Falso europeismo e vero atlantismo
di Pasko Simone

“La democrazia americana non ebbe mai nulla in comune con la libertà europea. In Europa la libertà fu un grande palpito di vita, in America la democrazia fu sempre anti-vita. I più grandi democratici, Abramo Lincoln per esempio, ebbero sempre nelle loro parole una nota che faceva pensare al sacrificio e al suicidio; la democrazia americana fu sempre una forma di suicidio o di assassinio.”

D.H. Lawrence, Studies in classic american literature (1924)


L’Unione Europea ha due nemici “mirati”: Bush e Berlusconi. Il primo lavora nell’ombra, il secondo alla luce del sole. Se la maggioranza degli italiani si dichiara sinceramente europeista, non lo è affatto il nostro premier Berlusconi e, quindi, neppure il governo che guida. Si è visto ed è confermato dai fatti che l’attuale maggioranza governativa, a cominciare dall’estroso Cavaliere, persegue una piatta politica di smaccato filoamericanismo, che dal centro di potere romano si allarga all’Italia intera e continua coerente fino a Bruxelles. Il boicottaggio a tutto campo operato durante il semestre italiano da Berlusconi si concluse con il diretto ringraziamento di Bush al nostro premier, che da questo suo personale “successo” ne uscì raggiante. Successo che si spiega con le scelte politiche di questa maggioranza governativa che intende in tutto e per tutto assecondare e perseguire quello che un decalogo dei “neo-con” americani invita ad ostacolare con forza: la nascita di un “Superstato” in netta concorrenza con gli interessi mondiali statunitensi. In un libello in cui l’ironia si mescola all’allarmismo intitolato appunto Il Superstato europeo la destra americana più radicale invita a boicottare con tutti i mezzi la formazione di una Europa unita e soprattutto paventa il suo allargamento ai nuovi paesi dell’Est, in quanto ciò potrebbe seriamente ostacolare i piani di egemonia planetaria degli Usa. Si ironizza sul dibattito in corso sulla nuova Costituzione, si strizza l’occhio a Berlusconi che litiga con la Germania, si denuncia Chirac che vuole “un mondo nuovo in cui l’Europa possa bilanciare la potenza Usa”, si teme il patto tra Germania e Francia e si guarda come a un pericolo al concetto di un’Europa armata. Unica consolazione la presenza in Europa dello storico alleato inglese che dovrebbe trattenere nell’area di influenza Usa il nuovo “Superstato”. Come fare? Ecco in sintesi il decalogo “neo-con”: rafforzare i legami politici e militari soprattutto coi paesi dell’Est (spostamento delle basi militari Nato dalla Germania, ma non dall’Italia, verso quei paesi); opporsi ai tentativi della Ue di presentarsi come un unico soggetto politico in organismi internazionali ove si decidono le sorti del pianeta (Onu, G8, Nato, ecc.); impedire che la Gran Bretagna adotti anch’essa la moneta unica; e soprattutto diffondere tra i cittadini degli stati europei una insofferenza verso l’idea europeista boicottando l’Euro e la Costituzione (la qual cosa spiega, se ce ne fosse bisogno, molte prese di posizione del duo Berlusconi-Tremonti nella loro gestione politica ed economica sia a livello italiano che europeo).(1)
È quanto mai urgente: nella crisi per ora senza sbocco dello scontro tra piccolo mondo ricco e privilegiato e vasto sottomondo povero e dilapidato, l’Europa Unita dovrebbe, in primo luogo, portare avanti una linea di ripudio assoluto della guerra, preventiva o non preventiva che sia, sottoscrivendo e facendo sottoscrivere tale istanza a tutti i paesi associati e da associare. Solo così essa si porrà in alternativa politica, oltre che morale, alle iniziative unilaterali di un’unica superpotenza, tesa a fare del mondo intero il luogo del suo sistematico saccheggio umano e naturale.
