I super-israeliti

 

Rime macheroniche

Poemetto polimetro

in

otto canti

 

Il maggior figlio di casa Franchetti veniva riformato dal servizio militare: tale fausto evento fece sorgere l'idea d'una festa in famiglia: l'esito di tale festa mi dettò i versi che ne celebrano i fasti.

 

Canto 1°

 

Vorria aver la rima cesellada,

el verso de Vergilio e de Nasone,

vorria aver la succa ben salada

de Dante, de l'Ariosto e del Manzone,

vorria aver la penna rinomada

de Galileo, de Vico e de Bacone

per tramandar ai posteri con gloria

la susseguente ed inaudita storia.

 

Ma siccome natura, quell'ingrata,

oltre che scars assai de pisciutim

seguendo el caratere de mata

non ha volù, per tutti i kolaim,

donarme un scin de testa equilibrata

coma da temp ne manca fra i Gnivrim,

così ve dighi subit che farò

quel po' che dal servel cavar podrò.

 

So ben che è assai difficil el mester;

m'imagini le critiche e i lamenti,

i pianti, le baruffe, i brutt pensier,

le botte, le risposte, i complimenti:

ma me ve lassarò con gran piaser

tirarve pei cavei, sgagnar coi denti,

e per non perder temp darò frattanto

l'intonazion al mio novello canto.

 

Vorrei avere la rima cesellata,

il verso di Virgilio e di (Ovidio) Nasone,

vorrei avere la mente molto acuta

di Dante, dell'Ariosto e del Manzoni,

vorrei avere la penna celebrata

di Galileo, di Vico e di Bacone

per tramandare ai posteri con gloria

la seguente ed inaudita storia.

 

Ma siccome la natura, quell'ingrata,

oltre che assai carente di pisciutim (soldi)

seguendo il suo carattere di matta

non ha voluto, per tutti i kolaim (guai),

donarmi un scin (briciolo) di buon senso

come da tempo ne manca fra i Gnivrim (ebrei),

così vi dico subito che farò

quel poco che potrò ottenere dal mio cervello.

 

So bene che il lavoro è assai difficile;

m'immagino le critiche e i lamenti,

i pianti, le baruffe, i cattivi pensieri,

le botte, le risposte, i complimenti:

ma io con grande piacere vi lascerò

tirare per i capelli, mordere coi denti,

ed intanto per non perdere tempo darò

inizio al mio nuovo canto.

 

 

Canto 2°

 

Allevato lontan dagli affanni,

tra le glorie d'antico splendor,

era giunto a l'età dei vent'anni

piturando compagn d'un pitor:

era Aristide al nome glorioso,

che g'aveva 'sto genio famoso.

 

Da la fronte marmorea spaziosa

se vedeva qual seckel g'avess,

e nei occ ghe brillava focosa

la gran fiamma dei gran Santagnes:

ma purtropp el dover militare

a la patria doveva pagare.

 

Tutto lindo, pulito, azzimato,

un bel giorno a la visita andonne:

era bello veder denudato

questo giovin rampollo d'Aronne;

ma non so... per fatal deficienza

l'han cassà via del tutt in licenza.

 

Figurarse la gran meraviglia:

me non credi che penna ghe sia,

che de tutta st’immensa famiglia

contar possa l'eccelsa allegria:

sol ve dighi che per farghe onor

volle Ettòrre un concerto propor.

 

Chi mai sia questo nobile Ettor

se ignoraste per caso assai stran

ve dirò che non è eI domator

de cavai, el valente Troian,

ma se creda da tutt la keilà

che d'Aristide sia el papà.

 

La proposta del buon genitore

dita lì in un moment de morbin

vegna accolta con grande favore

da fiol quel che sona el violin,

una testa... un ingegn sovruman

che Rossini è in confront quasi un can.

 

Sbalordito da l'alto pensiero,

rivolgendo ne l'alma gli allori

che poteva il concerto per vero

procurargli sì in casa che fuori,

tutt content scolgassà in la poltrona

interpella mama e nona.

