Biopotere e movimenti
editoriale

Il senso storico delle minoranze è dire no al potere. La storia è stata continuamente attraversata da questi movimenti. A volte vi sono delle morti non gloriose: il massacro dei contadini in Germania a Frankenhausen nel maggio 1525, il movimento dei Donatisti in Africa del Nord nel IV secolo, l’eccidio dei Catari da parte delle armate francesi; quello della Comune ad opera di Versailles e del Reich nel 1871, il massacro degli Armeni nel 1915 da parte dell’impero ottomano, lo sterminio dei Catalani ad opera delle truppe franchiste nel 1937, quello degli Ebrei, la distruzione del comunismo ungherese nel 1956 e di quello ceco nel 1968.
Le deportazioni delle nazioni indiane da parte degli Yankees.
Tutte queste minoranze sono state schiacciate in nome dell’Impero.
Esse non credono nella legittimità di un potere centrale, affermano il diritto alla esistenza e ad uno spazio diverso, decentrato di credenze e di opinioni.
“In questo senso sono politeiste, qualunque cosa abbiano detto e pensato di se stesse: ad ogni nazione la sua autorità, giacché nessuna ha valore universale né vocazione totalitaria.” (1)
Queste culture, queste diversità vengono catturate e irregimentate; bisogna interpretarle per stabilire su di esse una forma di controllo.
“Le si interpreta, cioé le si iscrive nello spazio imperiale come tensioni provenienti dalla periferia, nel discorso imperiale come annunci concernenti il futuro.” (2)
Il movimento della interpretazione costituisce già una potente attenuazione della loro forza eversiva.
“Interdicendo le loro culture, i loro dialetti si vuol distruggere la loro forza affermativa, la prospettiva che ognuna di queste lotte traccia.
Sotto questo aspetto il capitalismo realizza fedelmente la tradizione imperiale.” (3)
Vi è tuttavia un altro aspetto di questo soffocamento, questa distruzione delle minoranze che si distende anche nella microfisica dei comportamenti quotidiani, nello spazio neutro di una giornata normale e che non verrà mai registrato dalla Storia perché non riesce a definirsi in un evento, non riesce a coordinarsi in un progetto comune, non riesce ad uscire sulla pubblica piazza.
“Miliardi di pensieri sordi delle donne nelle case molto prima del Movimento di Liberazione della Donna; migliaia di storie umoristiche raccontate e ripetute a Praga prima della Primavera ceca; milioni di piccoli rituali di incontri per mimica e graffiti nei luoghi semi-pubblici per gli omosessuali interdetti sulla scena sociale; migliaia di discorsi dei lavoratori nei reparti e negli uffici.
Questa realtà non è più reale di quella del potere, dell’istituzione, del contratto,
lo è altrettanto, ma è minoritaria; dunque necessariamente multipla, o se si preferisce, sempre singolare.” (4)
In questo contesto si deve collocare il rapporto fra biopotere e movimenti, fra sistema dei partiti e movimenti costituenti. Su questo rapporto critico è essenzialmente incentrato il lavoro di ricerca di questo nuovo numero delle Passioni di sinistra.
Il grado di astensione registrato nelle recenti scadenze elettorali (soprattutto quelle europee) è il sintomo di una crisi della rappresentanza politica che deve essere analizzato specialmente in riferimento alle società mature. Si può ragionevolmente sostenere che esiste una chiarezza di fondo sul fatto che pochi rappresentanti di sinistra in più non incidono granchè sulla qualità della vita, sullo spazio del quotidiano, sulle condizioni esistenziali, nella sfera degli affetti. In questo senso la partita futura va giocata nel movimento dei movimenti, lì dove la rappresentanza politica non riesce ad operare. L’universo mobile e pluriforme dei movimenti è espressione della immediatezza dei bisogni che rigetta le mediazioni politiche più che mai evidenti nel sistema maggioritario. Anche se nelle elezioni europee si è votato con il sistema proporzionale, il problema si ripresenterù per le prossime elezioni regionali e per quelle di fine legislatura.
