La nascita del parco dell’Alta Murgia è in dirittura d’arrivo: la conferenza unificata, tenutasi a Roma, tra i rappresentanti del ministero dell’ambiente, regione Puglia, Anci, Anpi, definisce la delimitazione e le norme di salvaguardia del futuro parco nazionale.
Conclude l’itinerario la ratifica dell’accordo, da parte del Presidente della Repubblica.
Le trasformazioni territoriali
Le dinamiche messe in atto dai processi di trasformazione territoriale e gli effetti indotti dai profondi cambiamenti che hanno investito il mondo rurale, hanno determinato, nel giro di questi ultimi anni, un processo di intensa modificazione anche dell’uso e dell’immagine stessa del paesaggio murgiano. Sia le componenti antropico-insediative che quelle fisiche naturali appaiono oggi per varie cause concomitanti in uno stato di forte degrado.
I cambiamenti negli indirizzi di sviluppo, la meccanizzazione dell’agricoltura e il calo della pastorizia hanno portato ad un progressivo sfaldamento del sistema socio-insediativo-economico strutturatosi nel tempo. L’abbandono delle strutture architettoniche, quali jazzi, masserie, piscine, pozzi e trulli, funzionali a quel sistema, costituisce uno dei fenomeni piú appariscenti dei cambiamenti avvenuti.
Nonostante il perdurare delle attività agricole e pastorali, che continuano ancora oggi ad essere le uniche fonti di reddito di questo territorio, le modificazioni indotte dalla tecnologia e il diverso modo di rapportarsi dell’uomo o dell’operatore rispetto alla campagna e ai suoi settori economici vitali hanno prodotto spesso effetti laceranti sulle antiche strutture del paesaggio distruggendo i segni sedimentati nel tempo.
Non solo, sia l’agricoltura che la pastorizia sono fortemente penalizzate dalla scarsità delle opere infrastrutturali essenziali ai modelli di vita e di produzione attuali, quali la canalizzazione e fornitura di acqua, di energia elettrica, di reti telefoniche ecc; problemi che, associati alla storica incapacità a garantire “proprietà ed investimenti” dall’assalto dell’abigeato, contribuiscono notevolmente all’abbandono e al mancato utilizzo di molte delle strutture architettoniche sparse nel territorio.
Scarsa è pure l’assistenza tecnico-scientifica, non essendoci alcuna struttura sul territorio per la ricerca e la sperimentazione di nuove tecnologie, sia di coltivazione che di messa a punto - con l’aiuto delle tecniche biogenetiche - di nuove o piú adatte essenze; sia di allevamento, nei confronti del quale pesa pure la mancanza di un efficiente e permanente servizio sanitario, data l’assenza di presidi sanitari localizzati nelle immediate vicinanze delle zone di maggiore produzione.
Ma non c’è solo l’abbandono dei manufatti storici. L’ambiente costruito si trasforma e muta pelle sotto la spinta delle innovazioni tecnologiche e dei nuovi materiali. Se da una parte, infatti, si rileva la distruzione degli elementi storici, dall’altra si assiste alla penetrazione sempre piú indiscreta, dirompente e incontrollata di villette e seconde abitazioni negli stili e nei materiali piú diversificati che a volte si connotano come veri e propri aggregati suburbani.
Alti muri di cinta in cemento armato dalle forme piú incredibili si impongono, in tutta la loro estraneità e con sempre maggior frequenza, sul paesaggio, a volte nell’illusorio intento di proteggere uomini, animali e beni, a volte semplicemente per la fretta ed il cattivo gusto di chi li erige.
Enormi, quanto inutili, strade si fanno spazio tra le piccole alture dell’altipiano triturando tutto quello che ne ostacola la loro articolazione.
A questo processo non si sottrae il complesso ambiente fisico. La pratica della monocoltura cerealicola, l’abbandono delle antiche rotazioni agrarie, lo spingere i ringrani annualmente per mezzo di fitofarmaci, l’uso sconsiderato dei rifiuti e cosí via, compromettono sempre di piú l’integrità ambientale dell’Alta Murgia: progressivo impoverimento dei terreni, inquinamento delle falde acquifere superficiali e profonde, gravi e cavità carsiche occluse ed usate come reti fognanti o discariche.