 

E così in un minuto secondo

se combina la celebre festa

che doveva fruttarghe nel mondo

la più splendida gloria ed onesta,

e per render più illustre el programma

fa impissar de petrolio una fiamma.

 

Intratant che l'illustre gudà

è sott sora con gran confusion

per disporre con gran cavanà

el palass per el gran concerton,

el poeta che è stuf de cantar

ve domanda un minut per chietar.

 

Allevato lontano dalle preoccupazioni,

tra le glorie di antico splendore,

era giunto a l'età dei vent'anni

dipingendo come un pittore:

era Aristide dal nome glorioso,

che aveva questo genio famoso.

 

Dalla fronte marmorea e spaziosa

si vedeva quale seckel (intelligenza) avesse,

e negli occhi gli brillava ardente

la grande fiamma dei grandi Santagnes:

ma purtroppo il dovere militare

doveva pagare alla patria.

 

Tutto lindo, pulito, azzimato,

un bel giorno andò alla visita:

era bello vedere nudo

questo giovane rampollo d'Aronne;

ma non so... per una fatale insufficienza

l'hanno mandato via definitivamente in licenza.

 

Figuratevi la grande meraviglia:

io non credo che vi sia penna,

che possa descrivere la grandissima gioia

di tutta questa grande famiglia:

vi dico solo che per fargli onore

Ettòrre volle proporre un concerto.

 

Chi mai sia questo nobile Ettore

se ignoraste per caso assai strano

vi dirò che non è il domatore

di cavalli, il valoroso Troiano,

ma tutta la keilà (comunità) crede

che sia il papà d'Aristide.

 

La proposta del buon genitore

buttata lì in un momento di follia

viene accolta con grande favore

da suo figlio quello che suona il violino,

una testa... un ingegno straordinario

che al confronto Rossini è quasi un cane.

 

Sbalordito dalla grande idea,

ripensando in cuor suo alla gloria

che il concerto poteva veramente

procurargli sia in casa che fuori,

tutto contento sdraiato nella poltrona

interpella la sua mamma e la sua nonna.

 

E così in un attimo

si organizza la celebre festa

che doveva fruttargli nel mondo

la gloria più splendida ed onesta,

e per rendere il programma più importante

fa accendere una lampada a petrolio.

 

Mentre l'illustre gudà (schiera)

è sottosopra con grande confusione

per preparare con grande cavanà (zelo)

il palazzo per il grande concerto,

il poeta che è stanco di comporre

vi domanda un minuto per riposarsi.

 

 

Canto 3°

 

Ettore:  Lisa, Lisa benedeta

meta via quela spasseta,

porta chì una qualche scragna,

buta in cort quela cavagna,

e te Aldo sta fermin...

tasi un po' con quel violin.

Richeta: Cara te, la Rosina,

dam un po’ la mansarina

e squassa el baldachin,

che de ross s'è fatt turchin:

me dà propria un gran pensier

e tel dich per non taser,

quel mosciau che fa un odor

che me toca fin el cor.

Ma gh’è un'altra gran macà

s'ho da dir la verità:

non g’avem che tri bicier

du scudeli e un candeler:

coma mai podrema far

la gran sala a illuminar?

coma mai a tutt la gent

podrem dar el trattament?

Ettore:  Son andà dal bon Scipion

per stampar el cartelon

ma m'ha ditt che nol farà

per el gran d'affar che g’ha.

e cosi dop tant bordel

manca propria el bon e el bel.

Lisa:     Tute queste en rose e viole,

en sciochezze de parole.

el più gross e gran torment

en i inviti de la gent.

Ettore:  Ah! son stuf, son stuf del tutt

non ghe vedi el mamasciut,

me lassè far tutt a mi

e ghe manca sol du dì:

se, perdio, non m'aiutè

me rinunci al soarè.

Lisa:     Ma cos'è 'sto gran mappel,

cos'è mai 'sta confusion

dov'et miss el servel,

dov'et miss la ragion?

per i invit non ghe pensar

ho fatt le notazion

perché propria vói ciamar

del ckasser el gran bon ton.

