Che non si tratti di una questione meramente organizzativa è subito chiaro a tutti: siamo già al nodo politico del problema. Le assemblee convocate a Milano da Nidil, Snur ed ADI (Associazione Dottorandi e dottori di ricerca Italiani) sulla bozza di piattaforma per i lavoratori non strutturati dell’università e contro il ddl Moratti si sono aperte con un certo disorientamento dei partecipanti sulle modalità di convocazione. La comunicazione dell’incontro è girata spesso col passaparola, le mail sono arrivate agli strutturati (quelli di buon cuore le hanno girate ai propri collaboratori “precari”…): non esiste un elenco dei collaboratori occasionali o coordinati e continuativi dei dipartimenti. Difficili da reperire anche gli elenchi dei dottorandi e degli assegnisti all’interno delle facoltà. Il lavoro intellettuale ed immateriale nelle nostre Università e negli EPR è condannato all’invisibilità sociale. Non si sa quanti sono e dove stanno ma si sa che su di loro pesa la gran mole della didattica e della ricerca in Italia. È questo un volto della “non rappresentabilità” della mobilitazione dal basso cui abbiamo assistito nelle scorse settimane. Quando si entra nel vivo della discussione emergono i due livelli del problema ed il nesso che li lega è straordinariamente evidente. Tra le prime a prendere la parola è una ricercatrice del CNR, incinta. Sembra incredibile ma una ricercatrice pubblica non ha diritto alla maternità. Certo, ci sono i 5 mesi obbligatori che la legge, per norma minima di civiltà, impone ma niente di più. Dopo si deve tornare al lavoro o si perde lo stipendio. La paternità poi è roba di un altro pianeta. E ci sono ancora le borse bimestrali che non vengono pagate da ottobre, i buoni mensa che vengono caritatevolmente mercanteggiati da chi ne può godere, i contributi versati nel fondo per i lavoratori parasubordinati di cui non si godrà mai, il ricatto continuo del non rinnovo dell’assegno, il blocco delle assunzioni… L’autonomia e la libertà della ricerca e dell’insegnamento non possono convivere con le condizioni di ricattabilità e di precarietà del lavoro intellettuale. Il piano strettamente vertenziale si salda con il livello più politico di mobilitazione contro la riforma Moratti e prima ancora con quella Berlinguer e Zecchino. È lo status quo che è radicalmente messo in discussione dalle mobilitazioni del mondo della ricerca: l’allusione a quali siano le condizioni materiali a patto di cui può cominciare a parlarsi di ricerca pubblica e di autonomia del lavoro intellettuale sono continue e vengono dal basso. Dai laboratori, dai dipartimenti, dagli archivi… Da settimane le nostre mobilitazioni cercano di tenere insieme i due livelli: da una parte aprire subito un terreno di rivendicazione e di vertenza con i rettorati ed i consigli di amministrazione, dall’altra dispiegare un ragionamento complessivo sul senso della ricerca pubblica e della circolabilità dei saperi. I lavoratori non strutturati che si stanno autorappresentando in queste settimane devono poter scegliere se rappresentasi o meno con la controparte (non esistono rappresentanze sindacali né di altro tipo dei lavoratori atipici dell’università. Negli EPR i collaboratori continuativi non possono nemmeno partecipare alle elezioni dei consigli di istituto…) La maternità, la mobilità, la rivendicazione di un pagamento puntuale, l’accesso ai servizi riservati ai lavoratori “strutturati” possono essere elementi di vertenze locali da aprire subito a livello territoriale. Ogni momento conflittuale (anche quelli che parlano delle condizioni materiali di lavoro) deve poter confluire in un’elaborazione collettiva, reticolare e dal basso sul senso della ricerca pubblica, dell’autonomia e della libertà del lavoro intellettuale. Gli studenti sono un pezzo importante di quest’elaborazione poiché il confine tra formazione e lavoro si è fatto evanescente in un modello di accumulazione in cui i saperi ed i flussi di informazione sono messi violentemente a valore.
Il 23 aprile sarà un ulteriore passaggio di mobilitazione per il mondo dell’università e della ricerca. Attraverso e intorno allo sciopero nazionale del comparto dell’università cercheremo, insieme agli studenti, di stringere il nesso sul tratto comune delle nostre condizioni: la precarietà e l’appropriazione privata dei saperi socialmente prodotti. Le logiche di tagli alla ricerca pubblica e di spostamento delle risorse verso la ricerca privata e “profittabile” (brevetti e copyright sono gli strumenti della privatizzazione e mercificazione dei saperi) sono comuni alle politiche neoliberiste attuate da molti governi: non è un caso che le mobilitazioni italiane procedano parallele con il movimento che in Francia si oppone all’”antintellettualismo di Stato” del Governo Raffarin.
Il nostro obbiettivo parziale, comune per sindacati e movimenti autorganizzati, è il ritiro immediato del ddl Moratti.