Il paesaggio agrario è mutato radicalmente soprattutto negli ultimi vent’anni, fino a sconvolgere gli equilibri degli ecosistemi biologici originari e a rafforzare quei processi di impoverimento delle risorse territoriali di cui l’estinzione della fauna, la desertificazione, la roccia affiorante, l’aridità e la scomparsa dei corsi d’acqua ne costituiscono gli effetti piú vistosi; infine, continua a snaturarsi per l’effetto polverizzante di uno spietramento selvaggio, eufemisticamente definito “recupero franco di coltivazione”, incoraggiato da una assurda politica di finanziamenti pubblici, che nulla lascia dietro di sé se non polvere di calcare e terreni scarsamente produttivi. Uno spietramento effettuato dappertutto, anche in quelle aree dove non avrebbe alcuna utilità, grazie alla assenza di una qualsiasi zoonizzazione che, invece, avrebbe dovuto localizzare e limitare, in base alle particolari proprietà geomorfologiche dei terreni e del sottosuolo, gli interventi.
Tutto questo, tra l’altro, senza riuscire a dar vita ad una economia agro-pastorale in grado di svincolarsi da una sopravvivenza garantita solo dalle politiche assistenziali regionali, nazionali ed europee e perciò perennemente in perdita.
Se a tutto ciò si aggiunge il fatto che il territorio in questione è posto ai margini dello sviluppo e perciò ignorato da quei flussi finanziari tesi ad una pianificazione nazionale o regionale, il quadro di riferimento si allarga investendo problematiche ancora piú complesse. Innanzitutto il rapporto tra aree cosiddette periferiche e aree interne, che pur non aderendo oggi pienamente alla dicotomia doriana di “polpa e osso” tuttavia deve essere necessariamente ridefinito in relazione ad una mutata sensibilità ecologica, la quale investe ormai la quasi totalità dei problemi che si pongono alla coscienza dell’uomo contemporaneo.
La latitanza degli enti amministrativi
Ci si trova dinanzi, quindi, ad un mondo che, nonostante il suo isolamento all’interno della società industriale e post-industriale, ne subisce tutte le incongruenze e che sembra sempre piú avviato verso la sua completa dissoluzione sia nelle sue componenti antropiche che fisiche. Una dissoluzione assecondata da orientamenti di gestione dell’ambiente, del territorio, dei beni architettonici e dello sviluppo economico che si esplicano in una politica ufficiale assolutamente sorda alle esigenze di quegli operatori che continuano a vivere sulla Murgia e ai pur ricchi spunti che il dibattito va elaborando su questi temi. Una sordità che riesce ad ignorare le piú elementari regole del buon senso, ma che è, purtroppo, anche espressione di una cultura che permea e trascina la società tutta. Una cultura del consumo e della omologazione che qui si esprime in un rifiuto di tutto quello che ricorda il passato anche perché l’emancipazione dall’universo contadino e quindi da un universo permeato anche di dolore, povertà e precarietà è ancora un evento troppo vicino nel tempo e perciò la corsa verso i nuovi modelli di consumo rappresenta, per molti, una condizione da raggiungere o da conquistare con qualsiasi mezzo.
Tutto questo, comunque, non è sufficiente a giustificare la latitanza degli Enti pianificatori ed amministrativi sui vari problemi che affliggono il territorio. Quello che prevale, da una attenta analisi della situazione attuale, è l’idea di una politica pianificatoria a cui manca la capacità o la volontà di saper gestire e promuovere, con unitarietà e chiarezza, uno sviluppo del comprensorio anche a causa della estrema frantumazione e sovrapposizione delle competenze dei vari Enti istituzionali.
Innanzi tutto le servitú militari che dagli anni ‘50 in poi, nonostante le ripetute opposizioni degli operatori agricoli e delle comunità locali, vanno a interessare vaste aree del comprensorio murgiano. Localizzazioni queste che, prediligendo un uso militare del comprensorio, pregiudicano inequivocabilmente qualsiasi altra possibilità di sviluppo. Si pensi, per esempio, alle possibilità offerte dallo sfruttamento agricolo-zootecnico del territorio e dalle attività agrituristiche disciplinate dalla Legge Regionale 1985, n. 34: (Interventi a favore dell’agriturismo), che vengono ad essere totalmente compromesse dalle scelte effettuate. Non solo, ma nelle aree interessate vengono compresi anche: terreni fertili e coltivati; boschi vincolati dalla Legge Galasso (P. M. 21 settembre 1984); “oasi di protezione” (Pulo di Altamura) e “zone di ripopolamento e cattura” (Cornacchiello e Pezza degli Angeli), istituite in base alla Legge Regionale 27 febbraio 1984 n. 10, per non parlare del mancato rispetto delle Direttive europee circa le Superfici d’Interesse Comunitario e delle Zone a Protezione Speciale.
