Leconomia
globale nasce nelle città e utilizza queste come luogo privilegiato
per il proprio sviluppo. Scarsamente interessata alle campagne e alle
grandi aree industriali, la globalizzazione economica ha come sedi direzionali
i centri urbani.
Quando le città si globalizzano, diventano sedi direzionali di
flussi di capitali non regolati dai tradizionali sistemi legali e commerciali
di controllo e garanzia; esse tendono ad assumere determinati connotati
fisico-spaziali e iniziano ad essere attraversate da flussi di idee e
da messaggi culturali assimilabili tra di loro a varie latitudini.
Gentrificazione
Da qualche tempo ho la possibilità di osservare questo passaggio
a Damasco, capitale della Siria. Una delle dinamiche che interessa questa
capitale mediorientale, accomunandola a molte città globalizzate
o globalizzande, è la gentrificazione: in sintesi,
questa consiste nello sviluppo di un interesse, da parte di vari livelli
e settori del potere, per i luoghi centrali; su di essi si esercita
unazione motivata da scelte economiche ed estetiche riconoscibili
anche in altri luoghi del pianeta.
In vicinanza dei luoghi in cui si svolgono gli affari e si allacciano
e slacciano i nodi delle reti attraverso cui fluttuano i capitali, le
città riscoprono o inventano le proprie bellezze e le proprie
antichità. In questo modo cambiano anche i connotati dello spazio
pubblico.
Spazi
pubblici
In Siria lattività politica che non abbia come scopo il
sostegno del regime è interdetta da diversi decenni. Gli spazi
pubblici non sono dunque sedi del dibattito politico (almeno non del
dibattito sulla politica interna), ma della chiacchiera, del gioco,
dellincontro amoroso - nella misura e secondo le regole in cui
questo è permesso dalla morale dominante.
Gli spazi pubblici delle città costruite sotto linfluenza
della religione musulmana non sono i viali e le piazze (nelle medine
non esistono), ma i mercati, le moschee, i bagni e i caffè. Mentre,
sotto le spinte della globalizzazione, scema parzialmente limportanza
di questi spazi pubblici, la tradizione inventa - e indirizza il pubblico
verso - nuove sedi: il pub, linternet cafè, il ristorante
occidentale, la discoteca. In altri termini, i luoghi pubblici si privatizzano.
In altri termini ancora, potremmo dire che in Siria sono visibili le
conseguenze del prepotente ingresso dellOccidente nel Medio Oriente:
stato nazionale che aveva eretto delle simboliche barriere contro certi
monumenti del mondo occidentale, specialmente le multinazionali statunitensi,
la Siria, che da tempo segue la via della liberalizzazione economica,
ha da pochissimi anni legalizzato luso di internet, del telefonino
e dellantenna parabolica.
Una delle conseguenze è che la gente questo giugno e luglio ha
potuto seguire su al Jazira, negli splendidi cortili dei nuovissimi
ristoranti antichi di Damasco, il campionato europeo di
calcio, e veder vincere, con sommo gaudio, una piccola squadra come
la Grecia,alla periferia di quello che chiamiamo Medio Oriente.
Unaltra delle conseguenze della liberalizzazione è che
nelle pittoresche strade della città antica, fuori dalle porte
dei costosi locali, compaiono i primi mendicanti; fino a qualche anno
fa questi miserabili erano protetti da un potente sistema statale di
garanzie e dallosservanza di uno dei cinque principi fondamentali,
o pilastri, dellIslam, la carità (zakah), che in
un sistema politico ispirato in qualche misura dallIslam non è
delegata al buon cuore del singolo, ma è amministrata dallo stato.
Simili contrasti stridenti sono osservabili in molte delle città
globalizzate in cui la polarizzazione sociale si estremizza e le tradizionali
classi medie si riducono in povertà. Tali tendenze saltano immediatamente
agli occhi osservando spazi urbani in cui passerelle di lusso, create
per collegare spazi pubblici privatizzati, attraversano quartieri in
cui vive un sottoproletariato affatto privo di familiarità con
questi nuovi luoghi pubblici.
