Nasce decisa, ma un po’ in sordina, l’idea di uno dei nostri massimi “riformatori culturali”: il ministro delle finanze Giulio Tremonti. Il quale, senza alcuno scrupolo di coscienza, taglia risorse alle università e alla ricerca e, con i medesimi fondi, annuncia l’intenzione di istituire un MIT (Massachusetts Institute of Technology) in salsa italiana. Idea piuttosto balzana, di un provincialismo di bassa “lega”, proprio così com’è il ministro che l’ha lanciata, anche se siamo convinti che sia un parto da “sogno” duale, ovvero in stretta intesa con il nostro premier, il quale, si sa, sogna di portare tutto quello che c’è negli USA in Italia e tutto quello che c’è in Italia regalarlo agli USA.
Insomma, diciamolo: perché Loro, gli Americani, devono avere un tempio di scienza come il MIT e noi no? (Chissà se poi Berlusconi e Tremonti sanno che dal 1955 una delle colonne portanti del MIT si chiama Noam Chomsky!). Cosa ti pensano allora i due nostrani geni creativi? La costituzione immediata di un M.I.T. italiano che si chiamerà I.I.T. (Istituto Italiano di Tecnologia - da pronunciarsi ovviamente all’americana: “double ai ti”) e che godrà di un finanziamento di 100 milioni di euro l’anno per 14 anni! Piero Tosi, presidente della Conferenza dei Rettori degli atenei italiani, ha detto chiaro e tondo che: “È un segnale di disprezzo per l’attività di ricerca svolta da molti centri di eccellenza dell’Università e degli enti di ricerca” (La Repubblica, 31/10/2003). Ovviamente la ministra Moratti ha chinato per l’ennesima volta il capo alla volontà maschilista destrorsa, di cui lei non è che l’immagine derelitta. Facile azzardare l’organigramma del nostro M.I.T.: Giulio Tremonti Presidente, Carlo Jean Rettore, testo base il libro da loro scritto a quattro mani “Guerre stellari, società ed economia del cyberspazio”. Naturalmente fra i banchi girerà l’altro testo scritto dal generale delle scorie, già comandante del Gruppo tattico di Forza mobile della Nato, già collaboratore di Cossiga, oggi consigliere di Berlusconi: “L’uso della forza: se vuoi la pace comprendi la guerra”. E dopo il declino economico avremo la decadenza culturale del “bel paese”.