Quello che è successo dopo la caduta di Bagdad ha fatto giustizia dei giudizi affrettati sulla capacità degli iracheni di far fronte ai loro “liberatori”.La guerra preventiva degli USA (e suoi alleati) contro l’Irak, promossa con caparbia ostinazione dal presidente Bush, ma pianificata dal Pentagono con una strategia che ha rivelato una sconcertante approssimazione, ha trovato, fin dall’immediato dopoguerra, un inaspettato e deciso ostacolo nella resistenza degli iracheni che ha inflitto numerose perdite ai civili ed alle truppe della coalizione, oltre che agli iracheni che collaborano con loro. Tuttavia, mentre la resistenza si organizzava e il numero dei caduti, sopra tutto statunitensi aumentava, il governo italiano, sempre più in debito di autonomia in politica estera e sempre più affascinato dai sogni di gloria della guerra preventiva, trovava modo di infilarsi, come il topo a caccia di formaggio, nella trappola del caos iracheno ed otteneva, purtroppo, quasi le avesse cercate, vittime italiane. Una scelta, quella di cacciarsi nei guai in Irak, che si inserisce in una situazione, quella del vicino Oriente, segnata da una sempre più accentuata turbolenza in cui si distingue il guerrorismo non solo di USA e Gran Bretagna, rivolto a tutta l’area (Siria, Iran, Arabia Saudita, ad esempio), ma anche di Israele (proiettato verso la Grande Israele, e non solo), ed in cui cominciano a saltare, perché usurati, alcuni tasselli del tradizionale mosaico politico di quell’area: basti pensare a quello che sta accadendo intorno all’Arabia Saudita, appunto, o intorno alla Turchia, paesi tradizionalmente alleati degli USA, oggi sottoposti a molteplici pressioni esterne, con gli USA propensi a disfarsi dell’alleanza con questi paesi, il terrorismo che intende farne terre di conquista e, per quanto riguarda la sola Turchia, l’Unione Europea che ne ostacola l’ingresso nel suo club. In riferimento a questo quadro internazionale magmatico, in cui molto improvvidamente sta operando la nostra diplomazia, riteniamo opportuno, a partire da questo numero della rivista, esprimere nostre valutazioni sia sui nuovi scenari determinati dalla guerra preventiva che dai suoi disastri nella prospettiva della guerra infinita.
Italia: nuovo modello di offesa
Il 26/11/1991 il ministro della difesa Rognoni presentò in Parlamento il “Nuovo Modello di Difesa” (NMD), una sorta di dottrina del più recente militarismo (ma anche di politica estera) di casa nostra. Con ottica decentrata rispetto all’art. 11 della Costituzione secondo cui l’Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali, il NMD prevede l’utilizzazione delle forze armate a tutela non più del solo suolo patrio ma anche “degli interessi economici del sistema economico occidentale” (“Ministero della guerra?”, pagina 5, supplemento al numero 36 di “Guerre e Pace”). “Gli elementi che determinano la sicurezza di questo sistema economico sono quelli che ne permettono il funzionamento. Nei documenti vengono chiamati interessi nazionali o interessi vitali” (ivi, pagg. 7-8). Il Nuovo Modello di Difesa è stato adottato dai governi che si sono succeduti dal 1991 e che hanno ammantato di umanitarismo le diverse missioni militari italiane all’estero, dopo averle imposte al paese. A partire dal 1993, anno della partecipazione italiana all’intervento militare statunitense in Somalia, fino al 1999, anno della partecipazione italiana alla guerra in Jugoslavia, c’è stato un continuo aggiornamento “teorico” alla politica della difesa (ed esteri) del nostro paese, elaborata dai vertici militari (Stato maggiore della difesa, 1993 e 1995 e Marina militare italiana, 1999) ed adottata dai politici (di notevole interesse questo anomalo scambio di ruoli in un sistema democratico). Manlio Dinucci, nell’articolo apparso il 15 novembre scorso sul Manifesto, sollecita l’attenzione su un passo del “Rapporto 1999” della Marina militare