Ancora piú stupefacente è il mancato inserimento, a qualsiasi titolo, fra le aree da sottoporre a vincolo, delle aree a macchia e a bosco di latifoglie, oppure di piani che prevedono discariche speciali (come la stazione di Compostaggio autorizzata dalla Provincia di Bari tra Altamura e Grumo) nelle stesse aree vincolate da altri piani come zone di possibile emungimento ad uso potabile e di salvaguardia idrogeologica.
La politica degli enti preposti alla tutela e valorizzazione di quest’area non è riuscita assolutamente a sottrarre questo territorio dalla sua condizione di debolezza strutturale e di marginalità economica. Anzi il piú delle volte i loro interventi hanno mirato e mirano paradossalmente a dare man forte all’abbrutimento paesistico e al degrado. È questo il caso, per esempio, di una progettata strada regionale a scorrimento veloce (R6) Canosa-Monopoli che, invece di scorrere a valle sulla S.S. 97, come vorrebbe il piú elementare buon senso, taglia in sopraelevazione tutto il costone dell’Alta Murgia da Spinazzola ad Altamura. O ancora i sei invasi artificiali che il Consorzio di Bonifica Apulo-Lucano ha costruito sull’Alta Murgia: grandi distese di cemento in cambio di mere e insignificanti pozzanghere.
A tutto questo, infine, si aggiungono i grandi pericoli derivanti dalle spinte speculative dei grandi gruppi industriali e dalle lobbies locali, spesso assecondate dalle varie Amministrazioni e dalla loro irresponsabile, se non collusa, gestione della pianificazione comunale. Le aree extraurbane, infatti, continuano ad essere considerate “aree di risulta” assegnate a “funzioni agricole di transizione” e sottoposte ad una generica ed estemporanea vincolistica secondo logiche di erosione urbana che hanno sempre visto il territorio come un supporto neutro e l’ambiente come un contenitore indifferenziato da occupare secondo le emergenti ma equivoche convenienze economiche (come dimostra la famigerata applicazione della Legge regionale n. 34 ad Altamura con 78 accordi di programma). Questo elenco incompleto si è reso necessario per meglio evidenziare l’attacco senza precedenti che investe gli ecosistemi storici e naturali dell’Alta Murgia in maniera pressoché totale.
La legge regionale sulle aree protette
Ci si viene a trovare, quindi, in una situazione in cui direttive di sviluppo, vincoli e localizzazioni regionali e statali si sovrappongono, negandosi, gli uni con gli altri. La pianificazione generale (i Piani territoriali di coordinamento, i Piani Paesistici, i Piani per le zone faunisticamente protette, gli strumenti per la salvaguardia dei beni ambientali e architettonici, i Piani regolatori comunali) viene adempiuta solo perché le leggi quadro dello Stato lo impongono e non perché si senta il bisogno di dotarsi di strumenti atti a razionalizzare lo “sviluppo” e la allocazione produttiva di risorse economiche.
L’ultima testimonianza di questa logica è rappresentata dalla Legge Regionale sulle Aree Protette, approvata solo per attivare i finanziamenti statali ed europei ad essa collegati e che rinvia alle calende greche e alla lentezza burocratica l’attuazione dei piani di tutela e di sviluppo in essa previsti.
L’unica coerenza espressa sembra essere quella di considerare l’alta collina della Murgia un’area economicamente marginale e per questo sede potenziale delle piú infime localizzazioni. Ovvero, tutte le volte che si devono localizzare delle attività secondarie e improduttive ci si ricorda di quest’area interna considerata disabitata e poco funzionale all’interno del sistema economico pugliese. Le servitú militari e le discariche speciali (come quelle denunciate l’estate scorsa) sono una lampante esemplificazione di questa logica che vede nell’Alta Murgia una sorta di Cenerentola di Puglia.
Cosí ambiente, ecologia, fauna, flora, bellezze naturali e architettoniche, sviluppo agro-silvo-pastorale, vincoli idrogeologici e agriturismo, vengono messi in secondo piano se non addirittura inficiati dalle decisioni centrali.
Si parla molto di forestazione e della importanza che la flora ha nel determinare i giusti equilibri territoriali, ma si è visto che gli interventi effettuati sembrano non seguire alcuna logica né per quanto riguarda le localizzazioni, né per quanto riguarda la scelta delle essenze. Le zone di bosco a latifoglie, tuttavia, continuano inevitabilmente a ridursi e a degradarsi.
Si parla tanto di agriturismo e di emergenze culturali ed ambientali da inserire negli itinerari turistici, ma nel frattempo non si dispone di alcuno studio localizzativo delle stesse, né si fa nulla per tutelarle. Si parla di salvaguardia di valori quali aria, verde, ritmi naturali, paesaggio, ma nel frattempo l’inquinamento procede inesorabile senza che si faccia nulla per fermarlo. Si cerca di migliorare la produttività dei terreni e di estendere le colture, ma le uniche iniziative promosse a proposito sono costituite dall’incoraggiamento allo spietramento e dalla brutale cementificazione di gravine e lame nella illusoria speranza di irrigare pochi ettari di terra e di risolvere problemi inesistenti di dissesto idrogeologico.
