Il 15 febbraio 2003 in molte città di molti paesi, il 12 ottobre dello stesso anno nella marcia della pace Perugia-Assisi e il 20 marzo 2004 a Roma e in tutto il mondo si sono svolte manifestazioni contro la guerra non solo partecipate ma politicamente molto significative: un popolo cosciente ha mostrato, col peso della sua autorevolezza morale, tutta la possibile avversione al guerrorismo, alle politiche belliciste di stati che si servono della potenza militare per portare a compimento su scala planetaria il programma imperiale neoliberista di sfruttamento e di rapina.
La contraddizione fondamentale del nostro tempo sta in questo: da una parte, il guerrorismo imperiale della prima potenza mondiale, col suo complementare, il terrorismo di gruppi più o meno organizzati; dall’altra, il desiderio di riscatto dei paesi sottomessi e il pacifismo dei popoli in solidarietà fra loro per respingere il neoliberismo e contrastarne le aberrazioni militariste.
In Italia, come nel resto del mondo, milioni di persone, laici e fedeli di tutte le religioni, sono impegnate perché nei fatti un altro mondo sia possibile; ma in Italia, come nel resto del mondo, la destra, costretta alla difensiva rispetto alla maggioranza dei cittadini che sono contrari alla guerra in Iraq, nella quale di soppiatto, quasi furbescamente, il nostro governo ha infilato il nostro paese, tenta di far passare l’impegno dei pacifisti come un prodotto della complicità col terrorismo. Tuttavia non sempre le menzogne vincono: perché, se quelle della destra italiana sono finite il 18 marzo scorso, a Roma, sul Campidoglio, in un aborto di manifestazione (cosiddetta bipartisan) contro il terrorismo, le menzogne della destra spagnola, che attribuivano all’ETA i crimini di Al Quaeda a Madrid, hanno determinato la sconfitta del Partito Popolare alle elezioni politiche. Ulteriore riprova, questa figuraccia a cui sono state costrette le destre in Europa, della maturità sia culturale che politica del popolo della pace. Una maturità, tuttavia, continuamente sfidata dal guerrorismo internazionale nella devastante opera di occupazione militare e stragi in Palestina, in Afghanistan, in Cecenia, in Iraq. E questa maturità è stata sfidata anche in Italia, non solo dalla destra al potere, ma anche da gran parte del centro-sinistra (DS, Margherita, SDI), sottoposto a forti pressioni sia di americani sia del mondo degli affari che dall’occupazione dell’Iraq mira a ricavare lauti profitti.
Una riprova della maturità del movimento sta nel fatto che in Italia, ad esempio, in diverse circostanze il movimento popolare e della pace è riuscito a difendersi, organizzandosi, dalle minacce del liberismo: talvolta riuscendo nel suo intento di salvare natura e vite umane, come nel caso di Scanzano (ma anche di Rapolla, Melfi e Ariano Irpino); talaltra raggiungendo alti livelli di organizzazione popolare per difendere l’esistenza di servizi pubblici essenziali. È il caso di Terlizzi ove i cittadini hanno tentato in tutti i modi di salvaguardare il proprio ospedale dalla disarticolazione della sanità pubblica progettata e attuata da zelanti praticanti dell’ortodossia liberista neoautoritaria. È il caso dell’impegno dei comitati territoriali del “Movimento per il contratto mondiale dell’acqua”, bene comune, bene finito.
Nella primavera di quest’anno si è aperta una partita durissima per il nostro paese, alla quale i mezzi di informazione stanno dedicando colpevolmente scarsa attenzione, anche se c’è in gioco la democrazia in Italia.
Attraverso la demolizione della Costituzione nata dalla Resistenza e dalla religione civile dell’antifascismo, la destra italiana sta tentando di portare a compimento non solo il programma, messo a punto diversi anni fa, dalla loggia massonica “P2”, inteso a creare una repubblica autoritaria sempre prona alla volontà degli USA, ma anche quello della disarticolazione dello stato nazionale, perseguito da una delle manifestazioni localistiche del liberismo: il leghismo “padano”.
