha a .Bologna con la persona di Guido Fava il suo primo maestro. E anche la prosa d'arte troverà in Toscana cultori appassionati come Brunetto e Guittone. Ma il minor livello artistico da loro raggiunto in confronto con la poesia e lo stretto legame che la prosa ha sempre con le contingenze pratiche di carattere personale e locale, per cui essa non può staccarsi troppo dal 'parlare quotidiano, neppure quando è soggetta

a elaborazione artistica, fanno si che il processo di unificazione della lingua pronastica sia senza confronto piú lento. Non va, poi, dimenticato che testi in prosa mancano completamente per l'Italia meridionale e la Sicilia durante il Duecento: vi si scrive ancora soltanto in latino.

2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it