Lasciateci il piacere del viaggio
di Ilia Binetti

“La coscienza della mancanza si è spostata: essa non riguarda tanto un senso perduto, quanto un senso da ritrovare. E’ proprio a questo punto che l’interesse per il sociale si congiunge con l’interesse per la bellezza. Abbiamo bisogno di un’utopia della cultura, dell’educazione e della scienza che ci permetta di pensare l’avvenire della conoscenza come l’avvenire dell’intera umanità e non di una minoranza ricca, illuminata e dominante. Lo spazio per questa utopia ce l’abbiamo: è il nostro pianeta.” (Marc Augé)
Nella società della postmodernità l’economia della conoscenza riduce la conoscenza stessa a merce e non ammette che si possa agire diversamente. Espropriazione del tempo esistenziale, del tempo biologico delle donne, degli uomini, della natura tout court; alterazione delle interrelazioni tra esterno ed interno, dove l’interno si dissolve nell’esterno e viceversa e nella confusione delle provenienze tutto diventa ‘niente’, impossibilità di assaporare gli effetti dello scambio fecondo multidirezionale tra flusso esterno e flusso interno: una valanga di stimoli artatamente congeniati o inseriti in un vortice sovrastrutturale che provoca un senso di nausea e di distacco e sollecita la necessità di ‘bere’ a fonti di pensiero intellettuale che squarcino la cortina di ovvietà e di costrizioni e dilatino gli orizzonti del desiderio vitale, per superare la sofferenza da astinenza da sensazioni.
Sollecitazioni provenienti da un colore, da un suono, da un paesaggio, da un essere vivente, dal mondo esterno nella sua naturalezza, sono fonte di sconvolgimenti grandi o piccoli che alimentano il flusso vitale. Essere in un luogo senza avvertire il senso di appartenenza equivale a non ‘esserci’; a non essere ‘semplicemente umani’, al di là di qualsiasi forma di appropriazione. Nello scambio proficuo con l’altro, chi non è in condizioni di sentire la pienezza di esistere, chi non ‘è’ non può dare né ricevere. Nell’età postmoderna i confini ben delineati e rassicuranti, ogni giorno di più, perdono di consistenza e il soggetto nomade assume le caratteristiche proprie di quell’esistenza in cui lo spostamento è vitale e proficuo. Uno spostamento che implica il movimento fisico di corpi che occupano lo spazio e lo modellano secondo le proprie fattezze, senza possederlo, senza lasciare tracce, come sulla sabbia in cui il passo successivo cancella quello precedente.
Nel quotidiano superaffollato in cui siamo immersi raramente la sospensione del ‘rumore’ della vita ‘subita’ si allontana da noi. Anche le opportunità di avventurarsi in luoghi poco familiari sono filtrate da ‘pacchetti di viaggio preconfezionati’ sullo sfondo della mercificazione e appropriazione dei vissuti: rappresentano l’ulteriore propaggine dell’incomunicabilità reale nel mondo della comunicazione.
La soggettività si costruisce nell’incontro con gli altri che non rappresentano un insieme generico, ma un insieme caratterizzato da tante piccole particolarità rispetto alle quali noi mettiamo in comune quegli aspetti di noi stessi che sono più consoni alle diversità degli altri, a livello individuale e a livello sociale. Dalla poliedrica composizione di questi incontri scaturisce la ricchezza che connota la soggettività singola e collettiva: sostrato dell’immanenza materiale di un attraversamento esistenziale ricco e fecondo aperto alla vita.
Nella quotidianità sfoderiamo tutta la nostra indifferenza, se non vere e proprie forme di razzismo, nei confronti dei migranti che abitano nelle nostre città dei quali non conosciamo nulla e non vogliamo conoscere nulla. Non usciamo mai da noi stessi e tendiamo a vivere il nostro presente, caratterizzato dal “consumo immediato che si concilia molto bene con la spettacolarizzazione del mondo”. In essa si annullano le sfumature, si utilizza lo stesso linguaggio per ‘dire’ il mondo, si disintegrano le diversità, comprandone l’uso della loro manifestazione. La superficialità che ne consegue consente una generalizzazione delle situazioni e dei problemi, che, astraendo dal contenuto reale, incasella il mondo a volo d’uccello in macro categorie. Credere di conoscere gli altri semplicemente andando in luoghi lontani è una pura illusione. La conoscenza è la capacità di appropriarsi di esperienze e realtà presenti e passate per rielaborarle e renderle parte integrante di una comunità, di un gruppo, di un consesso al fine di godere collettivamente della dinamica della vita e riceverne stimoli creativi.