Nel corso degli ultimi decenni, la qualità della democrazia in Italia è stata fortemente segnata dai continui attacchi portati dalla borghesia, anche “illuminata”. Tanto che, ad esempio, per frenare la partecipazione popolare al potere politico, è stata cambiata la legge elettorale e si è passati dal sistema proporzionale a quello maggioritario. Tutto quanto in nome della “governabilità” (ovviamente di interessi particolari). E, dopo quella legge, una serie di altre ha prima mirato a svuotare il contenuto democratico della Costituzione, anche attraverso “picconature” e provocazioni bicameraliste, infine sta tentando di ridurre in briciole la legge fondamentale dello stato attraverso vari strumenti: dalle leggi costituzionali volute dalla destra e dalla borghesia più reazionaria, alla -paradossalmente, ma fino a un certo punto- Costituzione Europea in fase di approvazione. La lunga marcia della destra autoritaria, iniziata con Portella della Ginestra e proseguita con la repressione dei moti popolari nel dopoguerra, e istituzionalizzata, anche se con un’iniziativa clandestina, con Gladio, ha ripreso vigore con gli eccidi di Genova e Reggio Emilia, per passare, dalle stragi di stato di Piazza Fontana a Milano e Piazza della Loggia a Brescia alle bombe sui treni e ai tentativi di colpi di stato, al compimento del programma di “Propaganda 2” (P2) con l’attuale maggioranza parlamentare (fatta fra l’altro da ex fascisti, ex liberali, ex democristiani, ex socialisti, ex comunisti, ex extraparlamentari di destra e di sinistra), cioè la creazione di una repubblica autoritaria.
Nel programma della “P2” era prevista la riduzione allo stato di subordinazione dei mezzi di comunicazione di massa; la neutralizzazione del sindacato attraverso scissioni (o, nella versione più “morbida”, attraverso accordi separati); la riduzione della maggioranza parlamentare a docile strumento di obbedienza ai voleri di un capo (primo ministro “super” o super capo di stato); la destrutturazione dei poteri dello stato in grado di creare problemi al primo ministro “super” o al super capo dello stato, in particolare: la magistratura, compresa la Corte Costituzionale e la Corte dei Conti, e la Presidenza della Repubblica con le attuali competenze.
È stato attuato un altro stratagemma per svuotare la Costituzione: raggirarne lo spirito e la lettera. L’articolo 11, per esempio, secondo il quale l’Italia “ripudia la guerra”, è stato ripetutamente ignorato negli ultimi quindici anni da governi e maggioranze, e spesso anche minoranze, parlamentari che hanno prestato maggior attenzione a “missioni” militari all’estero e all’organizzazione del “nuovo modello di difesa” di discutibile costituzionalità, che alla Costituzione stessa.
In quest’ottica militaresca si inserisce la legge n. 218 dell’1.8.03 che prevede una “missione umanitaria e di ricostruzione in Iraq”, per avallare la guerra scatenata da USA e Inghilterra, notoriamente basata sulla menzogna, nella prospettiva strategica della guerra preventiva ed infinita. A proposito del dibattito sul rifinanziamento della “missione” militare in Iraq, il 26 marzo di quest’anno il presidente del consiglio italiano ha affermato: “Il processo di ricostruzione in Iraq procede in modo soddisfacente e conferma la bontà della decisione di inviare tremila soldati con compiti prevalentemente umanitari”. Perché dice “prevalentemente” “umanitari” l’onorevole Berlusconi? Ce lo spiegano i fatti del 6 aprile. In quella data, dopo una battaglia durata cinque ore per il controllo di alcuni ponti nella città di Nassirija, fra truppe italiane e manifestanti (anche armati) iracheni, alcuni militari italiani sono rimasti feriti, ma almeno quindici iracheni, fra cui donne e bambini, sono rimasti uccisi. Un modo singolare di praticare la “missione umanitaria e di ricostruzione”. Un modo che serve alle truppe di occupazione di esercitare il potere di vita e di morte sul territorio e agli iracheni di non far distinzione fra truppe di occupazione, siano esse “umanitarie”, “prevalentemente umanitarie”, di “peace keeping” o altro ancora. Di cinque ore di furiosa battaglia a Nassirija, con morti anche civili, la televisione monopolistica italiana di potere non ha trasmesso un solo fotogramma e si capisce perché. Della visita del presidente del consiglio ai “nostri ragazzi” a Nassirija, avvenuta solo quattro giorni dopo la strage di iracheni, la stessa televisione ci ha mostrato, in ogni notiziario, filmati di diversi minuti. Morale della favola: la morte di quindici iracheni, determinata dal fuoco “italiano”, non merita alcun sentimento di pietà; invece le immagini del primo ministro che racconta barzellette là dove si rischia la vita è un’occasione particolare per mostrare le virtù del premier. C’è ancora chi non crede che si tratta di regime?