italiana: dopo la guerra in Jugoslavia, l’Italia, “media potenza regionale”, ha un “crescente ruolo geostrategico nel ‘Mediterraneo allargato’: spazio geopolitico comprendete oltre al Mar Nero, anche le vie meridionali di accesso al canale di Suez e cioè il Mar Rosso fino allo Stretto di Bab el-Mandeb e, più oltre, il Golfo Persico che, attraverso lo stretto di Hormutz, è intimamente collegato al sistema Mediterraneo di rifornimenti energetici”. In virtù di questa filosofia si giustifica non solo l’intervento militare in Kosovo ma anche quello in Afghanistan, anche se le motivazioni addotte sono sempre state di natura etica, ovviamente. Più recentemente questo argomento è stato ribadito ed approfondito in ”Dottrina per la strategia italiana nel Mediterraneo per gli anni 2000/2030” da parte dello Stato Maggiore della Difesa. In questo quadro si inserisce la legge numero 218 del 1/8/03 che ha previsto una “missione umanitaria e di ricostruzione in Iraq”, in particolare nei settori della sanità, delle infrastrutture e dei beni culturali, e ha autorizzato la missione di militari in Iraq “al fine di garantire le necessarie condizioni di sicurezza per gli interventi umanitari, favorirne la realizzazione e concorrere al processo di stabilizzazione del paese” (capo II, art. 6). In questa missione “ gli uomini che operano nell’ambito Jtf (Joint Task Force) e cioè alle dipendenze del comando di brigata, hanno di fatto sul terreno il ruolo di forze appartenenti alla coalizione, poiché il nerbo delle truppe colà inviate –oltre 2400 uomini, tra cui circa 400 carabinieri e 200 appartenenti all’Aereonautica militare– è inserito per l’assolvimento dei compiti della missione (Opcon) nella Multinational Division SE (Bassora) e, quindi, pur con i vincoli del mandato, nel telaio giuridico delle forze occupanti.” (C.Bellinzona: “Antica Babilonia la via italiana alla pacificazione”, “Limes” numero 5/03 pag. 88.) Cioè il governo italiano ignorando: I) la Costituzione repubblicana; II) le numerose e molto partecipate manifestazioni (di alcuni milioni di persone) che si sono succedute in Italia contro la guerra preventiva degli USA; III) i numerosi interventi del Papa contro la guerra e la conseguente carneficina; IV) l’ONU; ha ritenuto, a guerra dichiarata finita, di partecipare, in difesa degli interessi nazionali, ad una missione militare che configura le forze armate del nostro paese in Irak come forze di occupazione. “Certamente taluni aspetti operativi e i rischi dell’operazione (Antica Babilonia, ndr) si collocano al di fuori di una missione umanitaria nel significato letterale… Ovviamente, il problema non è semantico (“missione umanitaria”, ndr) ma si colloca da un lato nella dimensione della tutela degli interessi nazionali connessi anche con la ricostruzione dell’Iraq, dall’altro nella nostra assunzione di responsabilità sulla scena internazionale, alla base della politica estera italiana.”(C. Bellinzona, ivi, pag 93). Cioè: stiamo partecipando, senza che gli iracheni ce l’abbiano chiesto all’occupazione militare del loro territorio, un territorio che non ci appartiene ma dal cui controllo potremmo ottenere risultati utili per i nostri interessi nazionali; tuttavia per mascherare il fine reale della missione “Antica Babilonia”, ci serviamo delle capacità umanitarie dei nostri militari. Quindi: numerosi soldati italiani in Irak fanno parte della Multinational Division SE (Bassora) sotto comando inglese con compiti umanitari, fra truppe che controllano un territorio occupato in conseguenza di una guerra, non solo illegale, ma determinata da motivazioni fasulle (armi di distruzione di massa che nessuno ha trovato). E questi soldati ed alcuni civili italiani sono stati attaccati a Nassirya da una banda di terroristi, e decimati. (“Signor direttore, dopo americani ed inglesi non poteva che toccare ai nostri carabinieri e ai soldati italiani in Iraq… Per