G'ho miss dentar Giacomin

e la goba Margherita,

Magnabigoli, Pepin,

Maier, Lazzaro e l'Annita.

Gh'è Vittorio quel magnan

che in ghett bottega g'ha;

gh'è Giovan el venezian,

la Clementa de Sciscià.

vói anca che ghe sia

per salvam dai paramai

la cara "Amalia mia"

che non vegna quasi mai.

Per finir la bela lista,

che me para limitada

g'ho miss denter qualche artista

de gran fama rinomada:

gh'è una qualche prima dona,

c'ha cantà con al Social,

gh'è la Linda, la Simona,

la moier de Latmiral.

G'ho mandà un biglietin

ai coristi e ai sonador;

ghe sarà un bell'organin,

du baritoni e un tenor.

Se me son dismentegada

d'invidar un qualchedun

non me dir che son sventada,

non è colpa de nissun.

 

En queste le parole malcontente

che tegnen ‘sti gnivrim per combinar;

 

ma intant me ve domandi, bona gente,

che me lasseghi propria riposar.

 

Ettore:  Lisa, Lisa benedetta

metti via quella spazzola,

porta qui qualche sedia,

butta nel cortile quella cesta,

e tu Aldo sta tranquillo...

taci un po' con quel violino.

Richeta: Cara te, la mia Rosina,

dammi un po’ la scopa

e poi sbatti il baldacchino,

che da rosso è diventato turchino:

mi dà proprio una grande preoccupazione

e te lo dico per non tacere,

quel mosciau (gabinetto) che fa un odore

che mi tocca fino il cuore.

Ma c’è un'altra grande macà (disgrazia)

se devo dire la verità:

non abbiamo che tre bicchieri

due scodelle e un candelabro:

come mai potremo fare

a illuminare la grande sala?

come potremo mai accogliere

tutta la gente?

Ettore:  Son andato dal buon Scipion

per far stampare il programma

ma m'ha detto che non lo farà

perché ha un gran daffare.

e cosi dopo tanta confusione

manca propria il buono e il bello.

Lisa:     Tutte queste sono rose e viole,

sono sciocchezze di parole.

La preoccupazione più grossa e grande

sono gli inviti delle persone.

Ettore:  Ah! sono stanco, sono totalmente stanco

non ci vedo il mamasciut (fondamento),

lasciate fare tutto a me

e mancano solo due giorni:

se, perdio, non m'aiutate

io rinuncio all’ evento.

Lisa:     Ma cos'è questo gran mappel (casino),  

cos'è mai questa confusione

dove hai messo il tuo cervello,

dove hai messo la tua ragione?

per gli inviti non ci pensare

ho già fatto l’elenco

perché voglio proprio chiamare

il meglio del ckasser (ghetto).

Ho messo dentro Giacomin

e la gobba Margherita,

Magnabigoli, Pepin,

Maier, Lazzaro e l'Annita.

C'è Vittorio quel calderaio

che ha la bottega giù nel ghetto;

c'è Giovan il veneziano,

la Clementa de Sciscià.

Poi voglio anche che ci sia

per salvarmi dalle lamentele

la mia cara "Amalia mia"

che non viene quasi mai.

Per finire la bella lista,

che mi sembra limitata

c'ho messo dentro qualche artista

di grande e rinomata fama:

c'è qualche prima donna,

che ha cantato con me al Teatro Sociale,

c'è la Linda, la Simona,

la moglie di Latmiral.

Ho mandato poi un biglietto

ai coristi e ai suonatori;

ci sarà un bell'organetto,

due baritoni e un tenore.

Se mi sono dimenticata

d'invitare qualcuno

non mi dire che son sventata,

non è colpa di nessuno.

 

Sono queste le parole poco garbate

che usano questi gnivrim (ebrei) per organizzare;

ma intanto io vi domando, buona gente,

che mi lasciate riposare davvero.