Un’altra annotazione al proposito del governo italiano e della sua politica in Iraq: nella settimana che ha preceduto Pasqua alcuni agenti dei servizi segreti italiani sono stati catturati da iracheni e poi sono stati liberati; nella settimana successiva altri agenti italiani, ma al servizio di una compagnia di “sicurezza” americana, sono stati sequestrati ma questo sequestro purtroppo è finito in tragedia. Nel primo caso il governo aveva imposto la massima riservatezza alla circostanza; nel secondo aveva sbandierato ai quattro venti la linea della fermezza. Sarebbe interessante conoscere cosa hanno dovuto concedere agli iracheni governo e truppe d’occupazione in cambio della vita degli uomini dei “servizi”.
Uno dei problemi delle formazioni politiche italiane è la ricerca del consenso del ceto medio: per ottenerne i favori, i partiti si giocano ingenti patrimoni, anche ideali. Non è più opportuno, ammesso che lo sia mai stato, essere o sembrare di essere estremisti, cioè troppo pacifisti, troppo sindacalizzati, troppo laici, perfino troppo intellettuali. È invece necessario essere moderati, disposti al compromesso, inclini a considerare la prostituzione come una virtù (altrimenti non si spiegherebbe perché ci siano in politica tanti voltagabbana).
È per questo che il “centro” politico nel nostro paese è affollato ed è per questo che organizzazioni politiche un tempo votate a difendere i “lavoratori” e i “partigiani della pace” hanno modificato la rotta delle opzioni politiche. Alle elezioni europee del 12 e 13 giugno, il centro-sinistra presenta, fra le altre, un’inedita lista unica con candidati di Margherita, Democratici di Sinistra e Socialisti Democratici Italiani. L’intento è di battere la destra per depotenziarne le poltiche familistiche e neoautoritarie; per raggiungere questo scopo, il progetto politico mira a rendere compatibile allo sviluppo industriale e tecnologico, e in funzione – temiamo – ad esso subordinata, le aspirazioni economiche e sociali delle fasce medio-basse della popolazione, cioè le più tartassate negli ultimi venti anni in diritti e stipendi, salari e pensioni.
In dissenso rispetto al loro partito, alcuni parlamentari hanno lasciato i Democratici di Sinistra per aderire alla formazione politica che fa capo a Di Pietro e Occhetto: in particolare, la loro presa di distanza dai DS è stata causata dal non voto espresso in parlamento da questo partito, ma anche da Margherita e SDI, a proposito del rifinanziamento delle “missioni” di “pace”, all’estero, Iraq compreso, delle truppe italiane. Anche diversi altri parlamentari diessini e di altri partiti non hanno ritenuto opportuno praticare il “non voto” per palesare la loro opposizione al rifinanziamento di queste missioni.
C’è un’altra questione che riguarda DS, Margherita, SDI a proposito della guerra in Iraq: notoriamente le stragi in atto in quel paese hanno una sola causa, la guerra voluta dal presidente americano Bush e dal premier inglese Blair. Per porre fine a quelle stragi basterebbe che le truppe d’occupazione lasciassero per sempre l’Iraq. Invece Ds, Margherita e SDI di fronte alla grande tragedia del popolo iracheno, pur continuando a condannare la guerra, ritengono che, fin quando non arrivi l’ONU, le truppe italiane non debbano abbandonare il paese che stanno occupando, perché sarebbe “irresponsabile” il ritiro dall’Iraq “in questo momento”. “Responsabile” restare in Iraq, “irresponsabile” partire. Fermo restando che non si sa né “se”, né “come”, né “quando” interverrà l’ONU, l’uso disinvolto di parole in libertà, dà modo alla farsa di continuare: se quella delle truppe italiane è una “missione umanitaria e di ricostruzione in Iraq”, se l’invasione americana dell’Iraq è “esportazione della democrazia”, perché la permanenza delle nostre truppe di occupazione in quel paese non deve essere considerata “responsabile”, anche se solo “in questo momento”? Il guerrorismo internazionale ha fatto lezione: per coprire l’impudicizia delle sue vergogne continua a usare la foglia di fico della menzogna; gli è sufficiente fare ricorso continuo all’eufemismo. Una figura retorica che purtroppo è divenuta, suo malgrado, nell’uso disinvolto che ne fanno i guerroristi, una categoria della più sanguinaria delle politiche.