questo, per essere assegnati alle missioni estere, tra i carabinieri vi è una concorrenza spietata a suon di raccomandazioni. In termini economici, 6 mesi di missione estera, soprattutto in zone belliche, contribuisce a comprarsi almeno metà della tanto agognata casa. La miseria economica, in cui versano tutti i carabinieri, poliziotti e militari italiani, non può essere sottaciuta…” da una lettera a ‘Liberazione’ del 19/11/03 del maresciallo dei carabinieri Antonio Savino, segretario dell’Unione Nazionale dell’Arma dei Carabinieri). In Italia l’atto terroristico ha prodotto dolore e indignazione: dolore, per ovvi motivi e per quello che è testimoniato dalla lettera citata; indignazione, poiché la quasi totalità dei mezzi d’informazione ha insistito, bluffando, sulla funzione umanitaria della missione italiana, ignorando volutamente il resto e le gravi responsabilità politiche. Ha detto, fra l’altro, alla stampa il presidente del consiglio il 21 novembre scorso: ”soprattutto ora, dopo il sacrificio dei nostri ragazzi, ci mancherebbe altro che ce ne andassimo rendendo vana la loro morte… I rischi ci sono ma dobbiamo assumerci le nostre responsabilità poiché è la battaglia per la libertà e per il nostro futuro.” Chiarissimo: i militari italiani sono andati in Irak anche per scopi umanitari ma soprattutto per combattere una battaglia per la libertà (non si sa di chi, forse non proprio quella che avrebbero voluto gli iracheni che non li hanno invitati) e “per il nostro futuro”.”Nostro futuro”, non quello degli iracheni: interessi nazionali italiani, quello delle imprese in lizza per briciole della ricostruzione dell’Irak, per il petrolio, ecc… Altro che armi di distruzione di massa, dittatura di Saddam Hussein, esportazione della democrazia! Tuttavia, a dare ulteriore giustificazione (e benedizione) alla spedizione italiana in Irak è intervenuto il cardinale Ruini che nell’omelia tenuta al cospetto delle bare dei carabinieri e dei civili assassinati, ha detto, fra l’altro: “Non fuggiremo davanti a loro (“i terroristi assassini”, ndr), anzi li fronteggeremo con tutto il coraggio, l’energia e la determinazione di cui siamo capaci.” E alcuni giorni dopo ha ribadito che i carabinieri caduti a Nassirya “sono vittime del terrorismo. Punto e basta”, mettendo a tacere con “non direi” il giornalista che gli chiedeva se per caso potessero esserci responsabilità politiche per quelle morti. Si può essere d’accordo col cardinale Ruini? Forse no: vediamo perché. La legge finanziaria 2004 prevede un aumento di spese per la Difesa. Per fare cosa? Ci risponde, fra gli altri documenti, il Supplemento ordinario numero 119 alla Gazzetta Ufficiale numero 171 del 25/7/03 “Approvazione del nuovo elenco dei materiali d’armamento da comprendere nelle categorie previste dall’art. 2, comma 2, della legge 9/7/90, n. 185” che all’art.1 dice: ”è approvato il nuovo elenco dei materiali d’armamento da comprendere nelle categorie previste dall’art.2, ecc…” secondo cui il Ministero della Difesa ha previsto, fra l’altro, (categoria 7) l’adozione di “agenti biologici e sostanze radioattive ‘adattati per essere utilizzati in guerra’ per produrre danni alle popolazioni od agli animali, per degradare materiali o danneggiare le colture o l’ambiente, ed agenti per la Guerra Chimica”; “gas lacrimogeni” ed “agenti antisommossa”; “tecnologia” per lo ‘sviluppo’, ‘produzione’ od ‘utilizzazione’ di agenti tossici e di ‘biopolimeri’; ‘tecnologia’ specifica per l’incorporazione di ‘biocatalizzatori’ “: questa ‘tecnologia’ comprende: a) “agenti nervini per la Guerra Chimica”; b) “agenti vescicanti per la Guerra Chimica” fra cui I) “ipriti allo zolfo“, II) “lewisiti”, III) ”ipriti all’azoto”; c) ”agenti inabilitanti per la Guerra Chimica”; d) “agenti defolianti per la Guerra Chimica” (pagg. 17-19); ecc… Queste ed altre armi, ovviamente, in nome della difesa degli interessi nazionali.