Il senso di identità che ci connota, che temiamo di perdere nell’abbandonarci a sensazioni non controllate, ci accompagna e ci condiziona perennemente, nella costante ricerca di senso e funzionalità. Ed è così che ogni esperienza di stupore, di meraviglia, anche di dolore, viene soppressa dalle voci dei luoghi organizzati per la ricerca del ‘divertimento’, parola d’ordine di una società che impone anche la dimensione del piacere, misurato e controllato secondo parametri rigorosamente scientifici. La smania della vacanza si inquadra nella stessa ottica. Le vacanze, momento di sospensione dalla quotidianità, hanno il carattere di pausa la cui durata è misurata da un tempo più o meno lungo. Esse rappresentano un momento di verifica delle immagini che sono state artatamente fornite per evitare forme di ‘sorpresa’. Andare a verificare che la realtà somigli alle immagini è lo scopo della vacanza, le apparecchiature fotografiche poi, forniranno il materiale per raccontare quanto si è visto. La vacanza diviene l’intermezzo spazio-temporale tra un prima e un dopo in un certo senso già conosciuto. L’occhio vede attraverso il filtro della macchina da presa per dominare il mondo e le persone: il turista occidentale aliena gli altri e nello stesso tempo aliena anche se stesso.
L’offerta preconfezionata di un ‘pacchetto tutto compreso’ nel quale un trasferimento è spacciato per viaggio, comprende l’organizzazione di ogni dettaglio, l’ eliminazione di ogni imprevisto e fornisce sicurezza. Raggiungere una meta senza uscire dall’orizzonte abituale, cioè attuare un progetto basato su una organizzazione meticolosa, e raggiungere lo scopo prefissato, dopo aver valutato i costi e i benefici, risponde alla stessa logica di controllo capillare della società: incasellare ogni forma di dispendio di energie in un susseguirsi programmato di azioni e reazioni, ponendo cura che non diventino interazioni. Le energie sono convogliate verso settori di interesse prettamente materiale, il tutto spacciato come condizioni di vero benessere. In realtà il potere, attraverso la massa informe del controllo totale, sfodera la capacità di volere e sapere utilizzare a proprio vantaggio l’involucro della nostra esistenza e si insinua dovunque con la sua subdola pervasività. Il godimento, il restare estasiati dinanzi all’ignoto, il trovarsi a vivere senza una meta ben definita o una dimora garantita sono dimensioni contemplate solo in quanto emozioni più o meno forti fornite dal programma della vacanza. Deprivati dell’esperienza diretta di metterci in relazione e alla prova, in un’ottica di apertura costruttiva verso nuove sollecitazioni, siamo indirizzati a usufruire di una trama organizzativa predefinita. Correre il rischio di non essere riconosciuti secondo codici condivisi non è contemplato se non in modalità precostituite. Accuratamente evitata è quella dimensione che ci pone di fronte all’ignoto, dove i confini non ci sono o sono appena accennati e dove ci si scopre allo sgomento e all’imponderabile aprendo gli abissi che sottostanno alla previsione razionale.
Nulla a che vedere con il viaggio al quale appartiene lo ‘spaesamento’ indotto da una nuova situazione, interiore o di relazione esterna, ma che in ogni caso si spinge al di là dei confini conosciuti, fonte di impulsi creativi produttori di nuove energie, godimento e gioia di vivere. Il viaggio elimina la meta, dischiude il mondo in tutta la sua ricchezza, la sua diversità, la sua complessità, come anche la sua semplicità che in quest’ottica non si associa a inutilità e a spreco. Ritrovare la dimensione del sé nell’incontro di odori, sapori, temperature, colori che animano sensazioni spontanee, accolte nel loro manifestarsi come flussi dinamici di vitalità, nello sprigionarsi inaspettato di forze evocatrici di piaceri ancestrali, inebria e stordisce nello stesso tempo in cui disintossica e offre spiragli ad una prospettiva di liberazione scevra da contaminazioni di ottiche opportuniste.