All’interno del Partito della Rifondazione Comunista tre argomenti hanno tenuto vivo il dibattito negli ultimi mesi: l’alleanza con i partiti del centro-sinistra per battere la destra; l’opzione della non-violenza come strumento di trasformazione della società; la nascita del Partito della Sinistra Europea.
Tre argomenti connessi al processo della “rifondazione”, considerate le sconfitte subite nel secolo scorso dal movimento operaio – ma anche le tragedie perpetrate, in suo nome, in molti paesi. Quasi obbligatoria, per la maggioranza di questo partito, l’ipotesi del fronte comune con il centro-sinistra, per costruire un argine alle mostruosità prodotte in tutti i campi dalla destra al potere; tuttavia non ci sembrano scontati gli esiti, tenuto conto del continuo e progressivo sfondamento al centro, se non proprio a destra – almeno in alcuni casi – della coalizione di centro-sinistra e tenuto conto anche della non illimitata “pazienza” sia dei militanti di Rifondazione che dei suoi elettori, spesso meno inclini a ragionare del “cui prodest”.
Più articolato il dibattito sulla non violenza; il ragionamento prevalente nel PRC, in estrema sintesi, è questo: se, per sconfiggere il guerrorismo, non si può che praticare il pacifismo, allora, per combattere la violenza del sistema capitalistico nella sua forma più violenta e illiberale, cioè il neoliberismo, non si può che fare leva sulla non violenza. Anche perché un mondo più giusto e libero non può essere fondato sullo spargimento di sangue. Sulla non violenza e sugli strumenti utili alle lotte di liberazione, il dibattito – e non solo in Rifondazione Comunista – resta aperto e la ricerca teorica si avverte più che mai necessaria. Nel mondo globalizzato, in cui persino dell’Unione Europea si avverte la necessità, anche in risposta alle mire imperiali degli USA, che senso ha in ciascun paese la presenza di minuscoli partiti di alternativa politica, monadi rispetto sia agli interessi colossali in campo che alle grandi aggregazioni politiche internazionali di destra e di centrosinistra?
È per questo motivo che una serie di formazioni politiche di diversi paesi ha deciso di lavorare alla nascita del Partito della Sinistra Europea, che si presenterà con un simbolo unificante alle elezioni europee. Una sfida per ciascun partito di alternativa al liberismo per ridare slancio, sul piano organizzativo, ma anche teorico, alla rinascita della speranza di un altro mondo possibile.
Il 18 marzo scorso le strade di Roma sono state invase da una fiumana di persone, di cui diamo testimonianza fotografica in questo numero della rivista. È stata un’alluvione di bandiere di tutti i partiti della sinistra, del sindacato e delle associazioni: striscioni di diverse dimensioni, cartelloni colorati, furgoni e camion di gruppi organizzati che suonavano musiche di autori noti e canti di partigiani. C’era “bella ciao”, a ritmo veloce. Le note della canzone, in quell’atmosfera di intensa passione e partecipazione politica, hanno riportato, quasi per associazione, alla memoria di chi scrive, la figura di Gracco (Angiolo Gracci), medaglia d’argento al valore partigiano, scomparso qualche giorno prima e fino all’ultimo impegnato in difesa della Costituzione e dei valori dell’antifascismo e dell’antimperialismo. Su uno degli striscioni dei manifestanti era scritta una frase, solo all’apparenza datata, ma in realtà sempre attuale: la Resistenza continua. Che ti sia lieve la terra, comandante Gracco, a te come a tutti quelli che si sono battuti insieme a te per la libertà di questo paese.
È così: la Resistenza continua.