Quello che sta accadendo col coinvolgimento militare italiano in Irak – per non parlare della nostra presenza militare in Afghanistan- (e temiamo che nel Vicino Oriente la cosa non si fermerà lì, a causa dei legami che si vanno facendo sempre più stretti tra il governo italiano e quello di estrema destra israeliano) non lascia presagire niente di buono, anche alla luce delle nuove armi (queste sì di distruzione di massa) di cui, stando al decreto ministeriale citato, intende dotarsi la nostra Difesa. In sostanza il nostro timore è sia che a Nassirya la risposta dei terroristi il governo se la sia in qualche modo cercata, sia che in realtà la così detta lotta al terrorismo stia prefigurando, nell’ambito della suddivisione dei compiti militari dell’impero, ed in onta alla nostra Costituzione (che non a caso il guerrorismo nazionale vuole modificare) ed in spregio alla volontà dei cittadini, un futuro più marcatamente segnato da guerre (di rapina e terrore), in stretta alleanza con USA, Gran Bretagna, Spagna, Israele, ecc…Il nostro paese non è entrato a caso, purtroppo, nel mirino della resistenza irachena (ed anche, purtroppo, del terrorismo): il governo italiano è fra quelli che hanno plaudito all’attacco americano all’Irak; ha permesso sul territorio nazionale il transito di uomini e mezzi militari statunitensi diretti in Irak; ha mandato suoi militari per la missione “Antica Babilonia” per le finalità che abbiamo già visto: e tutto questo senza giustificazione legale. Negli stessi giorni in cui i caduti di Nassirya venivano sepolti si incontravano a Londra il presidente americano col premier inglese ed a Roma il presidente del consiglio italiano col suo omologo israeliano. La coincidenza di questi incontri non è stata casuale e, tenendo conto dei precedenti politici di queste personalità, c’è da temere non poco, anche per il nostro paese, sia per l’immediato che per il futuro. Intanto prendiamo atto del fatto che la Difesa intende dotarsi di armi che potrebbero essere di sterminio; e intende dotarsi di queste armi in un momento in cui i militari italiani sono “in missione” in varie parti del mondo in difesa degli interessi nazionali. Dovrebbero servire a qualcosa queste armi? Sarebbe interessante conoscere cosa ne pensa il cardinale Ruini. In relazione a questa situazione l’opinione di chi scrive è che la presenza dei militari italiani in Irak risponda più a una logica militarista vicina a quella presentata dal presidente americano nel settembre 2002: “Strategia della Sicurezza Nazionale” degli USA, che alla costituzione italiana; meglio: l’impressione è che il governo italiano abbia fatto propri lo spirito e la lettera del documento dell’amministrazione americana sulla guerra preventiva appena citato e di conseguenza abbia ulteriormente stretto legami con USA e Gran Bretagna e, dopo aver cancellato il pluridecennale lavoro della nostra diplomazia in Medio Oriente, abbia accettato in toto le pretese dell’estrema destra israeliana in Palestina. Dalla parte del governo Bush contro gli iracheni (e non solo), dalla parte del governo Sharon (ed è tutto dire!) contro i palestinesi e gli arabi che li sostengono: dalla parte dei più forti, tanto per non smentirsi. Solo che in politica estera non vale il canto delle sirene: dappertutto il destino degli occupanti – e dei loro amici e complici - è di essere odiati, al di là delle pose di facciata di chi subisce l’occupazione; d’altro canto la nostra storia recente non dovrebbe avercelo insegnato?
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gennaio - aprile 2004 |