Queste considerazioni rimandano al cuore della nostra domanda iniziale e cioé a quel dualismo “marginalità-sviluppo” su cui si è storicamente fondata la “questione Murgia”, una questione che paradossalmente non ha perso la sua centralità di problema tipico del Mezzogiorno e su cui si sono appuntati cinquant’anni di rivendicazioni sociali e di scarsi o inefficaci interventi pubblici.
Il fascino raro e prezioso dell’Alta Murgia
Nonostante la mancanza di consumati topoi che possano facilmente risvegliare la nostra ammirazione, l’Alta Murgia rivela un fascino raro e prezioso. La sua specificità consente una molteplicità di prospettive che invitano a scrutare curiosi un universo ancora non del tutto esplorato.
Innanzitutto lo spazio che si apre su uno scenario di rara primitività e bellezza e percorribile in lungo e in largo in tutte le direzioni; poi il clima che corona la sua altitudine e la sua posizione strategica sia rispetto al mare che alle montagne. Lo spazio e il clima dell’Alta Murgia dovrebbero essere posti nel novero di terapie efficaci e guarire particolari malattie della nostra civiltà moderna, prima fra tutte la congestione di uomini e cose. Un paesaggio duro, ma anche delicato e puro che estende i suoi colori e i suoi profumi su un’area che rappresenta l’unico residuo di vegetazione spontanea della provincia barese e in cui si riscontrano quasi tutti i maggiori fenomeni del carsismo.
In queste dune calcaree si dispongono e si confondono, senza distonie con l’ambiente circostante, le opere varie e complesse dell’ingegno e dell’arte contadina e pastorale, frutti di un lavoro secolare. Chilometri di muri a secco, tratturi, trulli, cisterne, neviere, splendidi jazzi e masserie, casali e castelli testimoniano un fenomeno di altissimo valore storico e culturale che, oltre a sancire l’equilibrio tra attività agro-silvo-pastorali ed esigenze abitative, ha implicato un’esemplare assetto sociale che si prefiggeva il controllo dell’ambiente. Un patrimonio architettonico rurale dunque dislocato in vario modo sul territorio che, pur registrando oggi un relativo stato di abbandono, è necessario sottrarre al progressivo degrado perché sia recuperato e riutilizzato. Se è vero, infatti, che il repertorio delle antiche masserie rappresenta l’identità culturale, artigianale, architettonica della Puglia, occorre aggiungere che le masserie dell’Alta Murgia, in particolare, possono fornire l’intera casistica delle masserie di Puglia, sia sotto l’aspetto organizzativo delle diversità di impiego sia per l’ampia conformazione delle articolazioni architettoniche.
L’Alta Murgia rappresenta, allora, un connubio straordinario ed unico di valori paesaggistici, naturalistici e storico-culturali destinato a crescere negli anni a venire. Questa consapevolezza contribuisce a rimuovere le troppe ambiguità che la parola “sviluppo” porta con sé: lo sviluppo cui si vuole tendere non consiste in una mera espansione della capacità produttiva del territorio o nella definizione di sparuti interventi di tutela ambientale. La sperimentazione che si vuole progettare è nella direzione di uno sviluppo socio-economico compatibile che salvaguardi l’integrità fisica, biologica e paesaggistica dell’Alta Murgia, uno sviluppo che operi su questo patrimonio per arricchirlo e tutelarlo creando, nel contempo, concrete opportunità di lavoro nei settori dell’agricoltura biologica, delle nuove tecniche di allevamento zootecnico, dell’agriturismo, della produzione culturale. Crediamo che una scelta di questo tipo abbia il merito, se non altro, di restituire un’identità precisa e una vocazione certa al territorio dell’Alta Murgia; una scelta che, se perseguita coerentemente, collocherebbe positivamente l’Alta Murgia non solo nel sistema regionale pugliese, ma anche nella vicinissima Lucania, determinando un’arricchimento per l’intera comunità locale. Un’azione territoriale, perciò, che si ponga l’ambizioso obiettivo di unificare le politiche dei diversi enti locali interessati all’area qui considerata, nello sforzo di innescare un processo di ricomposizione politica e culturale all’insegna della tutela ambientale e dello sviluppo delle attività compatibili.
