…E come gentil cor onore acquista,
così venìa quella brigata allegra,
quando vidi un’insegna oscura e trista;
ed una donna involta in veste negra,
con un furor qual io non so se mai
al tempo de’ giganti fusse a Flegra,
si mosse e disse: - O tu, donna, che vai
di gioventute e di bellezze altera,
e di tua vita il termine non sai,
io son colei che sì importuna e fera
chiamata son da voi, e sorda e cieca
gente,a cui si fa notte innanzi sera;
io ò condottola fin la gente greca
e la troiana, a l’ultimo i Romani,
con la mia spada la qual punge e seca,
e popoli altri barbareschi e strani;
e giugnendo quand’altri non mi aspetta
ò interrotti infiniti penser vani.
Or a voi, quando il viver più diletta,
drizzo’l mio corso innanzi che Fortuna
nel vostro dolce qualche amaro metta…
Così, nei versi di Petrarca, la Morte va incontro a Laura, mentre la giovane, insieme a poche compagne, sta tornando vittoriosa dopo aver sconfitto Amore e fatto trionfare Castità, con un’immagine che ricalca fedelmente l’iconografia della Morte elaborata nelle arti figurative. Il tema della morte, nelle sue varie declinazioni, è molto diffuso nella pittura tardomedievale. Infatti, è solo a partire dal XIII secolo che nasce una vera e propria iconografia della morte intesa come iconografia del macabro e visualizzazione del disfacimento del corpo umano. Fino ad allora la morte, tra i quattro Novissimi (morte, giudizio, inferno e paradiso), aveva avuto un ruolo alquanto marginale. Nelle chiese medievali erano diffusissime straordinarie ed efficaci rappresentazioni del Giudizio Universale, ma, per quanto si sa, la prima comparsa del macabro risale al 1260, con la rappresentazione della vicenda dei Tre vivi e dei tre morti, nel duomo di Atri, tema ripreso dalla letteratura orientale, che esprime un senso della morte profondamente laico e connesso con l’idea della vanità delle cose e della corruttibilità della carne. Tre giovani cavalieri incontrano tre scheletri (qualche volta in una bara) che ricordano loro quel che diventeranno. Il soggetto continua ad avere successo e diffusione fino a tutto il Quattrocento come dimostrano gli affreschi di Subiaco, del Camposanto di Pisa, di Clusone e dell’Abbazia di Vezzolano vicino Asti. L’ attenzione per le spoglie umane non si limita alla loro trasformazione dopo la resurrezione finale, è il desiderio di vedere cosa resta del corpo, indice di un atteggiamento laico nei confronti della morte, per cui non interessa più soltanto il destino soprannaturale dell’anima, ma anche il disfacimento del corpo dell’individuo. Una interessante ed assai più complessa variante del tema della morte è rappresentata dall’iconografia del Trionfo della Morte , in cui appare la morte come uno scheletro femminile, spesso con una lunga capigliatura che con una falce o una spada miete vittime intorno a sé non risparmiando nessuno. Questa iconografia ha grande successo e diffusione a partire dalla seconda metà del Trecento. La grande peste nera che aveva causato venticinque milioni di morti in Europa aveva profondamente scosso le coscienze. Così la morte appare come una grande forza devastante e distruttrice, una donna terribile, vecchia e crudele che si abbatte in volo sulla folla dei cadaveri. In Sicilia, nell’affresco della metà del Quattrocento conservato nella Galleria nazionale di Palermo, la Morte-peste, su un cavallo scheletrito, si avventa con il suo arco su un gruppo di dame e cavalieri, ignorando i poveri che invece la invocano per porre fine ad una misera esistenza. A Pisa, a destra della scena dei Tre vivi e dei tre morti, la morte, una donna anziana dal viso spietato, grandi ali nere, lunghi capelli scarmigliati, artigli alle mani e ai piedi, brandendo una grande falce scende in volo a mietere vittime, mentre tutt’intorno a lei, in una scena di forte animazione ed estrema vivacità, le forze dell’aldilà, angeli e demoni si contendono le anime delle sue vittime. Si vedono già i cadaveri di ecclesiastici, dignitari e borghesi benestanti e, se in un primo momento appaiono ignorati i più poveri, è chiaro che anch’essi su-biranno la stessa sorte; si fa strada l’idea della morte come estrema forma di giustizia che, non risparmiando nessuno, con la sua azione livellatrice, rende tutti uguali, giovani e vecchi, pontefici ed imperatori, potenti ed umili contadini, belle fanciulle e storpi, tutti da lei possono essere colpiti all’improvviso. La morte contiene in sé una forma di giustizia sociale, l’unica forse in un periodo di forti disuguaglianze.
Un’altra variante ancora più tetra è rappresentata dal tema della Danza macabra, assai diffuso soprattutto nell’Europa settentrionale, non solo nella grande pittura murale, ma, grazie alla diffusione della stampa, anche nei volumi. In questo modello iconografico, una lunga processione di individui di ogni ceto sociale si reca al luogo di sepoltura. Ciascun personaggio, cardinale o imperatore, cavaliere o ricco borghese o contadino è condotto per mano da uno scheletro. In alcune immagini, si vedono i singoli individui connotati dagli attributi che li hanno contraddistinti in vita, danzare con il proprio scheletro, quasi un repertorio delle tipologie sociali del tempo. I cadaveri non si presentano armati ai vivi: li portano via, ma non li attaccano, li colgono di sorpresa con un gesto quasi familiare, non scendono dall’alto, né sorgono dalla terra, sono al loro stesso livello. Così la personificazione della morte si frantuma, individualizzandosi a più riprese. La diffusione di questa iconografia fu davvero straordinaria. Purtroppo ne sono sopravissute poche a Parigi, Londra, Digione, Strasburgo, in Trentino. Nel Nord Europa l’approccio a questo tema è diverso rispetto a quello italiano, infatti all’astrazione di una sorta di divinità che soggioga l’intera umanità, corrisponde la concretezza nordica della morte individuale, lo scherno di personaggi noti o comunque riconoscibili, quasi una macabra satira di costume. Verso il Cinquecento l’idea della morte si trasforma ed incide sull’idea stessa della vita. L’importanza attribuita alla morte fisica cambia profondamente l’insegnamento cristiano. Attraverso una maggiore consapevolezza del decadimento del corpo, la morte ha inizio sin dalla nascita. Prende così avvio il concetto che il tempo da impiegare per vivere bene è quello della vita umana, ed è nel suo percorso terreno che anche il cristiano deve trovare la sua realizzazione.
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gennaio - aprile 2004 |