Un esempio della creazione di simili passerelle è la città
antica di Bari. Recentemente lamministrazione comunale ha ripreso
un progetto iniziato nel ventennio fascista, che mirava alla creazione,
nel centro storico, di strade-passerelle che permettessero di passeggiare
godendo dei principali monumenti. A quellepoca furono create alcune
piazze e larghe strade attraverso lo sventramento di edifici fatiscenti
e il trasferimento degli abitanti in altre zone della città.
Inutile sottolineare quanto scarsa fu lattenzione accordata alle
esigenze delle classi subalterne che abitavano il centro storico. I
recenti lavori di sistemazione di piazza Ferrarese, piazza Mercantile
e delle strade vicine, nonchè lapertura della passerella
di corso Venezia, animati dallo stesso spirito, assolutamente indifferente
allo stile di vita degli abitanti del luogo, sono un esempio da manuale
di privatizzazione dello spazio pubblico: la gentrificazione di queste
aree ha programmaticamente attratto una torma di imprenditori intenzionati
a fare affari grazie alla bella posizione dei locali destinati principalmente
a pub e ristoranti. Si è così creato un trend di gente
estranea, per estrazione sociale e culturale, alla zona, che ha provocato
innumerevoli contrasti tra i nuovi e i tradizionali utenti di quegli
spazi. Casi del genere mostrano come la gentrificazione sia uno dei
metodi con cui si riproducono gerarchie sociali e subalternità.
Stili
di vita
Nel centro storico di Damasco, in via di gentrificazione, emergono,
accanto a quelli tradizionali, nuovi spazi pubblici, in primo luogo
caffè di stile arabo e pub di stile europeo. Tralasciando la
questione del recente emergere, in diversi paesi, di istanze identitarie
quale motore della scelta di alcuni imprenditori di aprire locali tradizionali,
da me esposta in un precedente numero di questa rivista, voglio qui
sottolineare come la frequentazione di questi luoghi stimoli in molti
sensi il cambiamento dello stile di vita.
Per esempio, questi luoghi sono le nuove sedi dellincontro amoroso.
Mentre diminuisce il peso delle decisioni materne e degli accordi familiari
per il fidanzamento, i giovani siriani sono sempre più intenzionati
a cavarsela da soli nellincontro con laltro sesso; i luoghi
in cui si può ballare sentendo musica ad alto volume, in atteggiamento
segreto favorito dalla luce soffusa e con i freni inibitori allentati
per la licenza di bere alcoolici, concessa temporaneamente, affiancano
da qualche anno i luoghi, come lhammam, il bagno turco
in cui tradizionalmente le mamme prendono accordi per garantire ai figli
il matrimonio.
Unosservazione che ho sentito di frequente è che questa
licenziosità non è concessa a tutti, ma solo a chi può
pemettersi economicamente di frequentare questi luoghi. Così
è facile assistere al cozzare di stili di vita molto diversi
tra di loro: quello emancipato degli avventori dei locali e quello,
più condizionato dal peso delle tradizioni e del portafogli,
dei ragazzi che lavorano in quei locali, attratti dalla possibilità
di entrare facilmente in contatto con laltro sesso, ma impossibilitati
dalle condizioni materiali ad esercitarsi in questa pratica.
Più a monte, si può indagare quali settori e livelli del
potere trovano un interesse a gentrificare quartieri antichi in parte
degradati. Il governo siriano ha predisposto diversi enti pubblici alla
salvaguardia del patrimonio artistico architettonico, dopo che lUNESCO
ha inserito il centro storico nella lista dei beni dellumanità
in quanto centro urbano continuamente abitato da oltre due millenni.
Qualsiasi lavoro di restauro intrapreso negli edifici protetti dallUNESCO
deve passare il vaglio di questi enti, i cui impiegati si trovano così
a svolgere un incarico delicato e prestigioso, rappresentando uno dei
livelli del potere coinvolto nella protezione/gentrificazione. Questi
architetti, inoltre, spesso si incaricano in prima persona dei restauri;
in questo modo essi curano ora gli interessi del potere politico-amministrativo,
ora quelli del potere economico.