Ciò che viene spacciato per viaggio è ciò che ad esso è più estraneo, ossia la totale assenza di quel margine di imprevedibilità che consente ai soggetti di operare volta per volta le loro piccole e grandi scelte. Nel ‘pacchetto turistico’ ogni scelta è effettuata a monte, è condizionante e orientativa rispetto all’approccio al nuovo, al diverso. Il turista va alla ricerca di nuove esperienze, di novità, ma con il preciso convincimento che trattasi di situazioni momentanee che possano essere facilmente abbandonate a favore dell’abituale sicurezza rappresentata dalla propria dimora, contemporaneamente rifugio e prigione. Le stravaganze, le estremizzazioni sono legate solo al particolare momento e devono essere eccitanti tanto quanto basta per non essere sconvolgenti. Il mondo edulcorato che il turista incontra è essenzialmente strutturato su criteri estetici che non coinvolgono dimensioni lesive della tranquillità, del godimento e del divertimento: contaminazioni con la vita reale non rientrano nella programmazione controllata.
“Accelerazione della storia, restringimento dello spazio e individualizzazione dei destini” sono gli aspetti che Augé individua per delineare la postmodernità della quale il turismo in questa forma ‘spettacolare’ è una manifestazione. La possibilità di muoversi in tutte le direzioni sul pianeta che abitiamo è agevolata dalla mole notevole di informazioni e delle immagini che ci raggiungono: i viaggi sono ‘pacchetti’ che si possono acquistare. Il turista ha l’opportunità di coprire tutte le distanze in tempi più o meno brevi, e, appartenendo mediamente ai paesi più sviluppati va a visitare anche paesi che i migranti lasciano alla ricerca di una vita migliore.
La maggior parte dell’umanità ha una fissa dimora, al contrario di coloro i quali per ragioni economiche o politiche sono costretti a migrare. Su questa rete si dipanano i percorsi turistici che sono organizzati facendo attenzione a non contaminare, con i settori peggiori dei paesi attraversati, l’immaginario vacanziero del turista. A fronte delle difficoltà interne di alcuni paesi, in certi casi, le attrattive turistiche rappresentano il solo elemento che rende conosciuto un luogo nell’ambito di “una carta del tempo libero e dell’esotismo programmato” all’interno della quale il patrimonio culturale dell’umanità diviene tale in quanto oggetto di consumo. L’esperienza della scoperta progressiva del paesaggio ha in sé il sapore del tempo che fluisce e ha a che fare con l’orizzonte in quanto limite fra il ‘qui’ e l’oltre. I “nonluoghi” e l’artificialità delle immagini invece connotano il paesaggio contemporaneo, gli uni legati ai “processi di uniformazione”, l’altra alla “spettacolarizzazione”, entrambi scaturiti dall’attività umana, ma spodestati della loro “esistenza simbolica”: in essi è impossibile perdersi o ritrovarsi.
Negli ‘spostamenti confezionati’ non è prevista nessuna forma di curiosità che non sia stata già programmata, viene attivato il controllo del tempo e dello spazio: capacità di ridurre le distanze e di ‘guadagnare’ tempo con spostamenti veloci. Il tempo del turista si consuma nell’immediatezza, a fronte del tempo del viaggiatore che ha in sé la possibilità della scelta e nella dimensione di passato/presente/futuro si concede relazioni più o meno importanti, comunque interessanti. Dice Augé: “Pensare la vita al passato, al presente o al futuro significa pensarla con l’irrealizzabile desiderio di ritrovare, di fermare o di inaugurare il tempo. Il viaggio più banale partecipa di questa illusione, … progetto, parentesi e ricordo. Perciò ci sarà sempre, in ogni turista, un viaggiatore che sonnecchia e ogni tanto si sveglia alla vista di un paesaggio, perché un vago ricordo affiora in lui come uno strano e familiare malessere”. I tour operator hanno recintato, impossessandosene, i luoghi dove inviano i loro clienti con garanzia di protezione. I clienti, rivendicando il loro diritto di ritemprarsi il corpo e lo spirito, grazie alle loro possibilità economiche, sbarcano in questi luoghi ‘ignari’ di ciò che li circonda realmente, per consumare la merce fornita da quel sistema che Canestrini definisce “bioimperialismo o biopirateria.”
Braidotti sottolinea come il sudore e il sangue a poco prezzo della manodopera del terzo mondo insieme alla spasmodica ricerca dello “stordimento da ipersaturazione” dei consumatori del mondo civilizzato che per raggiungere l’obiettivo sono disposti a svendere la loro esistenza, intensifica i rapporti di classe. Nella società postmoderna le disuguaglianze strutturali che separano i due mondi, sono, grazie al potere mediatico della visualizzazione, forma suprema di controllo, velata dalla mercificazione e dal “simultaneo conformismo” delle culture.