Una indicazione significativa di questa nuova prospettiva è stata suggerita da un dossier apparso sul quotidiano “Sole 24 Ore” del 21 agosto 1996 redatto dall’Istituto di cultura materiale & archeologia industriale di Roma. In questo studio l’Alta Murgia figura tra i piú interessanti siti di “archeologia industriale” d’Italia. Economia e ambiente possono, quindi, coniugarsi, nel determinare nuove strategie di tutela e sviluppo.
La storia dell’Alta Murgia conferma che il territorio, con la sua natura e i suoi manufatti, è sempre stato al centro di un processo sinergico di continua elaborazione, trasformazione e produzione. Qualità estetiche, organizzazioni produttive, uso dell’ambiente hanno da sempre costituito termini inscindibili di un unico sistema di relazioni. Le qualità intrinseche ai singoli elementi come la bellezza di una masseria o la tessitura dei muri non rappresentano altro che l’espressione piú propriamente formale di una complessa organizzazione. Le stesse componenti fisiche dell’ecosistema biologico, dai caratteri del suolo alle qualità del microclima, non possono essere considerate se non in rapporto alle interazioni prodottesi nel corso dei secoli tra uomo e ambiente. Affrontare, quindi, il problema nella sua globalità significa trovare nuove regole di riproduzione del complesso sistema territoriale. La scommessa su cui cimentarsi diventa, allora, quella di mettere in moto nuovi processi economici e culturali in grado di valorizzare le risorse territoriali e garantirne la loro riproducibilità, anche attraverso una loro reinterpretazione funzionale. Tutto ciò nella consapevolezza che l’elaborazione di metodologie di controllo ambientale e l’ipotesi di nuovi modelli di riorganizzazione richiedono, in misura sempre maggiore, una base di conoscenze in grado di comprendere e dialogare con le specificità dei diversi ambiti territoriali.
Un progetto ambientale
A partire da questa prospettiva, quindi, diventa possibile proporre per l’Alta Murgia un progetto ambientale in cui i criteri informatori della progettazione diventino le leggi biologiche di produzione e di scambio; i materiali per eccellenza l’aria, la vegetazione, l’acqua, il silenzio, lo spazio ecc.; gli elementi fondanti, invece, i manufatti e i luoghi della memoria (masserie, jazzi, casali, siti archeologici, fontanili, castelli) con tutto il loro carico di sapienze tecnologiche, le componenti paesistiche ed ambientali (le doline, le gravi, i boschi), le opere infrastrutturali e la fitta rete di percorsi gerarchizzati già esistente (sentieri, tratturi, vicinali, carrarecce, carrozzabili, statali); le aziende produttive agrituristiche, le attività agro-silvo-pastorali, razionalizzate e orientate verso produzioni biologiche di qualità (D.O.C.), da commercializzare attraverso consorzi, attente ricerche di mercato e operazioni di marketing, le attività turistico-ricettive non speculative, didattico-promozionali ne costituiscano, infine, il supporto economico.
Si fa strada, quindi, un’idea progettuale che possa ad un tempo produrre una natura in via di estinzione e nuove forme di abitare. Questa idea progettuale, tuttavia, non può essere coltivata senza l’assunzione di una ricerca storico-scientifica tesa a comprendere la complessità dell’ecosistema; ma soprattutto senza il coinvolgimento nel processo di tutti gli attori sociali; senza il confronto con l’imprevedibilità e il divenire con tutte le loro contraddizioni.
Per questo ci rendiamo conto delle difficoltà esistenti nel tradurre questi concetti in un usuale strumento di pianificazione (P.T.C, P.I, P.R.G., Piano Paesistico, Parco). La logica esemplificante che ad essi sottende, infatti, anche quando riesce a superare i grossi problemi della gestione, del conflitto pubblico-privato e della frantumazione delle competenze non riesce ad andare oltre la politica normativo-vincolistica e la pratica dello zoning (divisione in aree diversamente normate). Nonostante la sua indispensabilità lo strumento urbanistico, da solo, non è sufficiente a garantire la riuscita di una operazione di pianificazione, in quanto le istanze e i principi da esso promossi, spesso, risultano essere del tutto estranei e non comprensibili a coloro i quali, nella loro quotidianità, vivono sul territorio, modificandolo.
Solo se si riuscirà a far sí che ogni individuo come singolo, sia esso politico amministratore, operatore economico o semplice cittadino, partecipi attivamente alla costruzione della propria territorialità, si può pensare di mettere in moto gli elementi generatori di qualsiasi proposta di riorganizzazione del territorio: solo una rinnovata cultura dell’abitare può produrre nuova territorialità.