In altre parole, essi rappresentano, oltre che un livello del potere,
un punto di contatto e interazione tra questi due settori del potere,
politico-amministrativo ed economico. Perchè la gentrificazione
attragga il potere economico-imprenditoriale è presto detto:
per i manager la gentrificazione comporta la possibilità di fare
affari attraverso locali, ristoranti, alberghi, negozi di oggetti di
lusso e di beni e servizi tecnologici e attraverso lindotto creato
da questi esercizi.
A un altro livello del potere economico ci sono i proprietari delle
grandi case del centro storico. Costoro appartengono spesso alle ricche
e potenti famiglie di politici e mercanti che, fino alla fine dellOttocento,
costruirono quelle case sontuose per la propria abitazione. Sin dai
primi decenni del Novecento costoro trovarono utile abbandonare queste
abitazioni, a causa del degrado e del sovrapopolamento del centro storico,
per andare a vivere in altre zone, per lo più in periferia. Si
seguì un andazzo che accomuna Damasco a quel mondo che dal Settecento
il colonialismo europeo ha letteralmente ricreato, secondo Mike Davis
Olocausti tardovittoriani, come terzo mondo. Così
oggi a Damasco, come in quasi tutte le grandi città mediorientali,
esistono quartieri periferici in cui le case costano milioni di euro,
in cui è facile vedere la gente spostarsi in costosissime automobili
occidentali, confinanti con quartieri ghetto e bidonville di baracche
in mattoni e lamiere, dove mancano i principali servizi e le condizioni
igienico-sanitarie sono precarie.
Nei
campi profughi
Tra questi quartieri-ghetto ci sono i campi profughi palestinesi e irakeni.
Limmigrazione irakena, favorita dal governo siriano durante e
subito dopo lultima guerra, è stata drasticamente ridimensionata,
ultimamente, allo scopo di allontanare i sospetti internazionali di
ospitalità accordata ai terroristi provenienti dallIraq.
Decisioni del genere, unitamente a quelle di costringere numerosi movimenti
palestinesi siriani a sciogliersi, e di disinteressarsi ostentatamente
della causa degli Hezbollah in Libano, prese dal governo per
allontanare accuse e minacce degli Stati Uniti, rischiano di disaffezionare
la popolazione alla politica del partito di governo: il nazionalismo
arabo e la comune causa degli stati arabi contro Israele e gli interessi
internazionali che esso rappresenta sono infatti da decenni il cuore
della propaganda bathista, ampiamente condivisa dai Siriani.
I campi irakeni e diversi campi palestinesi sono accomunanti dalle triste
condizione di bidonville invivibili, in cui lopera volontaria
di ong internazionali e movimenti religiosi riesce a malapena a garantire
a questa gente di non morire di fame o di malattie infettive.
La situazione è sensibilmente migliore nei campi palestinesi
più grandi, come Yarmuk, dove sono presenti tutti i principali
servizi e i Palestinesi non vivono isolati dagli altri Siriani. Negozi
frequentati da damasceni provenienti da altri quartieri, un passeggio
che si protrae fino a tarda sera, una grande moschea eretta da pochi
anni, vivacizzano le due strade principali (via Filastin e via Yarmuk)
di questo quartiere alla periferia meridionale di Damasco, al quale
si accede attraversando un arco sul quale campeggiano il volto dellex
presidente siriano, Hafez al-Asad, e la sua promessa di combattere per
la causa palestinese.
Camminare per altre periferie significa aggirarsi tra case in mattoni
grigi, non intonacate, spuntate un pò a casaccio intorno a stradine
strette e non asfaltate; quartieri del genere, non solo palestinesi,
sono comunemente definiti illegali, e il potere provvede
saltuariamente a condonare la presenza di questi edifici costruiti senza
alcuna autorizzazione pubblica.
