Scienza nobile e scienza regale
di Marino Centrone

Le diverse emergenze che hanno caratterizzato la vita del pianeta nel recente passato come le morti per il caldo nella scorsa estate, la siccità, le alluvioni, il black out a New York e in Italia, impongono una riflessione complessiva sulla natura della scienza oggi e sulla sua definizione alternativa. La sussunzione della scienza nel sistema produttivo ha dovuto confrontarsi con il problema della regolamentazione della forza lavoro sia nella fase della sua formazione che in quella del reclutamento. Nella storia dell’Occidente vi sono stati momenti in cui la necessità di forza qualificata ha scompaginato e riconfigurato territori, stati e nazioni. L’intreccio fra esigenze della produzione e regolamentazione del mercato del lavoro è il logos, la delineazione di uno spazio in cui si esplica la scienza regale, la scienza di stato, la scienza. In questo spazio non si riconosce alcuna legittimità alle istanze dei singoli, alle voci narranti che occupano le striature e gli anfratti del sistema. La scienza regale è nel sistema, ne scrive le regole, è il sistema. La scienza nomade è considerazione globale del sistema, ne implica la trasformazione, la transizione ad un altro mondo. Il contrasto fra queste due forme di scienza, fra queste due forme di razionalità, ha segnato buona parte della storia dell’Occidente. Tutte le volte che nello spazio storico sono emerse istanze corali diverse venivano creati dispositivi di cattura messi in campo dalla scienza regale. Anche la filosofia è stata attraversata dallo stesso conflitto prima della sua involuzione nella formalizzazione operata dai neo-positivisti. La filosofia accademica ha sempre cercato di rendere governabili quei saperi che nascevano all’esterno dei circuiti istituzionali.
“C’è sempre una corrente in virtù della quale le scienze girovaghe o itineranti non si lasciano interiorizzare completamente nelle scienze regali riproduttive. E c’è un tipo di scienziato girovago che gli scienziati di stato non smettono di combattere o di integrare e di rendersi alleato, salvo proporgli un posto minore nel sistema legale della scienza e della tecnica.” (1)
La ricerca del fondamento, la riduzione ad unità dei molteplici aspetti del reale, la costruzione programmata dei modi di pensare, il metodo, le regole del metodo si sono presentate nello stesso periodo di insediamento dello stato moderno.
“Obbedite sempre, perché più obbedirete più sarete padroni, giacché non obbedirete che alla ragion pura, cioè a voi stessi. Da quando la filosofia si è attribuita il ruolo di fondamento ha sempre continuato a benedire i poteri costituiti e a ricalcare la sua dottrina delle facoltà sugli organi del potere di stato. Il senso comune, l’unità di tutte le facoltà come centro del Cogito è il consenso di stato portato all’assoluto. Fu in particolare la grande operazione della Critica kantiana, ripresa e sviluppata dall’hegelismo. Kant non ha mai smesso di criticarne i cattivi usi per meglio benedirne la funzione. Non c’è da stupirsi che il filosofo sia divenuto professore pubblico o funzionario di stato.”(2)
Bisogna cominciare a produrre di nuovo, a riprodurre un pensiero dell’evento, dell’ecceità. La nuova scienza nomade deve ridare voce ai soggetti narranti.
E’ vero nella storia dell’Occidente sono comparsi intellettuali che hanno cercato di dare voce all’ecceità. Si può cominciare com Bruno per finire ad Artaud e Althusser. Bisogna rileggere, tornare a leggere Freud e Marx.
“Un pensiero alle prese con forze esterne, anzicchè raccolto in una forma interna, un pensiero che opera per ricambi invece di formare un’immagine, un pensiero evento, ecceità; invece di un pensiero soggetto, un pensiero problema, anzicchè un pensiero essenza o teorema un pensiero che fa appello ad un popolo.”(3)
Creare nuove macchine da guerra, moltiplicando i luoghi della comunicazione. E’ questo il compito della filosofia e del pensiero critico. Il pensiero nomade. Un’affascinante metafora per designare situazioni, comportamenti, atteggiamenti, disposizioni di chi non ci sta, di chi rifiuta il codice di assegnazione. Nuove macchine da guerra, piene di desiderio che rifiutano la società gerarchica istituita dalla scienza regale. In questa chiave può anche essere letta la poderosa destabilizzazione introdotta nell’ordine mondiale dalle tensioni del popolo nomade d’Oriente. Il nomadismo abita l’Oriente, abita tutte le situazioni originarie non inquadrabili in una razionalità mortifera e silenziosa. In questo contesto si colloca l’uso degli utensili e del territorio operato dai soggetti nomadi. Gli utensili, la vecchia e nuova tecnologia hanno una dimensione ambivalente: possono essere usati per puntellare, legittimare, fornire bastioni al sistema oppure essere finalizzati alla creazione di dimensioni comunicative che preparano la transizione, la trasformazione, il nuovo mondo.