 

 

Canto 4°

 

Arrivati a la sera fatale

del non meno fatale concerto

già il palazzo da prima deserto

s'incomincia de gent a impinir:

le lucerne di mezzo a le sale

mandan lieti e lontani bagliori,

già indistinti e confusi clamori

fin in strada me par da sentir.

 

Sono gare di gran complimenti,

sono evviva che vengon dal petto,

è un parlare in toscano e in dialetto

che mi desta una gran commozion:

v’ha chi ammira gli specchi lucenti,

v'ha chi loda le scragne imbottite,

cose mai non più viste né udite

fin dai tempi del vecc Bocalon.

 

- Oh! s'accomodi illustre Enrichetta,

che se senta in 'sta bella poltrona,

e anca , la cara Simona,

perché in piedi lì dritta me sta?

- Grazie, grazie, ma g'ho la veletta,

che mi preme di non la sporcare.

- Me la dia che la vo ad inciavare

nel cassetto del nostro armoà.

 

- O Vittorio, Vittorio Comini,

venga, venga non stia in sudizione,

di mia casa egli è sempre padrone,

tenga pure sul capo il cappel.

- Ma coiussi, che bei stivalini

che s'è missa la buona Clementa,

Adonai!... semper grassa deventa,

e g'ha un pett che somiglia a un broffel.

 

- Quale onore mio buon Giacomino

quale onore vederte chissù,

così bel non me para più lu

con la cagna, la lira e el lorgnett:

bevi, bevi, 'sto buon bicchierino

è de greggia de quella più fina

me l'ha data la gran tabachina

la più bella donzella del ghett.

 

- Coma mai non se veda l'Annita,

la futura gentil marangona?

- G'ha da far le traponte per lona

e m'ha ditt che più tardi verrà.

Sì verrà con la Margherita

quella gobba sì bella e formosa

che con tutti s'è fatta famosa

per la nota sua grande onestà.

 

- E sarebbe ben lungo il mio dire

se volessi così continuare,

che potrei a buon conto stufare

il più caro e paziente lettor:

credo quindi util cosa finire

per dar mano ad un canto novello

che ho ben fede sarà solo quello

che sorrider faratti di cor.

 

Arrivati alla sera fatale

del concerto non meno fatale

già il palazzo dapprima deserto

comincia a riempirsi di gente:

le lucerne in mezzo alle sale

mandano bagliori lieti e lontani,

già clamori indistinti e confusi

mi pare di sentire fin giù in strada.

 

Sono gare di grandi complimenti,

sono evviva che vengono dal petto,

è un parlare in toscano e in dialetto

che mi procura una grande commozione:

c’è chi ammira gli specchi lucenti,

c’è chi loda le sedie imbottite,

cose mai non più viste né udite

fin dai tempi del vecchio Bocalon.

 

- Oh! s'accomodi illustre Enrichetta,

si sieda in questa bella poltrona,

e anche lei, la mia cara Simona,

perché se ne sta lì dritta in piedi?

- Grazie, grazie, ma ho la veletta,

che non voglio sporcare.

- Me la dia che la metto sotto chiave

nel cassetto del nostro armadio.

 

- O Vittorio, Vittorio Comini,

venga, venga non stia in soggezione,

a casa mia lei è sempre padrone,

tenga pure il cappello in testa.

- Ma perbacco, che bei stivalini

che s'è messa la buona Clementa,

Adonai (caspita)!... diventa sempre più grassa,

ed ha un petto che assomiglia a un foruncolo.

 

- Quale onore mio buon Giacomino

quale onore vederti qui,

così bello che non mi sembra più lei

con il cappello, il soprabito ed il monocolo:

bevi, bevi, questo buon bicchierino

è di grappa di quella migliore

me l'ha data la gran tabaccaia

la più bella signorina del ghetto.

 

- Come mai non si vede l'Annita,

la futura gentil (moglie del ) falegname?

- Deve fare le trapunte per lona

e m'ha detto che verrà più tardi.