Per molti palestinesi i campi rappresentano un passaggio obbligato ma
temporaneo nella capitale siriana. Lobiettivo di molti, infatti,
è di trasferirsi nel centro gentrificato della città.
Si tratta probabilmente dellesigenza di uscire dal ghetto; questa
scelta, tuttavia, non sembra motivata dal desiderio di rendersi invisibili
in quanto popolazione: lappartenenza al popolo palestinese è
infatti motivo dorgoglio per tutti quelli che ho conosciuto. Qualsiasi
prova difficile questi si trovino ad affrontare, a chi chiede se ce
la faranno rispondono: Sono palestinese!, intendendo cosa
vuoi che sia questa prova per un palestinese, abituato a resistere a
ben altro.
Fuori
dal ghetto
Hamir ha un negozio di souvenir orientali in una delle passerelle
del centro storico, Qemarieh, alle spalle della moschea degli Omayyadi,
il terzo centro religioso dei Sunniti dopo le moschee della Mecca e
Gerusalemme. I turisti soddisfano il proprio gusto dellesotico
comprando tappeti, arazzi, foulard, gioielli dal suo negozio. Hamir
è uno di quei Palestinesi che sono riusciti a uscire dal ghetto:
lavora e abita in pieno centro, parla diverse lingue, tra cui litaliano
(molto bene e con accento romanesco, avendo vissuto a lungo a Roma,
dove ha lavorato come cuoco), ha un aspetto europeo nel modo di vestire,
nel taglio di capelli, negli atteggiamenti; passa le serate con gli
stranieri che per turismo o lavoro si trovano a Damasco. La sua storia
familiare è un susseguirsi di viaggi e trasferimenti: alla nascita
di Israele la sua famiglia andò ad abitare nel Jolan,
la regione montuosa nel sud della Siria, importantissima per la ricchezza
dacqua (vi nascono ben 172 fiumi), che divide il paese da Israele.
Nella guerra dei sei giorni, nel 1967, Israele conquistò
il Jolan e parte della famiglia di Hamir seguì la sorte
di numerose famiglie siriane, palestinesi e di altre nazionalità
che abbandonarono la regione per trasferirsi in zone più sicure
della Siria: da allora i genitori di Hamir vivono a Damasco, dove lui
è nato, impossibilitati a tornare nel luogo del loro primo trasferimento
in Siria. Infatti le alture del Jolan sono a tuttoggi occupate
militarmente da Israele, che rifiuta da quarantanni di ritirarsi,
rendendo impossibile il normalizzarsi dei rapporti con la Siria.
La questione del Jolan è il primo punto di contenzioso
tra i due stati, ufficialmente ancora in stato di guerra dal 1967. A
settembre dello scorso anno Israele ha invitato la Siria al tavolo delle
trattative, non senza prima aver bombardato un villaggio vicino a Damasco;
a queste condizioni, il governo siriano non ha potuto che rifiutare
le trattative, viziate sin dalla loro vigilia dalla prova di forza israeliana,
offrendo così il pretesto per le accuse di mancata collaborazione
per la stabilizzazione della situazione politica in Medio Oriente.
Dal Jolan proviene anche la squadra di muratori, capeggiata da Mohammad
Nimr (Tigre) Mustafà, che si occupa dei lavori di restauro della
casa di un architetto francese dellUNESCO. Costui ha recentemente
comprato questa casa settecentesca, in degrado, affidandone il progetto
di recupero a un architetto italiano, anche lui dellUNESCO, che
a sua volta si è rivolto a Mustafà per lorganizzazione
materiale del lavoro. Linteresse per le aree antiche come sede
per labitazione da parte di impiegati di organismi internazionali,
gente abituata a uno stile di vita deterritorializzato, è uno
dei fenomeni di maggior rilievo tra quelli che fanno di una città
una città globale. I vicini di casa dellarchitetto francese
sono un influente diplomatico libanese e la sua famiglia, che da pochi
anni hanno restaurato lenorme casa in cui abitano. A pochi passi,
Mustafà sta restaurando unaltra casa, che diverrà
un hotel di lusso, di proprietà di un ministro siriano. Pochi
anni fa questa gente importante non avrebbe neppure preso in considerazione
lidea di abitare o avere esercizi nella città antica; ora
essi sono stimolati dalla (e contribuiscono alla) gentrificazione dellarea.