“Eppure, degli uomini di guerra rinascono con molte ambiguità: sono tutti coloro che sanno l’inutilità della violenza, ma che si trovano in adiacenza a una macchina da guerra da ricreare, di resistenza attiva e di liberazione tecnologica. Non resuscitano vecchi miti o figure arcaiche, sono le nuove figure di concatenamento trans-storico: il guerriero nomade e l’operaio errante. Una tetra caricatura già li precede, il mercenario o istruttore militare mobile e il tecnorate o analista transumante, CIA e IBM….Arti marziali e tecniche di punta valgono solo in quanto hanno la possibilità di riunire masse operaie e guerriere di un tipo nuovo. Linea di fuga comune dell’arma e dell’utensile: una pura possibilità, una mutazione. Si formano tecnici sotterranei, aerei, sottomarini che appartengono più o meno all’ordine mondiale, ma che inventano e accumulano involontariamente cariche di sapere e di azione virtuali, utilizzabili da altri, minuziose e tuttavia facili da acquisire per nuovi concatenamenti. Fra la guerriglia e l’apparato militare, fra il lavoro e l’azione libera, i prelievi si sono sempre fatti nei due sensi, per una lotta tanto più differenziata.” (4)
La recente guerra in Iraq rischia di essere dimenticata, relegata in qualche sporadica notizia fornita dai telegiornali, anche se dopo tre mesi dalla fine del conflitto le bandiere della pace sono ancora esposte sui balconi. Anche se sono morti dei soldati italiani. All’ordine del giorno c’è il problema dei rapporti fra Oriente e Occidente, il potenziamento degli organismi internazionali, il ruolo protagonistico che in essi deve svolgere l’Europa. Le recenti divergenze strategiche sulla guerra emerse fra Francia e Germania da una parte, Inghilterra e Stati Uniti dall’altra indicano chiaramente che il controllo delle fonti energetiche, dell’oro nero è destinato a delineare il futuro sviluppo delle nazioni. In questo ordine di problemi si inserisce la necessità improrogabile di far ricorso ad energie alternative per affrontare l’emergenza pianeta. Le giornate ecologiche sono un rimedio insufficiente e le variazioni metereologiche costituiscono ormai una minaccia alla salute della gente. Le nuove macchine da guerra, i soggetti del mondo nuovo, il popolo a venire devono creare nuova tecnologia, una nuova metallurgia. Deleuze e Guattari hanno individuato nella metallurgia un flusso di intensità materiale, potenza di destabilizzazione dei popoli nomadi. La fusione dei metalli per produrre armi presuppone la fluidità della materia incandescente prima di assumere la forma della spada e della sciabola. Non si tratta di definire esattamente i popoli che l’hanno inventata e la successiva diffusione presso altri popoli, ma di cogliere il valore strategico della materia in fusione, del popolo metallurgico che l’adopera, del nesso fra metallurgia e la vicinanza di steppe e foreste dove esistono le miniere per estrarre il metallo. La materia in fusione rimanda immediatamente agli spazi delle steppe e delle foreste alternativi all’agricoltura sedentaria di tipo imperiale, l’impero contro la barbarie, la pax augustea contro le invasioni, il nuovo ordine mondiale di Bush contro i nemici dell’Occidente.