La comunicazione affidata alla tecnologia in nome dell’evidenza e del presente, pretende di oltrepassare, ritenendole difficoltà, sia la sfera di mistero, sia quel senso di incertezza e di insensatezza che accompagnano il linguaggio e le fragilità espressive dell’esistente. L’”homo communicans” trasmette o riceve informazioni e non si interroga sul suo essere, al contrario il viaggiatore ideale va alla ricerca di sé e vive le esperienze cercando di raggiungere una consapevolezza che non afferrerà mai. Oggi il turismo è legato più alla dimensione della comunicazione che a quella del viaggio. Le leggi del turismo sono la distensione, l’esotismo, la cultura; per esso la natura e i monumenti sono godibili da lontano, offerti allo sguardo umano che li utilizzerà per farne oggetto di descrizioni ad altri.
La nozione di limite introduce la problematica del rispetto altrui e quella del superamento del limite stesso. Avere consapevolezza del limite favorisce la possibilità di oltrepassarlo, non avere consapevolezza contribuisce ad un’espansione incontrollata e incontrollabile che sfugge alla problematizzazione. La coscienza è parte integrante del sé, il concetto di limite le è proprio: che cosa significa avere coscienza, se non avvertire il proprio limite oltre il quale si invade il limite di interazione con l’altro, occupandone lo spazio vitale? Lo spazio umano ha i suoi limiti in base ai quali si costituisce la misura necessaria di un appropinquarsi discreto che rispetti la diversità umana e ambientale, pena lo sconfinamento e in alcuni casi l’occupazione indebita di spazi altrui.
Il popolo dei migranti porta con sé un bagaglio a noi occidentali sconosciuto; la sfida è mettere in comune con loro ciò di cui noi occidentali siamo portatori, insinuando il dubbio nelle nostre e nelle loro certezze, perché la ricerca di un mondo diverso condivisibile prevede il superamento dei limiti, in quanto confini apparentemente invalicabili, e soluzioni altre che siano comprensive delle complessità e diversità, quindi delle ricchezze che ogni esperienza umana contiene, e che esprimano la condizione ‘qualitativa’ della solidarietà e libertà di tutti.
L’esperienza del viaggio può favorire l’incontro in altri luoghi dell’altro, a livello locale può incoraggiare lo scambio con l’altro, con il migrante. Questo atteggiamento di apertura, di solidarietà umana, che viene opportunamente evitata, implica una forma di intelligenza creativa la quale si attiva in un clima di complicità capace di rendere la critica una forma di simpatia e non una modalità reattiva ad una situazione: la creatività che lascia libera espressione alla interazione per consentire lo scambio creativo e la conoscenza condivisa.
Per riprendere una interessante suggestione di Hans Magnus Enzensberger, possiamo sottolineare come il lusso, quello vero, non è acquistabile con moneta corrente, esso si esprime nella condizione di poter usufruire di tempo da spendere come meglio ci aggrada, spazio da delineare e occupare nelle condizioni a noi più congeniali, sicurezza e quiete raggiungibili attraverso la libertà di decidere quando e come usufruire delle informazioni, e del nostro tempo libero. La forza di penetrazione di un sistema che controlla l’immaginario collettivo, lo orienta e lo organizza, facendo passare per norma una condizione che pesca le sue radici altrove, si esprime anche nella noiosa e ricorrente domanda: dove sei andato in vacanza? Quasi fosse un obbligo e una soluzione doverosa per sottrarsi all’impossibilità di restare a vivere in città nei mesi estivi dove squallore e sconforto fanno da corollario a un senso di inadeguatezza al sistema che in molti casi si traduce in una rincorsa ad adeguarsi alla ‘disumanizzazione in corso’ dei vissuti personali e collettivi.
Destrutturando la visione della vacanza quale ‘necessaria’ occupazione di territori e assimilando l’idea di viaggio come ‘spaesamento’ e scambio in un processo di interazione permanente, è possibile suggerire un ulteriore percorso costruttivo per un’umanità che non si confronti più con l’altro per riconoscersi, ma con l’altro come espressione della diversità, ossia della ricchezza della vita.

Riferimenti bibliografici
Marc Augé, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano, Elèutera, 2002.
Marc Augé, Rovine e macerie. Il senso del tempo, Torino, Bollati Boringhieri, 2004.
Zygmunt Bauman, La società dell’incertezza, Bologna, Il mulino, 1999.
Rosi Braidotti, In metamorfosi. Verso una teoria materialistica del divenire, Milano, Feltrinelli, 2003.

settembre - dicembre 2004