Sì verrà con la sua Margherita

quella gobba così bella e formosa

che è diventata famosa a tutti

per la sua rinomata grande onestà.

 

- Ed il mio discorso sarebbe così lungo

se volessi continuare in questo modo,

che potrei comunque annoiare

il più caro e paziente dei lettori:

credo quindi cosa utile finire

per iniziare ad un nuovo canto 

che sono sicuro sarà solo quello

che ti farà ridere di cuore.

 

 

Canto 5°

 

S'innalzan cantici

si levan strepiti

risuona l'aere

del mantovan:

anche i decrepiti

non che gli stittici

plaudono attoniti

chi suona il pian.

 

Son canti erotici

catastrofelici

sui bianchi cembali

che fan spavent,

siccome il turbine

che spazia rapido

quando terribile

mugola el vent.

 

A tanto magico

suonar di cembalo

che filarmonico

or tace, or cór,

le genti pallide

si senton scorrere

su la cuticola

un gran sudor.

 

È tale il fascino

che allor sprigionasi

dai petti timidi

dei invità,

che tutti gridano

con tanta d'ugola

oh! dio finiscila

per carità.

 

Oh! Dio finiscila

con quell'armonica

se no una colica

piena d'odor

tosto sprigionasi

fuor dal ventricolo

con gran pericolo

con gran rumor.

 

Oh! siete stupidi

a non comprendere

la nota timida

del forte-pian!

poi che tanto asini

natura fecevi,

andè in maiorsega

o fioi de can!

 

A tale apostrofe

le donne cadono

in catalittico

gran sveniment,

solo gli uomini

si scuoton subito

con tale strepito

da far spavent.

 

Gh'è Magnabigoli

che se sbotona

e se bastona

con el magnan,

e Santagnacara

ghe fa la festa

con la testa

al Venezian.

 

Gh'è el baritono

che slè tacada

con la cugnada

de Giacomin

e se dan botte

la Margherita

co la Annita

del bel Pipin.

 

Non son più cantici

ma sono gemiti

ma sono tegole

piatti e bicier

che volan rapidi,

che al suol si frangono

rompendo... ahi misero

qualche seder!

 

Così d'un subito

le sale splendide

tanto magnifiche

per luce e fior

si svuotan rapide

più che telegrafo

per la molteplice

fuga di lor.

 

E solo restano

i cari coniugi

con voce querula

a bisticciar,

infìn che i moccoli

senza cerogine

comincian pallidi

a vacillar.

 

Ma senza lucido

e bel pensiero

a dire il vero

anch'io son già,

per cui credetelo

se poso alquanto

lo vuol soltanto

necessità!

 

S'innalzano canti

si levano strepiti

risuona l'aria

del mantovano:

anche i decrepiti

non che gli stitici

applaudono attoniti

chi suona il piano.

 

Son canti erotici

catastrofici

sui bianchi cembali

che spaventano,

siccome il turbine

che spazia rapido

quando terribile

mugola il vento.

 

A tanto magico

suonar di cembalo

che armonioso

ora tace, ora corre,

le genti pallide

si sentono scorrere

sulla pelle

un gran sudore.

 

È tale il fascino

che allora si sprigiona

dai petti timidi

degli invitati,

che tutti gridano

a gran voce

oh! dio finiscila

per carità.

 

Oh! Dio finiscila

con quell'armonica

se no una colica

piena d'odore

tosto si sprigiona

fuori dallo stomaco

con gran pericolo

con gran rumore.

 

Oh! siete stupidi

a non comprendere

la nota timida

del pianoforte!

poiché tanto asini

natura vi fece,

andate in malora

o figli di cane!

 

A tale esclamazione

le donne cadono

in catalitico

grande svenimento,

solo gli uomini

si scuotono subito

con tale strepito

da fare spavento.

 

C'è Magnabigoli

che si sfoga

e si picchia

con il calderaio,

e Santagnacara

fa la festa (colpisce)

con la sua testa

il Veneziano.