È urgente quindi scrivere a grandi lettere nella Costituzione europea in via di approvazione, quello che il nostro capo di governo Berlusconi non avrebbe mai voluto e potuto fare: e cioè che l’Unione dei Venticinque ripudia in assoluto il controllo biopolitico dei singoli, la violenza organizzata sui singoli e l’uso politico della guerra. Quella guerra che oggi si esplica militarmente e tecnologicamente non su eserciti nemici riconosciuti e riconoscibili bensì nel mucchio indifeso delle popolazioni civili inermi, che sono poi anche le prime vittime degli attentati organizzati da una occulta “strategia del terrore” (ancora tutta da spiegare!) – come si è visto l’11 settembre 2001 a New York e l’11 marzo 2004 a Madrid e, nel frattempo, in innumerevoli altri luoghi in Afghanistan, Pakistan, Irak, Turchia, ecc.
Il fallimento del vertice di Bruxelles è stato l’ultimo atto di una politica italiana al servizio di Bush e della lobby dei petrolieri americani interessati a un’Europa divisa, che non faccia da ostacolo ai disegni futuri di una guerra preventiva e unilaterale degli Usa nella lotta contro un inafferrabile quanto subdolo terrorismo. In quella sede, mentre 23 dei 25 governi europei erano favorevoli alla bozza di Costituzione presentata dalla Convenzione, la presidenza italiana ha sostenuto la linea di Spagna e Polonia, due di quegli otto paesi che, dietro la spinta della cosiddetta “lettera Rumsfeld” e le occulte manovre della solita “intelligence” americana (Cia?), avevano sottoscritto, Italia in testa, il loro appoggio agli Stati Uniti nella guerra all’Iraq.(2)
L’aspetto vergognoso dell’agire del nostro premier è nella doppiezza del suo atteggiamento, filoeuropeo a parole e antieuropeo nei fatti. La verità è che il cuore di Berlusconi batte in sintonia con quello di Bush e, inoltre, non tollera le reprimende dell’Ue e della stampa di ogni tendenza, molto critica in questioni fondamentali come il pluralismo dell’informazione, il conflitto d’interessi, la trasparenza degli appalti, il falso in bilancio, il mandato di arresto europeo, la guerra in Iraq, l’appoggio alla politica violenta di Sharon e l’abbandono della linea europea di equidistanza nel conflitto israelo-palestinese, oltre che sui discutibili provvedimenti in ambito di finanza pubblica.
Come è stato scritto: “Poiché l’Unione Europea è, a tutt’oggi, la sola entità globale a disporre di un peso economico e di un potenziale politico equivalenti a quelli degli Stati Uniti, ha, almeno in via di principio, i mezzi per sfidare le pretese di questi ultimi di essere unica potenza egemone. Non si tratta quindi per l’Europa di americanizzarsi ancora di più – processo che è già andato fin troppo lontano – ma di offrire da un lato un modello diverso, fondato sulla giustizia sociale, e, dall’altro, sulla scena internazionale, di smettere di incatenarsi alle ruote del carro delle politiche guerresche di George Bush.”(3) Come si vede l’esatto contrario di quel che fa il governo italiano legato invece mani e piedi al carro di guerra di Bush.