“L’artigiano metallurgico è l’itinerante perché segue la materia – flusso del sottosuolo. Certo il metallurgico è in rapporto con gli altri, quelli del suolo, della terra e del cielo. E’ in rapporto con gli agricoltori delle comunità sedentarie e i funzionari celesti dell’impero che surcodificano le comunità: infatti ha bisogno di loro per vivere, dipende al livello stesso della sua sussistenza da uno stock agricolo imperiale. Ma, nel suo lavoro, è in rapporto con gli uomini della foresta e parzialmente ne dipende: deve installare le sue officine vicino alla foresta, per avere il carbone necessario. Nel suo spazio è in rapporto con i nomadi, poiché il sottosuolo unisce il suolo dello spazio liscio alle terre dello spazio striato: non ci sono miniere nelle valli alluvionali degli agricoltori imperializzati, bisogna attraversare deserti, affrontare montagne, e il problema del controllo delle miniere mette sempre in questione dei popoli nomadi, ogni miniera è una linea di fuga che comunica con spazi lisci – se ne avrebbe oggi un equivalente nei problemi connessi al petrolio.”(5)
La materia in fusione è magma sotterraneo, flusso di potenza lavica tenuto sotto la coltre del controllo imperiale pronto ad esplodere in ogni parte del pianeta. La materia in fusione è la tensione macchinica delle teste cercanti che vogliono far saltare in aria l’attuale sistema dominato dalla plutocrazia e dai mercati finanziari. La materia in fusione, storicamente apparsa con i popoli metallurgici delle steppe e delle foreste, si manifesta oggi nei popoli arabi detentori dell’oro nero. Ogni politica tesa alla loro distruzione è destinata al fallimento e le teste cercanti del mondo occidentale sono obbligate a porvi rimedio. Bisogna creare una nuova macchina da guerra contro la guerra totale messa in atto dallo stato e dalle istituzioni contro i soggetti nomadi. La forma stato, come legittimazione del capitale, sussume la forza lavoro inserendola nei processi produttivi, espellendola quando non ne ha più bisogno e costringendola all’emigrazione.
I giovani stanno abbandonando le terre del Sud per popolare le periferie delle metropoli del Nord alla ricerca di un misero salario per riprodurre una misera esistenza. Cinematografia, saggistica, poesia, l’arte nelle sue molteplici manifestazioni hanno affrontato il fenomeno. Si impone una trasformazione profonda, la creazione di una nuova macchina da guerra, la creazione di spazi lisci dove si possa camminare e respirare. Le nuove macchine da guerra daranno vita al soggetto politico del prossimo millennio, grideranno il diritto alla vita e all’esistenza.
“Un movimento artistico, scientifico, ideologico può essere una macchina da guerra potenziale, proprio in quanto traccia un piano di consistenza, una linea di fuga creatrice, uno spazio liscio di spostamento.”(6)
Pop, pop-art, pop-analisi, be-bop, be-pop. Contro la putrida cultura accademica. Fare libri per riaggregare il popolo, anche se il popolo ha altro da fare. “Perché la scienza sarebbe completamente folle se la si lasciasse fare, guardate la matematica, non è una scienza, ma un gergo prodigioso e nomadico.”(7) Fare mondo, diventare molecolari, aprire sempre nuovi livelli di comunicazione, fare una rivista che sia un tribuna per tutti. La scienza regale si è sempre ispirata alla struttura piramidale dello stato. Il rapporto che lega Cartesio a Hegel è lineare e i filosofi-re ne sono stati i garanti.
“La storia non ha mai compreso il nomadismo, il libro non ha mai compreso il di fuori. Nel corso di una lunga storia lo stato è servito come modello del libro e del pensiero: il logos, il filosofo-re, la trascendenza dell’idea, l’interiorità del concetto, la repubblica degli spiriti, il tribunale della ragione, i funzionari del pensiero, l’uomo legislatore e soggetto.”(8)
Azzerare, partire da zero, gridare scemo-scemo. Specialmente in questo momento in cui forze politiche di regime, ma anche alcuni che dicono di stare a sinistra, invitano al senso di responsabilità e all’ordine. Fare rizoma.
“Un rizoma non incomincia e non finisce, è sempre nel mezzo, tra le cose, inter-essere, intermezzo. L’albero è la filiazione, ma il rizoma è alleanza, unicamente alleanza. L’albero impone il verbo essere, ma il rizoma ha per tessuto la congiunzione. In questa congiunzione c’è abbastanza forza per scuotere e sradicare il verbo essere. Dove andate? Da dove partite? Dove volete arrivare? Sono domande davvero inutili. Cercare un inizio o un fondamento, tutto questo implica una falsa concezione del viaggio e del movimento.”(9)

1) G. Deleuze – F. Guattari, Sul ritornello, Capitalismo e schizofrenia, sez. III, Castelvecchi, Roma, 1997, p. 110.
2) G. Deleuze – F. Guattari, op. cit., p. 115.
3) G. Deleuze – F. Guattari, op. cit., p. 118.
4) G. Deleuze – F. Guattari, op. cit., p. 158.
5) G. Deleuze – F. Guattari, op. cit., p. 171.
6) G. Deleuze – F. Guattari, op. cit., p. 186.
7) G. Deleuze – F. Guattari, Capitalismo e schizofrenia, Roma 1987, p. 34.
8) G. Deleuze – F. Guattari, op. cit., p. 35.
9) G. Deleuze – F. Guattari, op. cit., p. 36.

gennaio - aprile 2004