Genova, autunno 1969: oltre la linea d’ombra
di Ignazio Pansini

Sin da ragazzo ho avuto l’abitudine di scrivere, su dei fogli sparsi o su quadernetti, pensieri e commenti intorno a fatti che vivevo di persona, o su avvenimenti vari che mi colpivano e che ritenevo di dover ricordare e conservare. Intorno al 1969 raccolsi tutto quel materiale, mi sforzai di conferirgli una certa organicità e di integrarlo, aggiungendo altri ricordi ed impressioni, prima che svanissero definitivamente dalla memoria. Risultarono un duecento pagine dattiloscritte, che coprono un arco di tempo che va dai venti ai trent’anni. Diedi loro un titolo, “Gioventù” (che fantasia!), e le riposi nel cassetto più basso della scrivania, semisepolte fra carte eterogenee e stravaganti, quali la vera storia di Rosa Picca, che non si butta dal balcone per salvare la verginità, ma scappa felicissima con il bel francese, che la libera da una famiglia orrenda, o l’immaginaria orazione funebre in memoria ed onore del vagabondo alcolizzato che al mattino rideva a crepapelle vedendo partire alla stazione i pendolari per Bari. Naturalmente, molti di quei ricordi si riferiscono agli anni universitari. Dopo la maturità classica conseguita a Molfetta, mi trasferii nell’ottobre 1969 a Genova, e mi iscrissi per un anno a medicina, passando poi a lettere. La sistemazione degli anni ottanta ordina abbastanza fedelmente la materia originale, molto frammentaria, ma interviene nella cucitura e la rielabora con qualche commento relativo ad eventi posteriori, che non è più possibile eliminare ora dal contesto. Ciò che segue non ha nessuna pretesa letteraria o poetica: mi sono deciso a pubblicarlo su questo numero de “Le Passioni” come mera testimonianza di un’epoca e di un sentire, certamente personale, ma, ritengo, comune a larga parte della gioventù di quegli anni. Il tono è a volte ingenuo, a volte ironico, a volte nostalgico: il linguaggio è spesso crudo, ma del tutto spontaneo, perché da una parte rispecchia quello effettivamente parlato nelle vicende, dall’altra è frutto della tensione con la quale quelle stesse erano vissute. Non manca il “personale”, che si concretizza in varie, rocambolesche e disastrose faccende di cuore, e vi è pure qualche accenno al servizio militare, dietro il quale, come ebbe a scrivere Trotskij, si nasconde il vero volto dello stato borghese. Concludo con l’immagine più viva che mi è rimasta di quegli anni, che non riesco a dimenticare: cortei di giovani ed operai che da Piazza delle Brigate Partigiane s’incolonnano immensi per via Venti Settembre, fra due ali partecipi di folla che saluta con il pugno chiuso: un’onda che in mille modi diversi grida le stesse parole: giustizia e libertà. Le onde risaccano, ma il mare non si ferma mai.

Una canzone il tuo posto prenderà (Battisti)

Il capo di Lotta Comunista
zoppicava veloce
dalla pedana di legno
dell’aula magna
di medicina
sembrava Achab
sulla tolda del Pequod
prima d’inchiodare
all’albero di maestra
la moneta d’argento
biondo grassoccio
un po’ sudato
controllava nervoso le uscite
e dava cenni di comando
ai suoi secondi
gli anziani
del secondo anno
s’erano bisbigliati il suo nome
e s’era fatto
silenzio di tomba
io
lurida matricola
e per giunta terrone
sedevo solitario
all’ultima fila
in vetta all’anfiteatro
ed invece d’anatomia
in quel giorno piovoso
di mezzo novembre
genovese
del millenovecento
sessantanove
dovevo ascoltare
la prima predica sull’imminente
inevitabile
rivoluzione
dal mio posto di vedetta
guardavo distratto in basso
i preliminari della cerimonia
in quei mesi
il mio pensiero vero
scivolava fisso
a lei
alle sue lentiggini sulle guance
al disco di Donovan
che le avevo regalato
(e nemmeno grazie
m’aveva detto)
e al caldo paradiso tropicale
che avevo intravisto
dietro l’esile barriera
del sottilissimo collant
allora
non avevo amici a Genova
non avevo in testa
tutto ben chiaro
di come dovesse
andare il mondo
m’aggiravo
intorno all’ospedale di S. Martino
col mio montgomery blu
con l’abbonamento ferroviario
di andata e ritorno
con qualche buon ricordo
del liceo
e con il fardello magico
anche se vuoto
di tutto l’avvenire
adesso mi hanno stufato
me ne vado a Brignole
torno a Santa Margherita
chissà che non riesco
a trovarla sola in casa
e si rimedia
un po’ d’amore corsaro
con gli orecchi alla porta