Esemplare è anche il sorprendente attivismo politico del leader inglese Tony Blair che pronuncia, convinto, l’elogio del mondo unipolare ove gli unici garanti della pace mondiale sono, per lui, gli USA e il loro braccio armato: la Nato, sotto assoluto controllo del Pentagono. In tutta coerenza Mister Blair denuncia il tentativo di Germania, Francia, Olanda, Belgio e Lussemburgo di voler creare una difesa europea autonoma per controbilanciare la leadership statunitense. Così facendo, il primo ministro britannico non fa che fotocopiare in proprio la dottrina a suo tempo enunciata (già nel 1992!) dal funzionario americano Paul Wolfowitz nelle “Linee Guida di Politica Difensiva”: fare di tutto per impedire l’indipendenza dell’Unione europea. Il testo completo non fa che ribadire il concetto di sempre: si raccomanda di “scoraggiare i paesi industrializzati avanzati da qualsiasi tentativo mirante a sfidare la nostra leadership o a rovesciare l’ordine politico ed economico stabilito”.(4) Per la verità, l’intento sembra quasi perfettamente riuscito: l’unione europea ancora non c’è! Eppure, “quando il 1° maggio 2004 entreranno altri dieci nuovi paesi e il PIL dell’Unione Europea salirà a circa 9,6 trilioni di dollari e 280 milioni di persone, di fronte ai 10,5 trilioni di dollari e 280 milioni di persone degli USA”, l’Europa unita crescerà tanto da porsi come un formidabile concorrente all’egemonia commerciale e politica del dollaro che dura indiscussa sin dal 1945.(5)
Nel gioco delle parti tra filoeuropeismo e filoatlantismo, una mano a Blair per truccare i dadi della storia futura e per assicurarsi qualche puntata vincente, anche nelle briciole della ricostruzione dell’Iraq, l’ha data appunto il leader italiano Berlusconi, che nel semestre di presidenza alla guida dell’Europa era partito con una sua specialità: uno show mediatico sulla figura del kapò, per poi evitare il più possibile di sprecare energie personali negli incontri di Bruxelles delegando e sottraendo, facendo infine fallire il progetto di Costituzione del quale doveva farsi carico in prima persona. Era proprio quello che da Washington ci si aspettava da lui. Ci sarebbe da chiedere quando finirà la “vecchia” Italia di pagare lo scotto di una presunta liberazione a stelle e strisce dal nemico sovietico! Ma quel che pochi italiani sanno è che qualcosa di “solido” del lavoro del nostro a Bruxelles è rimasto: da Palazzo Chigi, per quei sei mesi di presidenza italiana, venne fuori un “kit multimediale” per raccontare il “miracolo italiano” ai partner europei. Un cofanetto-dono, intitolato “Ricordo italiano”, da mettere in conto alla già disastrata “spesa pubblica”, offerto il 19 luglio 2003 a tutti i ministri e ai delegati convenuti a Montecatini per la riunione ministeriale informale su (udite, udite!) “Ambiente ed Energia” (forse a partire dal blackout elettrico del 26 giugno e in “previsione” di quello ben più eclatante del 28 settembre 2003).(6) Come tutti hanno potuto constatare la curiosità verso il nostro paese in Europa non manca, grazie proprio al nostro premier i turisti stranieri sono in netto calo, mentre ci mancano tutti i pregi che caratterizzano gli altri paesi europei, a cominciare dal controllo dei prezzi, l’adeguamento dei salari, l’assenza di corruzione nella vita politica e sociale.