Nei meccanismi che devono innescare questo processo la variabile “tempo”, infine, assume un’importanza fondamentale. Non esiste una conoscenza statica e un sistema di riferimento valido atemporalmente. Le conoscenze, i valori che guidano le scelte si modificano costantemente nel tempo. È impossibile cristallizzare in un modello assolutizzante il processo del divenire. È necessario adeguare continuamente alle situazioni mutevoli del decorso storico la gestione delle risorse naturali, dei manufatti, delle tecnologie secondo organiche logiche di reinterpretazione creativa. Tutto questo richiede un abitudine a pensare nel tempo. Un approfondimento della conoscenza in uno dei tanti settori che compongono le variabili costituenti l’essenza stessa del territorio; un cambiamento introdotto nel sistema da una perturbazione o un evento casuale possono richiederci di disfare e rifare le nostre mappe. È necessario allora individuare una struttura dinamica che agendo nel tempo sia in grado di farsi carico dei mutamenti e di favorire costantemente la ricerca dei nuovi equilibri.
Un parco rurale nazionale
Nonostante la consapevolezza dei limiti che la pianificazione corrente, e la politica dei parchi in particolare, ha a riguardo, la proposta della istituzione di un Parco Rurale Nazionale sull’Alta Murgia potrebbe offrire risposte concrete alle esigenze di vasti settori della società civile che in questo territorio vivono e lavorano.
Questa proposta, infatti, si è posta in continuità con le tensioni, le volontà, le battaglie espresse e condotte dai vari movimenti nell’ultimo quindicennio contro le contradditorie e pericolose politiche pianificatorie e localizzative che su di esso si sono succedute.
Tale dizione, in primo luogo, va differenziata dall’altra, piú nota, di Parco naturale in quanto tende non solo alla tutela, esclusiva anche se meritevole, dell’ecosistema naturale bensí alla comprensione, salvaguardia e valorizzazione di una unità territoriale ben piú complessa. Il territorio non viene qui considerato infatti esclusivamente come un fatto fisico, bensí percepito in strettissima connessione con la storia, il lavoro umano, il recupero con una possibilità di “sviluppo sostenibile” con la vocazione d’uso tradizionale e con l’ambiente.
Un progetto quindi in grado di rinnescare le dinamiche peculiari che caratterizzano in maniera cosí unica l’Alta Murgia, e cioé quella straordinaria presenza attiva dell’operatore umano che in rapporto osmotico con l’ambiente naturale ha determinato nei secoli “un sistema complesso di strutturazione spaziale in cui ogni elemento, naturale e costruito, appare storicamente e coerentemente inserito in una serie di legami tra l’uomo e la terra, definiti e regolati dal rapporto, complementare piú che oppositivo, tra il lavoro agricolo e quello pastorale” (Mirizzi, 1990).
Un parco, quindi, inteso non come opera di mero giardinaggio ma come promozione di iniziative complementari miranti alla migliore utilizzazione delle attività e delle attrezzature esistenti attraverso la loro riqualificazione e il loro ammodernamento, piuttosto che sulla espansione incontrollata e generalizzata di attività equivoche e di attrezzature ricettive o di villette private che, arrecando danni rilevanti al paesaggio, non sono in grado di apportare un beneficio sensibile alla collettività. Un parco rurale inteso come un laboratorio di restauro ambientale e di riconversione produttiva anche come esperienza pilota per il rilancio delle aree interne. Infine e non meno importante un Parco Rurale inteso come sperimentazione di una rinnovata convivenza e solidarietà umana che sappia far germogliare nuovi valori e sappia inventare e attribuire con onestà un nuovo significato a parole come “povertà” o “ricchezza”.
Ma quali sono le iniziative che possono concretizzare questi obiettivi? Rispondere a questa domanda significa di fatto progettare il parco, e in ogni caso non può esservi una risposta chiusa ed univoca: si tratta piuttosto di innescare un processo in grado di costruire gradualmente e in maniera autocorrettiva le risposte giuste. Gli elementi fondamentali di questa azione non potranno non comprendere alcune essenziali strategie di intervento. Innanzitutto un piano di tutela, bonifica e manutenzione del patrimonio naturale e storico architettonico.
In secondo luogo un vasto programma di riconversione delle pratiche agricole correnti basate ormai quasi esclusivamente su di una monocoltura cerealicola perennemente in crisi, le cui politiche di sviluppo, decise a migliaia di chilometri di distanza, sono spesso attuate con criteri completamente avulsi dalla realtà locale e che si sono dimostrati capaci di provocare danni enormi all’ambiente: impoverimento del patrimonio genetico locale, inquinamento delle acque e del suolo, rischi per la salute umana, semplificazione del paesaggio naturale ed agricolo, spietramento.