 

C'è poi il baritono

che se l’è presa

con la cognata

di Giacomin

e si danno botte

la Margherita

con la mia Annita

del bel Pipin.

 

Non son più cantici

ma sono gemiti

ma sono tegole

piatti e bicchieri

che volano rapidi,

che al suolo si frangono

rompendo... ahi misero

qualche sedere!

 

Così d'un subito

le sale splendide

tanto magnifiche

per luce e fiori

si svuotano più rapide

del telegrafo

per la molteplice

loro fuga.

 

E restano solo

i cari coniugi

con voce lamentosa

a bisticciare,

fino a che le candele

senza cera

cominciano pallide

a vacillare.

 

Ma senza lucido

e bel pensiero

a dire il vero

anch'io sono già,

per cui credetelo

se mi fermo un po’

lo vuole soltanto

la necessità!

 

 

Canto 6°

 

Puta:    En andadi finalment,

era stufa in verità!

ma che gent, oh Dio che gent

sensa un scin de civiltà!

Dopo i spesi ch'ema fatt,

dopo tutt el tribuleri

non credeva propria affat

che nasses 'sto putiferi.

Rica:    Chi m'ha fatt restar de sass

el confessi con dolor

è stà sol quel vis de cass

de Leoncino el sonador.

Un putel così educà

che frequenta el tribunal,

che con tanta cavanà

lesa semper el giornal,

non doveva, a parer

per rispett e devozion

solevar un tal gasér

ne l'altrui abitazion.

Lisa:      Ma Vittorio ghe le ha date,

g'ha fatt vegnar sang de nas,

g'ha piantà ne le culate

un cazzott da contrabass;

e fortuna che Pepin

è andà in mesa e i ha divis,

che se no de quel putin

ghe ne fava un gran pastiss.

Ettore:  Tute queste en piccolesse

che se polen tolerar;

quel che è pegio en le sporchesse,

roba propria da ingosciar

che fasseva Santagnes

propria in mesa de la festa

col grattarse assai de spess

quela malcontenta testa.

Che massacro de pedocc

ha mai fatt quel nero tocch,

l'ho vist me con i occ,

se sentiva fin el ciocch.

E pensar che avea inventà

un articol pel giornal

doa parlava con kochmà

del fraterno festival!

Figli:    Ah! davera, o bon papà,

sel faret almen sentir,

se non vegna pubblicà

per cagion de quei kasir.

 

Capirì che a ricordar

tutt intregh el bell'articol

g'ho bisogn de rinfrescar

col limon el ventricol.

 

Puta:    Sono andati finalmente,

ero stanca in verità!

ma che gente, oh Dio che gente

senza un scin (briciolo) di educazione!

Dopo le spese che abbiamo fatto,

dopo tutto il tribolare

proprio non credevo affatto

che nascesse questo putiferio.

Rica:    Chi m'ha fatto restare di sasso

lo confesso con dolore

è stato solo quel brutto muso

di Leoncino il suonatore.

Un ragazzo così educato

che frequenta il tribunale,

che con tanta cavanà (devozione)

legge sempre il giornale,

non doveva, a mio parere

per rispetto e devozione

sollevare una tale gazzarra

in casa d’altri.

Lisa:      Ma Vittorio gliele ha date,

gli ha fatto venire il sangue dal naso,

gli ha piantato nel sedere

un cazzotto molto potente;

e per fortuna Pepin

si è messo in mezzo e li ha divisi,

perché altrimenti di quel ragazzo

avrebbe fatto polpette.

Ettore:  Tutte queste sono piccolezze

che si possono tollerare;

quel che è peggio sono le porcherie,

roba proprio da far vomitare

che faceva Santagnes

proprio nel mezzo della festa

col grattarsi in continuazione

quella testa disgraziata.

Che massacro di pidocchi

ha mai fattoi quel nero (misero) individuo,

l'ho visto io con i miei occhi,

si sentiva perfino lo schiocco.