Da nuove recenti rivelazioni si apprende che il presidente americano progettava di far guerra all’Iraq già prima dell’11 settembre 2001, cosa quanto mai reale visto che la cruciale e importante decisione di quel paese di sostituire il dollaro con l’euro nel suo commercio petrolifero risale al 6 novembre 2000. Fu quella decisione a decretare la fine di Saddam. Tant’è che nessuno ancora si chiede perché Saddam è stato catturato e Bin Laden no? Forse che anche nella lotta al terrorismo ci sono figli e figliastri? La qual cosa ci fa anche capire che la guerra all’Afghanistan, non aveva che l’immediata funzione di “scaldare i muscoli”, anche a fini essenzialmente dimostrativi, ma solo in prospettiva di quella ben più importante da sferrare all’Iraq, non appena l’opinione pubblica mondiale avesse recepito il pericolo della presenza in loco delle fantomatiche armi di distruzione di massa! Da quella “storica” scelta di campo commerciale che andava a intaccare direttamente la divisa internazionale per gli interscambi petroliferi globali, “l’euro si è rivalutato del 17% sul dollaro, cosa che si deve applicare pure ai 10 bilioni di dollari del fondo di riserva dell’ONU “oil for food””.(7)
A ripercorrere la storia presente, chissà perché ci viene in mente la vicenda esemplare del nostro Enrico Mattei! Comunque, alla fine del secolo scorso, un qualsiasi “esperto” finanziario americano non avrebbe che potuto sorridere ad uno scontro euro/dollaro, ma da quando l’euro ha cominciato a rivalutarsi rispetto al dollaro, è suonato l’allarme alla Casa Bianca. Dopo l’Iraq (primo produttore Opec e al secondo posto per quantità di riserve) anche l’Iran sta seguendo l’esempio dell’Iraq. E il Venezuela, quarto produttore di petrolio nel mondo, ha preso in considerazione la cosa e ha cominciato a eliminare il dollaro dagli scambi con diversi paesi. Guarda caso che proprio in Venezuela si sta mandando avanti una di quelle ben note “operazioni coperte” della CIA per rovesciare il governo legale e sostituirlo con una giunta militare “amica” per mettere le mani anche sul petrolio venezuelano. Infatti, mentre l’attenzione del mondo era accentrata sull’Iraq, gli Usa appoggiavano il colpo di stato dei “ricchi” in Venezuela contro il “presidente dei poveri” Chavez Frias. L’azione “coperta” è organizzata dal capitale transnazionale a base Usa che appoggia i golpisti, che continuano a controllare tutti i mezzi di comunicazione di massa, gran parte delle industrie e il collegamento con gli interessi petroliferi del governo Usa. Come si dice: il lupo cambia il pelo, ma non il vizio!
Anche la Russia sta intensificando i suoi scambi, sempre più fitti, con l’Europa (ovviamente in euro) e guarda con preoccupazione alla possibilità, da parte Usa, di appropriarsi delle condotte di petrolio e gas che attraversano l’Afghanistan provenendo dai giacimenti caspici. Essa stessa sta aumentando la produzione di greggio con la possibilità di commerciarne almeno una parte in euro. Già ora, per il fatto che le transazioni petrolifere sono effettuate in dollari, la Russia ha problemi. Col pieno controllo Usa del petrolio irakeno, lo svantaggio russo diventerebbe enorme, senza contare che la Russia stessa ha interessi nell’estrazione del petrolio irakeno. Il dominio militare completo di quell’area da parte Usa cancellerebbe del tutto ogni velleità della Russia.
Nella storia economica dell’occidente si sta sfaldando quindi la base di un mito mercantile: la sovranità assoluta del dollaro è in serio pericolo, sia nelle transazioni petrolifere che, conseguentemente, nel commercio mondiale. Che succederebbe se tutti i paesi dell’OPEC passassero all’euro? Semplice: una esplosione economica a totale svantaggio degli USA. Un incendio che si potrebbe espandere a tutta la loro economia e al loro attuale dominio su tutto il commercio mondiale. Pare che solo con il ricorso alla forza fisica si può impedire che tutto ciò avvenga, ed è quello che si contempla a chiare lettere nei piani futuri della leadership americana, forse anche nei confronti dell’Europa Unita!
Un obiettivo immediato è, pertanto, quello di riuscire a destabilizzare l’Unione Europea frammentandola, ostacolando la formazione di una seconda potenza mondiale in grado di contrastare l’egemonia politica e finanziaria americana.(8) E gli Usa stanno lavorando sodo per mettere i bastoni fra le ruote al difficile processo unitario europeo facendo leva sui differenti interessi nazionali in gioco, ma soprattutto avvalendosi dell’appoggio della Gran Bretagna (per gli antichi legami di sangue e di lingua), dell’Italia (per i consolidati rapporti di eterna soggezione al limite del servile), nonché di alcuni Paesi dell’Est che, dopo la caduta del comunismo reale, guardano speranzosi più alle risorse dei loghi a stelle e strisce che alle ricche culture del loro passato mitteleuropeo.