Accanto a loro, una serie di politici, artisti, uomini daffari
e di cultura provenienti da diverse parti del mondo, per i quali globalizzazione
significa la necessità di considerare propria casa e luogo di
lavoro il pianeta, comprano e prendono in fitto case, vi abitano, le
trasformano in atelier, gallerie darte, teatri, caffè,
ristoranti, pub e alberghi.
Lambiente urbano diventa internazionale; come altrove in Medio
Oriente leconomia globale, facendo il suo ingresso, va di pari
passo col decadere delle grandi industrie, con lo scemare dellimportanza
della produzione agricola nel prodotto interno lordo, e con la propaganda
sulleconomia leggera.
Economia
immateriale e mobilità
La retorica della leggerezza, dellimmaterialità della nuova
economia, accompagna il proliferare del settore ipertecnologico, fatto
relativamente nuovo in Siria, e viaggia attraverso le fibre ottiche
di recente installazione nelle città più grandi, gli schermi
dei computer negli internet cafè, le televisioni connesse tramite
satellite col mondo intero (quasi ogni edificio ha sul tetto numerose
antenne paraboliche), i cartelloni pubblicitari nelle strade, le vetrine
dei negozi di computer e telefoni. Saskia Sassen (Whose is city?
Globalization and the formation of new claims, in Public Culture,
8) riflette su come questa retorica serva a nascondere una realtà
fatta di pesantezza, sangue e sudore, quella dei lavoratori dellindustria
dellhardware, di quelli che spaccano e rimontano le strade per
inserirvi i pesanti cavi di fibre ottiche, quelli che costruiscono gli
splendenti palazzi in cui hanno sede le compagnie di servizi e ne curano
la manutenzione, quelli che gentrificano i luoghi in cui vanno ad abitare
i ricchi appassionati dellantichità.
Mohammed Nimr Mustafà ha 45 anni; è capace di smontare
e rimontare una antica casa araba dalle fondamenta al tetto. Nei mesi
in cui lavora molto guadagna fino a 500 euro, che sono pochi anche in
un paese economico come la Siria, se devi mantenere moglie e cinque
figli. Guadagna comunque molto di più dei 160 euro che spettano
a un impiegato pubblico di livello medio, come gli architetti e i tecnici
del Comitato per il recupero dellantica Damasco. È uno
specialista del restauro delle case antiche, ed è uno dei massimi
esperti di Damasco del fango, fieno e legno che costituiscono i muri
delle case, muri che nelle case povere restano spogli e miseri, malamente
intonacati, mentre in quelle ricche vengono rivestiti di sontuosi mosaici
di pietre, specchi, madreperla, legni intarsiati. È uno di quelli
che si sporcano le mani e rischiano in un lavoro insicuro, privo di
assicurazione sugli infortuni, senza previdenza sociale (questa non
è prevista che per il pubblico impiego), per abbellire le case
dei quartieri da gentrificare.
È passato anche lui attraverso la trafila del lavoro a cottimo,
che è ancora lunica fonte di sostentamento per centinaia
di lavoratori a giornata che la mattina presto affollano le strade di
Damasco in attesa di una proposta. Ha imparato il mestiere del muratore
viaggiando in Marocco, Libia e Grecia. Vorrebbe lavorare in Europa per
qualche anno e mettere da parte i soldi che gli consentano di tornare
in Siria, comprare un taxi e vivere una serena vecchiaia.