Si tratta allora di promuovere un processo di riqualificazione dell’agricoltura locale, basato sulla diversificazione spaziale e temporale delle colture (anche attraverso il recupero, ove possibile, di pratiche e di colture tradizionali), l’impiego di tecniche biologiche per la concimazione e la lotta ai parassiti e alle infestanti, la produzione, la promozione e la commercializzazione di prodotti agricoli di qualità. Si tratta di sperimentare nuovi approcci alla produzione agricola e zootecnica capaci di integrare le attività tradizionali con mezzi e strumenti non solo compatibili con l’ambiente, ma tali da determinarne il miglioramento e la ricostituzione.
La strategia delineata potrà attrezzare la nostra agricoltura a competere con successo nel futuro mercato globale europeo, anticipando tra l’altro quelle che saranno le future politiche agricole della UE.
Parte integrante del Parco dovrà dunque essere tutta quella infrastruttura di servizi in grado di sostenere e promuovere il processo di riconversione produttiva delineato: laboratori di ricerca scientifica, stazioni sperimentali, uffici di consulenza tecnica e finanziaria, servizi di marketing e di promozione; offrendo cosí anche opportunità di lavoro qualificato per i giovani.
In terzo luogo la creazione di una offerta turistica non tradizionale e non speculativa che, evitando gli stereotipi del turismo consumistico di massa, proponga soluzioni originali in grado di soddisfare una domanda turistica nuova che nei prossimi anni è destinata a crescere sempre piú: quella domanda di soluzioni non preconfezionate, il piú possibile articolate e ricche di stimoli eterogenei.
Da questo punto di vista l’Alta Murgia può realmente offrire qualcosa di estremamente nuovo ed originale, con il suo ricchissimo e peculiare patrimonio di storia, di cultura, di natura. Non si tratta dunque di creare mega strutture all’insegna del “tutto compreso” che il piú delle volte deturpano il paesaggio e le strutture storiche in cui sono spesso ospitate, ma di attivare piuttosto una rete di strutture diversificate, realizzate recuperando la funzionalità degli antichi jazzi e masserie, con criteri rispettosi dell’ambiente e dei manufatti storici ed in sinergia con un utilizzo agro-zootecnico delle strutture stesse. Un discorso a parte ad integrazione del progetto occorrerebbe fare sulla gastronomia locale, recuperando e valorizzando la genuinità degli alimenti prodotti sul territorio (carni, latticini, erbe selvatiche, pane, pasta, olio). Si potrebbe cosí configurare una offerta estremamente articolata, in grado di dare risposte originali al turismo sportivo e naturalistico (equitazione, escursionismo, speleologia, cicloturismo), all’agriturismo e al turismo culturale (le masserie storiche, il patrimonio archeologico, i centri storici, ...), privilegiando i piccoli gruppi ed il turismo giovanile e scolastico.
I riflessi occupazionali ed economici di queste attività sarebbero da non sottovalutare, anche in virtú dell’impulso che il turismo darebbe a tutta una serie di altre attività quali l’artigianato locale, le agenzie turistiche, le aziende agroalimentari, il commercio, la ristorazione, ecc.
Infine, la promozione di attività originali di ricerca scientifica sui temi del restauro ambientale, del carsismo e della speleologia, dell’agricoltura biologica e di nuove tecniche di allevamento; nonché la promozione di attività culturali e didattiche tese alla conoscenza e alla valorizzazione della cultura materiale del territorio.
Pace sempre, parco subito
Sulla comunità del territorio fin qui descritto grava una grande responsabilità che è al tempo stesso una grande sfida, quella di mettere mano alla riprogettazione del proprio ambiente e del proprio destino. Un compito che non può essere demandato ad interventi legislativi né lasciato cadere a cuor leggero: in entrambi i casi l’esito finale sarebbe il progressivo degrado non solo dell’ambiente ma anche del vivere civile.
Occorre dunque mettere subito mano ad una serie di iniziative che creino delle ipoteche positive sul territorio, aprendo cosí la strada ad un intervento piú coerente.
In questa direzione molte sono le cose che le Amministrazioni comunali possono fare, sia autonomamente o consorziate tra loro, sia di concerto con la Regione Puglia, sia attraverso la promozione di consorzi misti, cui chiamare a partecipare l’imprenditoria privata e cooperativa e l’associazionismo giovanile, sia mediante interventi di largo respiro che vedano nella Unione Europea un interlocutore di primo piano.
Una cosa tuttora è certa, ed è quella che senza la messa in atto di interventi concreti, anche a scala locale, che puntino a pianificare in modo omogeneo le aree dei diversi comuni interessati, salvaguardandone l’integrità e promuovendone un riuso sostenibile, si rischia di non avere piú un territorio sul quale proporre un intervento organico.