Mentre Francia e Germania puntano sull’euro come valuta di riserva internazionale, essendo i due paesi che per primi hanno cominciato a trattare in euro il petrolio con l’Iraq, la Gran Bretagna, non avendo ancora aderito all’euro, guarda alla capacità Usa di bloccare la prevalenza dell’euro nelle transazioni petrolifere e commerciali. Tony Blair, nel suo instancabile doppio gioco, pensa così di ostacolare i piani della Francia e della Germania, aumentando il suo spazio di manovra, tenendo forse per anni due piedi in una scarpa e meritandosi l’ammirazione incondizionata del nostro premier, impegnato al meglio nella medesima partita “doppia”. In tal modo la Gran Bretagna può negoziare con i suoi soci europei una eventuale adesione all’euro da una posizione di forza. Se questo non dovesse rivalutarsi, così come si deduce dal suo ingresso nelle transazioni petrolifere, può sempre allearsi stabilmente agli Usa restando fuori dall’Europa continentale, in caso contrario gli si può sempre offrire l’occasione di entrare in gioco prima o poi.
Le tesi statunitensi che sono servite come pretesto per la guerra in Iraq, stanno intanto guadagnando terreno con l’allargamento della comunità europea. L’attuale alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, Javier Solana, ex segretario generale della Nato, ha elaborato anche per l’Unione una “dottrina di sicurezza” che fa sue le priorità della Casa Bianca e la relativa dottrina della “azione preventiva”. Anche se, nell’immediato, questa “azione” è prevista in un quadro di negoziati multilaterali e le Nazioni Unite restano, bontà sua, “il quadro fondamentale delle relazioni internazionali”. Come si vede gli emissari imperiali, un po’ dovunque, non stanno con le mani in mano. Lo dimostra, in curiosa concomitanza con l’allargamento ad Est, l’allargamento delle forze Nato verso i paesi ex comunisti creando in Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania, basi militari d’appoggio in posizione strategica migliore rispetto a quelle oggi presenti in Germania e nel nord Italia (che saranno parzialmente smantellate, mentre si rafforzeranno quelle nel Sud dell’Italia per fronteggiare il Nord dell’Africa).
È chiaro che l’Europa Unita non sarà mai un credibile, autorevole e autonomo soggetto politico a livello internazionale in assenza di una Costituzione democratica esplicitamente garante dei principi di pace, libertà, giustizia sociale, separazione dei poteri e difesa delle minoranze e di tutte le specificità culturali etniche e religiose presenti nel nostro continente. Sia pure un “superstato”, ma in profonda, radicale controtendenza rispetto al pensiero unico del petroliere bianco razzista e imperialista. Solo l’Europa Unita, in alternativa agli Stati Uniti d’America, può e deve porsi come entità politica garante della pace e della stabilità mondiale nel prossimo futuro. Su di essa si gioca il destino politico del mondo. La contrapposizione è ogni giorno più netta ed evidente: gli Usa sono sempre più il luogo deputato della politica mondiale di guerra e di morte; pertanto, la “vecchia Europa” deve farsi carico di un lavoro politico basato sulla pacificazione dei conflitti e sulla valorizzazione dei diritti umani messi a rischio dai gravi provvedimenti in atto in Occidente dagli Usa (vedi Guantanamo, controllo delle frontiere, manipolazione dei corpi, distruzione dell’ambiente, spionaggio globale sulla vita degli esseri umani).

1 Cfr. The Weekly Standard: “Against United Europe” e il commento che ne fa Raffaella Menichini in “La Repubblica” del 19/9/2003.