Il bisogno come spazio dei soggetti espresso dai movimenti ( ecologisti, ambientalisti. No global, pacifisti, terzomondisti, Emergency, Cuamm, volontariato, associazionismo di base, centri sociali) non può essere proiettato sullo scenario politico al momento della elezioni dei rappresentanti. La forma partito nei patteggiamenti imposti dal sistema maggioritario non può esprimere completamente i bisogni della moltitudine.
Le battute che circolano sui riciclati della Prima Repubblica, sui nostalgici della Balena bianca, sui neo-centristi, sui Mastella, sulla corsa ad occupare il centro esprimono questa profonda e lacerante asimmetria fra immediatezza dei bisogni, le urgenze della qualità della vita e gli esiti ovattati che questi bisogni hanno sul piano delle denunce da parte dei rappresentanti politici. Anche il PRC è attraversato da questa contraddizione perché costituisce l’ala estrema dello schieramento politico di sinistra e perché ha istituito un rapporto privilegiato con i movimenti, ne registra anche le critiche. In questo contesto va inserita la discussione emersa nelle recenti elezioni europee o le perplessità sulle future alleanze politiche nella nostra città, il rapporto conflittuale con i Ds, L’Ulivo e altre liste locali. Da qualche parte anche all’interno della Rivista si sostiene che il Partito è il movimento, che fra partito e movimenti non esiste contraddizione, ma piuttosto una azione concertata. A noi sembra che questo costituisce un punto nodale per le strategie della trasformazione, per la transizione nel prossimo futuro. E’ una questione decisiva anche per la stessa esistenza della Rivista. L’apertura sullo scenario mondiale fin dall’inizio del nostro percorso partiva dall’assunto che la forma dell’Impero si presenta come uno degli aspetti più evidenti della globalizzazione economica e della collocazione delle minoranze all’interno di esso; che il lavoro immateriale costituisce il fenomeno prevalente delle società complesse e non presenta più quegli elementi di promozione sociale ad esso accordati nella seconda metà del secolo scorso. La segmentarietà del lavoro immateriale nel post-fordismo, la sua flessibilità viaggia in modo concertato con la segmentazione dei giochi linguaggio. Ognuno è prigioniero delle regole del proprio gioco, medico, avvocato, infermiere, docente, bancario, operaio, lavoratore precario. Non si riesce a rinvenire un meta-linguaggio che ricomprenda tutti i linguaggi. Il metalinguaggio della politica resta bloccato dai condizionamenti del maggioritario, dal bipolarismo imperfetto, dalle difficoltà a fare dei bisogni di massa l’asse della transizione. Allora la società implosiva, l’universo unidimensinale in cui si è relegati. Bertinotti ha sostenuto che le recenti consultazioni elettorali per le provinciali e le europee hanno fatto saltare l’intreccio fra populismo e comando tecnocratico che si era espresso con il regime berlusconiano, che l’alternativa deve essere costruita subito attraverso un chiaro confronto con il Partito della sinistra europea e con il PRC a livello nazionale.
La nostra tesi è che il biopotere attraversa anche il sistema dei partiti, che il politico è una delle dimensione del biopotere, che il posto assegnato, la cella sorvegliata, lo stare nei ranghi ce l’hai con un governo di destra o uno di sinistra, che esiste una microfisica del potere che attraversa in modo molecolare l’intero tessuto sociale, che la struttura carceraria è profondamente penetrata nella società e che bisogna farla saltare creando modi di vita e di comunicazione radicalmente nuovi. Alla società del controllo e della sorveglianza, alla società carceraria dobbiamo opporre una società della comunicazione. Un nuovo modo di vivere e di comunicare.


1 F. Lyotard, Rudimenti pagani , Bari 1986 p. 40
2 F. Lyotard, Rudimenti pagani , Bari 1986 p. 41
3 F. Lyotard, Rudimenti pagani , Bari 1986 p. 42
4 F. Lyotard, Rudimenti pagani , Bari 1986 p. 43

settembre - dicembre 2004