che non arrivi la madre
(successe anche questo
ma senza gravi conseguenze)
sei mesi dopo mi piantò
per uno che faceva soldi
fabbricando profumi orrendi
poi divorziò
ora sta con un ferroviere
che la guarda con gli occhi
di pesce bollito
e le dice tu sei la mia seconda
mamma
tu sei la Madonna
mi guardo intorno progettando
un’onorevole inavvertita fuga
quando m’accorgo
che un’immane lapide marmorea
incombe alle mie spalle
con tanto di date
di paroloni per i fessi
e di fasci littori
ero capitato niente di meno
nell’aula magna che l’università
di Genova
aveva dedicato
a Pende professor Nicola
illustre clinico del ventennio
e postventennio
fascista convinto
fervente cattolico
e teorico razzista
ed anche mio padre
che era medico
(e che non era bolscevico)
che l’aveva sentito a Bari
diceva sempre
che avrebbe potuto fare
con zelo onore e passione
l’infermiere nei campi di
sterminio
quella lugubre pietra
finì di rovinarmi del tutto
quel pomeriggio d’autunno
(la fecero a pezzi l’anno dopo)
dovevo assolutamente lasciare quel posto
ritornare al mare
ma niente da fare
dalle porte superiori
cominciano ad entrare
decine e decine di studenti
un fiume di bandiere rosse
moltissimi operai
dei cantieri navali in sciopero
(quest’ultima proprio una bella novità
chi l’aveva mai vista in carne ed ossa
la mitica classe operaia)
niente da fare uscite presidiate
mi tocca restare
dopo qualche minuto
il capo di Lotta Comunista
fa cenno di tacere
tutti gli obbediscono
e parla
compagni
gli operai dell’Ansaldo e della S. Giorgio
mi comunicano in questo momento
il picchettaggio permanente
alle fabbriche
e la proclamazione dello sciopero
ad oltranza delle maestranze genovesi
compagni
l’assemblea generale di medicina
indetta dal raggruppamento rivoluzionario
Lotta Comunista
ha votato all’unanimità
di solidarizzare
con gli operai dei cantieri
e di proclamare l’immediata
permanente occupazione
compagni
non raccogliete alle uscite
eventuali provocazioni
dei fascisti e della polizia
ma opponetevi con tutti i mezzi
che riterrete opportuni
a chiunque tentasse di penetrare
nella facoltà occupata
compagni
accogliendo e diffondendo
la teoria e la prassi
del marxismo-leninismo
Lotta Comunista guida a Genova
la lotta anticapitalista antirevisionista
antimperialista
aderite militate vigilate combattete
viva il proletariato internazionale
viva gli operai genovesi
viva Lotta Comunista
pensavo dondolato dal vagone
(citazione dalla più grande canzone
di Francesco Guccini)
che era ormai troppo tardi
per andare a casa sua
il giorno dopo avrei fatto i miei conti
con il marxsismo-leninismo
pazienza sarebbero venute altre occasioni
ed invece niente
presto sarei stato lontano da lei
dal suo collant e da medicina
a caso e senza senso
si alternano i luoghi degli incontri
e degli addii
* * *
Aosta
quarto reggimento alpini
ora d’aria nel cortile
un tenente firmaiolo
di quelli che ci hanno messi alle spalle
a farci la spia
mi grida frasi deliranti
l’ira gli deforma la voce
il pazzo voleva
che levassi le mani di tasca
questo l’osceno reato
che stavo consumando
levai le mani e le alzai al cielo
mi arresi alla follia
da quel momento
si dileguò in me
ogni residua speranza
sulle sorti progressive
dell’umanità
Aosta
per punizione a curare i fiori
nel giardino del generale
una goduria
ogni tanto esce
e si siede sulla panchina
è chiaro che s’è strarotto
di mortai fucili e baionette
studio per l’esame
la morte della famiglia di Cooper
Freud e Marx mi si sfogliano
nel cervello come i petali
di una margherita
ora capisco quel sadico
di Carbonere
che sembra avere un orgasmo
quando spara con l’emmegì
sei mesi dopo a Torino
nei cessi del distretto militare
non c’era luce
ed ognuno cacava
a caso nel buio
pestando la merda
di chi l’aveva preceduto
(sarebbe bastata una lampadina)
il comandante della compagnia servizi
era alcolizzato (a cinquant’anni ancora capitano)
a Natale cominciò a distribuire i panettoni
ma gli si piegavano le gambe
e finì il maresciallo
che era di Napoli
(e che si fregò metà dei panettoni)
io ad Aosta
m’ero beccato la rogna
per ammazzare i ragnetti
mi cucinarono la divisa
e me la restituirono
così piccola che non andava
nemmeno ad un bambino
come un pagliaccio
e piangendo di rabbia
camminai dall’ospedale militare
al distretto
per la Torino
umida fredda nebbiosa
con le luci arancione