E pensar che avevo già scritto

un articolo per il giornale

dove parlavo con kochmà (competenza)

del fraterno festeggiamento!

Figli:    Ah! davvero, o buon papà,

ce lo farai almeno sentire,

se non venisse pubblicato

a causa di quei kasir (porci).

 

Capirete che per ricordar

tutto intero il bell'articolo

ho bisogno di rinfrescare

il mio stomaco col limone.

 

 

Canto 7°

 

In questo canto viene riportato il testo dell’articolo che Ettore avrebbe scritto prima ancora che l’evento avesse luogo, col proposito di farlo pubblicare sul giornale locale (ndr).

 

«Ne la sera del vent'otto

al suonare delle otto

mentre il sole ormai cadeva

un gran fatto succedeva.

Il signor Franchetti Ettorre

nostro illustre cittadin

ogni cosa fe disporre

per suonare un Concertin.

È Franchetti il genitor

di quel genio ardito e fier

che a Milano si fe onor

anche presso i camarer.

Non parliamo di sua mamma

che ci porta tanto amor,

non parliamo del programma,

roba scelta di valor.

Sol direm che i battimani

fino al ciel s'udir volar:

ne la strada fino i cani

se meteven a baiar.

Oltre fino a mezzanotte

andò in lungo il soarè

con gran pace, senza botte,

senza gnanca un fatt indré

bogliam quindi l'incidente

per far plauso al cittadin,

che ci onora sì altamente

fra i paes circonvicin.

Una lode al figlio ancora

che se acsì continuarà

non è tant lontana l'ora

che gran fama acquistarà!

Figli:    Oh! che bel, che bel discors,

adonai è un gran peccà

che per causa de quei ors

non te vegna publicà!

Lisa:     Ben, finila coi giornai,

fioi de can de malmasai;

è ben ora de finir

e d'andar un po' a dormir:

se smorsa i mocolott,

è assai tardi... è mezanott!

 

«La sera del ventotto

alle otto in punto

mentre il sole ormai calava

succedeva un gran fatto.

Il signor Franchetti Ettorre

nostro illustre concittadino

fece disporre ogni cosa

per far esguire un Concertino.

Franchetti è il genitore

di quel genio ardito e fiero

che a Milano si fece onore

anche presso i camerieri.

Non parliamo di sua mamma

che ci porta tanto amor,

non parliamo del programma,

roba scelta di valor.

Diremo solo che i battimani

s'udirono volare fino in cielo:

nella strada perfino i cani

si mettevano ad abbaiare.

Fino ad oltre mezzanotte

si dilungò la serata

con gran pace, senza botte,

senza nemmeno un fatto negativo

suggelliamo quindi l’evento

per applaudire il cittadino,

che tanto ci onora

fra i paesi confinanti.

Ancora una lode al figlio

che se continuerà così

non è tanto lontano il momento

che acquisterà grande fama!

Figli:    Oh! che bel, che bel discorso,

adonai (perbacco) è un gran peccato

che per causa di quelle bestie

non ti venga pubblicato!

Lisa:     Bene, finitela coi giornali,

figli di cane di malmasai (disgraziati);

è ben ora di finire

e d'andare un po' a dormire:

già si spengono le candele,

è assai tardi... è mezzanotte!

 

 

Canto 8°

 

Ai canti, ai plausi, ai queruli lamenti,

che avvennero quel dì nel festival,

non scorsero brevissimi momenti

che tutto tornò in calma sepolcral;

così con molti e gravi e grandi stenti

finito ho il mio poema o bene o mal

che tramandar ai posteri con gloria

dovrà la precedente e gaia storia.

 

 

Dopo i canti, gli plausi, le lamentele,

che avvennero quel dì durante il festival,

non trascorsero che brevissimi istanti

e tutto tornò in una calma sepolcrale;

così con molti e gravi e grandi sforzi

bene o male ho finito il mio poema 

che dovrà tramandar ai posteri con gloria

la precedente e gioiosa storia.

 

 

ELENCO

SUCCESSIVA