Viaggiare verso il mondo occidentale, tuttavia, non è facile
per un mediorientale che non appartenga alle élites. Normalmente
la gente viaggia di più tra i paesi mediorientali, e le ultime
statistiche dellOnu attestano che la massima parte dellemigrazione
da quei paesi ha come meta paesi confinanti. Molta letteratura di viaggio
contemporanea racconta le storie dei difficili esodi di questa gente
(Amitav Ghosh, Lo schiavo del manoscritto; Ghassan Kanafani, Uomini
sotto il sole) tra un paese arabo e laltro, e si tratta sempre
di viaggi verso un paese leggermente più ricco (dalla Siria al
Kuwait, dallEgitto allIraq, dai Territori Palestinesi ai
paesi in cui opera lUNRWA) e verso la speranza.
Le ambasciate straniere a Damasco sono quotidianamente affollate da
decine di Siriani che sperano di ottenere un visto. Pochi al giorno
ci riescono: gli accordi internazionali non consentono alla gente comune
di recarsi allestero, specie in Europa, Nord America, Australia
e Giappone. Haula e le sue sorelle e fratelli, palestinesi, di famiglia
contadina ma con una cultura vastissima e abili nel parlare diverse
lingue, hanno avuto la fortuna di sposarsi con Europei. Il matrimonio,
permettendo di assumere la nazionalità del coniuge, è
la via più veloce per poter viaggiare, esigenza vitale per questi
ragazzi e ragazze dalla mentalità internazionale. Sono nati e
cresciuti nel campo palestinese di Yarmuk, e alcuni di essi vi abitano
ancora col padre, un Palestinese proveniente dalla Cisgiordania, che
si è risposato dopo aver divorziato dalla madre di Haula. Altri
di loro si sono trasferiti in quartieri più centrali e meno etnicizzati,
dove hanno la possibilità di andare in giro senza velo e di ospitare
amici in casa senza provocare leccessivo risentimento di vicini
conservatori.
Il rigore delletica tradizionale è una delle variabili
di cui gli imprenditori che investono nellantico devono tener
conto. Quando otto anni fa Beit Jabri, il primo caffè tradizionale
nel centro storico di Damasco ha aperto i battenti, il proprietario,
Raid Jabri, è stato bersaglio delle rimostranze dei vicini che
si aspettavano che in un luogo del genere la gente si ubriacasse e si
dedicasse al sesso libero: così Raid ha organizzato diverse cene
con gli abitanti del vicinato, che hanno così constatato coi
propri occhi che il suo locale, per quanto ospitasse entrambi i sessi
senza esigere il certificato matrimoniale, non era un lupanare.
Ad avere il sopravvento, in questa circostanza, sul potere della tradizione
religiosa e comportamentale, è stato il potere economico: Raid
Jabri appartiene infatti a una ricca famiglia che tra le molte proprietà
conta lenorme e splendida casa dove ora sorge il caffè.
Panarabismo
Alleato del potere economico-imprenditoriale, in questo caso come in
molti casi simili, è il potere politico siriano. Questo infatti
ha tra i suoi principi fondanti il panarabismo, che è stato lideale
su cui maggiormente il partito Bath ha puntato nella sua
ascesa al potere per unificare una regione, come la Siria, in cui convivevano
e convivono molteplici appartenenze etniche, religiose e culturali.
Il senso di appartenenza alla grande famiglia di lingua araba accomuna
Sunniti, Sciiti, Drusi, Alawiti, Cristiani cattolici greci, armeni,
siriaci e maroniti, Cristiani ortodossi orientali; Siriani, Palestinesi,
Beduini, Kurdi; gente dei villaggi, delle città e del deserto;
contadini, operai, professionisti, nomadi. Uno dei veicoli più
forti che il potere sa sfruttare per la propaganda identitaria è
limmagine della città: il senso di appartenenza al mondo
arabo si crea anche permettendo (o imponendo) alla gente di camminare
attraverso architetture arabe e luoghi in cui si propone
gastronomia tipica e musica tradizionale.
La gentrificazione è dunque uno dei metodi con cui il potere
utilizza le tradizioni urbanistiche e dellabitare per la riproduzione
della subalternità e per il controllo sociale.