2 Cfr. Marco Marozzi, “Gli “otto” spaccano l’Europa” in La Repubblica, 31/1/2003. Fu in quella occasione che il “falco” Donald Rumsfeld, all’indomani del vertice franco-tedesco del 22 gennaio quando Chirac e Schroeder si schierarono apertamente contro l’intervento in Irak, lanciò lo storico anatema: “C’è chi pensa che la Germania e la Francia siano l’Europa. Io penso che quella sia la vecchia Europa. Se guardiamo all’Europa nella sua interezza, il suo centro di gravità si è spostato ad Est e in essa un gran numero di paesi non stanno con la Francia e la Germania, ma con gli Stati Uniti”. Inutile chiedere al vecchio Rumsfeld con chi stanno il “vecchio” Voltaire e il “vecchio” Kant.
3 Robin Blackburn, L’Europa di cui abbiamo bisogno, in Le Monde diplomatique, gennaio 2004.
4 Cfr. il documento del Pentagono: “Defense Planning Guidance 1992-1994”, Dpg, Washington, 1992 e si legga di Paul-Marie de La Gorce, “Washington et la maîtrise du monde”, in Le Monde diplomatique, aprile 1992.
5 Cfr. Paul Harris, Che succederebbe se l’OPEC passasse all’Euro?, in www.attac.it, 28/3/2003
6 Il cofanetto – come si leggeva nella nota di Palazzo Chigi – conteneva “due pubblicazioni, due cd musicali, un portaeuro e un calendario degli eventi (tutti storicamente imperdibili!) del semestre”. Cinquemila copie inviate a tutte le istituzioni europee, ai 25 partner e ai principali enti ed istituzioni pubbliche e private, mentre altre cinquemila “saranno distribuite durante i maggiori eventi in agenda nel semestre con l’auspicio di suscitare una rinnovata curiosità verso il nostro paese”. Cfr. La Stampa, domenica 20 luglio 2003 p.8.
7 Cfr. Paul Harris, cit.
8 La visione americana nei riguardi dell’Europa si palesa e risalta dal “documento live” che proponiamo alla lettura nel box allegato alla fine del nostro scritto.


ÇUMHURYET (LA REPUBBLICA) è il più vecchio giornale turco che si stampa a Istanbul. Simile al nostro La Repubblica, è tuttora del tutto indipendente dai poteri politici e finanziari ed è molto letto da studenti e intellettuali. Il 25 febbraio 2003 riportava il seguente dialogo, alla Casa Bianca (Washington), tra il presidente americano George W. Bush e Yasar Yakis, ministro degli esteri turco. L’argomento era il totale coinvolgimento della Turchia nella preannunciata guerra all’Irak fornendo all’Imperatore l’uso completo dei propri spazi terrestri e aerei:

- Bush: Non c’è ragione che lei resti ancora qui. Torni nel suo paese e faccia approvare l’autorizzazione dal Parlamento!
- Yakis: Abbiamo delle difficoltà; la guerra ci causerà considerevoli perdite economiche. In quanto alleati, speriamo nella vostra comprensione.
- Bush: Nessun alleato mi ha dato tanto filo da torcere quanto me ne avete dato voi.
- Yakis: La Turchia è inserita anche in un processo europeo e alcune voci divergenti si levano dall’Unione Europea.
- Bush: Esiste ancora un’Unione Europea? Io l’ho rotta in tre parti.*
- Yakis: La Turchia è un paese democratico che ha sempre rispettato il diritto internazionale. E, in questo caso specifico, la decisione delle Nazioni Unite è molto importante per la Turchia.
- Bush: Mi domando se l’Onu sia davvero indispensabile nel XXI secolo. I miei collaboratori stanno meditando su questa questione.

*Certamente Bush alludeva alle divisioni operate ad hoc in seno alla Comunità europea creando il cosiddetto “partito americano” (Italia, Spagna, Gran Bretagna e paesi dell’Est); il gruppo dei “neutrali” (Svezia, Irlanda, Austria, Finlandia) e gli “europeisti” (Francia, Germania, Olanda, Belgio e Lussemburgo).

N.B. Questo interessante dialogo non è stato mai smentito né dai turchi né dagli americani.

maggio - agosto 2004