con l’avvocato Agnelli
che sniffava di quella buona
e addobbava l’albero di natale
con le palle colorate
nella sua villa sulla collina
io invece
lanciavo nuvolette di vapore
a quelle lune artificiali
e stringevo fra i pugni
nelle tasche gelide del pastrano
impavidi sogni di gioventù
in camerata odore di spinello
quello di sopra sono sei ore
che sente Bob Dylan
si leva la cuffia
hanno ammazzato il tale
uno di meno si grida in fondo
mi stendo vestito sulla branda
un sorso di cognac poi un altro
ed un altro ancora
tutto questo deve pure finire
canta Francesco
finirà non è vero
ma non sente niente
s’è rimesso la cuffia
e s’è addormentato
meno male devo solo pisciare
vado nell’inferno dei cessi
e spingo sulla soglia il piscio
al centro dell’orrenda
fioritura di cacate
Paola mancano soltanto due giorni
buona notte
* * *
hanno messo le bombe a Milano
Montanelli sul Corriere
sono anarchici
Montanelli sul Corriere
turatevi il naso votate diccì
Montanelli grande giornalista
eccola che gira la giostra di sangue
con le bambole senza occhi
Genova qui si fa la rivoluzione
scritte rosse alle pareti
attenti a voi
i luddisti vi schiacceranno
certo bisogna farla finita con i padroni
eppure bisogna che domani
prenda il ducati nero
e voli con lei dalle colline alle riviere
mirabile Liguria tanto bella
da incantare persino gli amanti
Faina Gianfranco Azione Rivoluzionaria
dà trenta politico a tutti
la lode ai militari
poi sparisce nei carrugi
banda armata
morto di cancro in carcere
Fenzi Enrico corso monografico su Petrarca
sparisce anche lui brigate rosse
Ludmann Anna Maria
segue etnologia con la Cerulli
ammazzata in via Fracchia
con altri tre
lavoro veloce lavoro pulito
dei caramba di Dalla Chiesa
Dalla Chiesa Carlo Alberto
crivellato a Palermo dalla mafia
servitore dello stato
(ben) servito dallo stato
guardate bene
le bambole cominciano
ad avere gli occhi
Galimberti di filosofia
parla per un’ora (in tedesco)
su di una mezza frase di Kant
gli arriva in testa
una secchiata d’acqua
chissà se rinsavisce
non batte ciglio
continua la lezione
seconda secchiata
si alza bestemmiando
e se ne va tra gli applausi
diffidare
di chi non si fa capire
o è cretino o è fascista
due professori fanno lezione
di tattica di guerriglia
siamo vicini dicono
poi spariscono
clandestini
un casino
aula quattordici
seminario sulla sinistra giacobina
parla Franco Venturi
formidabile
entrano i soliti cinesi
fuori riformisti del cazzo
non l’avessero mai detto
Venturi s’incendia ringhia di rabbia
(Partito d’Azione roba di lusso)
mostra le cicatrici delle torture naziste
li chiama fascisti
s’avventa sui cinesi con dieci iscritti della figici
quelli scappano come conigli
la polizia fa le retate
mette tutti nei furgoni
una ragazza con la sciarpa rossa
viene cacciata dentro con un pugno
sicuramente era lì per caso
uno dell’autonomia sta verniciando
la bacheca degli appelli con lo spray rosso
aspetta compagno
fammi vedere la data
scemo non capisci la contraddizione
si ma io che cazzo di giorno mi presento
quattro passi nel chiostro grande
della foresteria di lingue
penso a mio cugino di Milano
movimento studentesco
il padre gli ha trovato
le catene sotto il letto
ma non ha fatto scenate
vedi lo so anch’io
come va il mondo
una merda voleva dire
ma non lo diceva
ora è a Rapallo con la Giovanna
che ha voluto abortire
testone
bruciato d’angoscia
entra una giulia della celere
si mette al centro
a sentire canzoni napoletane
errore grave
zona rossa grande rischio
finisce l’assemblea di Lotta Continua
escono nel chiostro circondano la macchina
la tempestano di pugni
di calci di urla
i quattro celerini
meridionali proletari
come scrive Pasolini
venuti a nord a farsi pestare
dai giovani borghesi
chiudono i vetri e se la fanno sotto
io mi trovo trascinato
a dare i miei bravi calci e pugni
anticapitalisti
e poi mi defilo
la violenza t’impasta la bocca
ti mette freddo nella schiena
mi guardo la suola della scarpa
distrutta dalle lamiere dell’alfa
me le aveva regalate per l’anniversario
una fregatura
seduta di laurea
in nome del popolo italiano
eccetera eccetera
via Balbi ultima volta
finito tutto
presto anche fra di noi
com’era quella canzone
che sentivamo sempre
in via del Campo
è vero adesso ricordo
tu eri stonata
e non sapevi cantare
pazienza
me la canto da me.

gennaio - aprile 2004