L’8 novembre 2003 si è svolta la terza edizione della marcia Gravina-Altamura con la partecipazione di più di quindicimila volti animati da un comune sentire: pace, sempre; parco, subito. Non solo è stata un successo ma, essendosi trasformata nella più grande manifestazione dell’Alta Murgia, un evento.
La prima e la seconda marcia si svolsero, rispettivamente, nel 1985 e nel 1987, con l’obiettivo principale di impedire alla Regione Puglia di espropriare circa 15.000 ettari di territorio altomurgiano per impiantarvi tre poligoni di tiro permanenti. Già nei primi anni Sessanta, i braccianti murgiani avevano manifestato contro la presenza delle basi americane di missili muniti di testate nucleari (collocati sul territorio senza informare le popolazioni). Quelle marce riuscirono a congelare ma non ad abrogare quella volontà politica espressa con delibera del Consiglio regionale (N. 400 del febbraio ’83). Al “No” alle servitù militari faceva da contrappeso un “SI” ad un’idea in quel momento ancora vaga di sviluppo possibile. L’eredità accolta con grande senso di responsabilità dai promotori di quelle manifestazioni, fu quella di lavorare all’elaborazione di un progetto alternativo teso a coniugare la tutela dei preziosi ecosistemi storico-ambientali dell’Alta Murgia con la valorizzazione delle attività umane compatibili, prime tra tutte quelle agro-silvo-pastorali. Il progetto fu quello di istituire, sull’Alta Murgia, il primo parco rurale d’Italia.
Quindici anni sono passati da allora. Quell’idea, aprendosi pian piano un varco nell’indifferenza generale e proseguendo a marciare sempre dal basso, ha finito per coinvolgere ampi schieramenti sociali e istituzionali, fino a interessare lo stesso Parlamento italiano che, prima nel 1991 (L. 394) e poi nel 1998 (L. 426), ha legiferato l’istituzione del parco nazionale dell’Alta Murgia.
Non è stato un percorso facile, soprattutto perché le dinamiche che hanno nel frattempo interessato il territorio hanno rischiato e rischiano tuttora di cancellare il patrimonio che con il parco si è inteso tutelare e valorizzare. Non possiamo più permetterci, oggi, tentennamenti su questo punto: da un lato il progetto del parco, inteso come sfida e occasione per riprogettare un futuro durevole per il territorio e per le comunità che lo abitano, dall’altro solo balbettii confusi, rivendicazioni di interessi equivoci e molto individualistici, ma, soprattutto, una valanga di continue distruzioni.
La terza edizione della Marcia è stata sospinta perciò da consapevolezze più mature e profonde circa i processi di rapina ambientale in atto da molti anni, grazie anche alla complicità o all’indifferenza dei governi a tutti i livelli istituzionali; è sostenuta da una visione più ampia delle interconnessioni dei sistemi territoriali, ma anche dalla necessità di coagulare alleanze più strette tra la murgia e i paesi costieri del nord barese, tra la murgia e i paesi pugliesi e lucani che si affacciano sul sistema carsico delle gravine. Insomma l’Alta Murgia è posta al centro di un sistema territoriale complesso che invoca una più coerente e oculata politica di governo. Perciò l’8 novembre abbiamo marciato per ribadire la ferma opposizione di un vasto e articolato movimento di base ad una Puglia sempre più militarizzata, sempre più ponte di guerre piuttosto che di pace e di solidarietà; abbiamo marciato affinchè sia scongiurata la minaccia di trasformare le murge baresi e tarantine o, come in questi giorni, Scanzano Ionico, in pattumiere tossiche o nucleari; abbiamo marciato anche per denunciare l’ostracismo del Governo regionale per la definitiva approvazione del parco. Saremo pronti, tuttavia a marciare di nuovo, in tanti, diversi ma uniti dalle medesime rivendicazioni, per ribadire con forza il diritto delle comunità a decidere del destino di un territorio unico e prezioso che deve essere salvato e valorizzato, a beneficio di tutti, e tramandato alle future generazioni.
Bibliografia essenziale:
P. Castoro, A. Creanza, N. Perrone. L. Montemurro, Alta Murgia, Storia natura immagini, Torre di Nebbia, 1998.
P. Castoro, A. Creanza, Breve storia dell’Alta Murgia, Torre di Nebbia, 2000.
P. Castoro, Cronache murgiane, Torre di Nebbia, 2002.
F. Mirizzi, Tra le fosse e le lame, Congedo editore, 1990.
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gennaio - aprile 2004 |