In un comunicato risalente al 26 settembre 2003, il Ministero della Salute ha diffuso i risultati di una indagine sugli “effetti collaterali della cannabis”, condotta, per conto del stesso Ministero, dal Consiglio Superiore di Sanità (Sezione V).
Richiamandosi alla letteratura in materia e valutando i risultati di alcuni studi clinici, il Consiglio, nella seduta dell’8 settembre, licenziava il seguente parere: “In particolare, tenuto conto che il numero degli adolescenti che fumano cannabis è elevato nel nostro Paese, il Consiglio Superiore di Sanità ritiene che l’uso della cannabis sia gravato da pesanti effetti collaterali quali dipendenza, possibile progressione all’uso di altre droghe quali cocaina e oppioidi, riduzione delle capacità cognitive, di memoria e psicomotorie, disturbi psichici quali schizofrenia, depressione e ansietà; possibili malattie broncopolmonari tra cui bronchite ed enfisema. Inoltre il Consiglio ritiene che giovani e adolescenti siano particolarmente vulnerabili ai suoi effetti negativi”. Sulla scorta di queste argomentazioni, il Consiglio riteneva, inoltre, di non poter accettare per la cannabis la definizione di “droga leggera” e invitava, allo stesso tempo, le autorità competenti ad offrire “ampia e incisiva informazione” agli adolescenti, soprattutto per quanto attiene ai “rapporti diretti tra uso della cannabis e sviluppo di problemi per la salute mentale, quali depressione, ansietà e schizofrenia”.
Grazia Zuffa, in un incisivo articolo apparso su “Fuoriluogo”, ha descritto efficacemente il modo in cui il Consiglio ha fatto ricorso ad una letteratura scientifica contestata da più parti. Ad esempio, per rimanere ai documenti più recenti, dal Cannabis 2002 Report, promosso dai ministeri della salute di Belgio, Francia, Germania, Olanda e Svizzera, che denuncia la “mancanza di studi comparabili e metodologicamente solidi fra uso di canapa e psicosi”, o dal Rapporto Nolin, commissionato, sempre nel 2002, dal Canada, che, riguardo alla correlazione fra uso di cannabis e schizofrenia, parla di “metodologia debole”, di “dati contraddittori” e di “interpretazioni spesso basate su modelli semplicistici di causalità” (cfr. G. Zuffa, La scienza tra miti e fatti, “Fuoriluogo”, in “il manifesto” 31.10.03, p. 10 o sul sito www.fuoriluogo.it).
Al di là di queste pur decisive questioni di ordine scientifico, ciò che ci interessa maggiormente sottolineare è la ricaduta che questa iniziativa del Ministero della Salute avrà, o sta già avendo, sul mondo della scuola.
Il parere espresso dal Consiglio Superiore di Sanità, infatti, è destinato ad incastrarsi perfettamente con il Nuovo testo unificato della proposta di legge Burani Procaccini.
Presentata il 30 maggio 2001, cioè nei primissimi giorni del secondo governo Berlusconi, per abrogare sostanzialmente la Legge 180 del 1978, meglio conosciuta come “legge Basaglia”, la proposta di legge Burani Procaccini (Norme per la prevenzione e la cura delle malattie mentali. Per migliorare l’assistenza delle persone affette da malattia mentale) contiene nell’art. 14 della sua ultima stesura questo inquietante riferimento alla scuola: “Per l’individuazione precoce delle situazioni di rischio psicopatologico e dei disturbi psichici, il Ministro della Salute, con proprio decreto, stabilisce le modalità di realizzazione di specifici programmi atti alla diffusione di appropriati e soddisfacenti interventi presso le scuole, ad iniziare da quelle materne. I programmi devono prevedere procedure di screening e preparazione degli insegnanti”.
Secondo il succitato parere del Consiglio è evidente che il consumo di cannabis è destinato a rientrare fra le “situazioni di rischio psicopatologico” e, quindi, ad autorizzare “appropriati e soddisfacenti interventi presso le scuole”. Alcuni di questi interventi si sono, di recente, concretizzati nella perquisizione delle abitazioni degli studenti del liceo “Virgilio” di Roma e nella segnalazione alla Prefettura di alcuni di loro; nel blitz dei carabinieri al liceo “Majorana” di Rho, che ha dato il via a una inchiesta giunta a coinvolgere il dirigente scolastico; nelle ispezioni periodiche dell’istituto commerciale “Aterno” di Pescara, concordate dal dirigente scolastico con la Guardia di Finanza; nelle perquisizioni realizzate nel liceo “Galilei” di Firenze (per un elenco dettagliato cfr. www.fuoriluogo.it).
Nella prospettiva ministeriale, gli interventi repressivi, oggi realizzati su soggetti collocati in una fascia di età compresa fra i 15 e i 19 anni, sono destinati a diminuire con l’affinamento delle attività di prevenzione. Il Ministero della Salute sta, infatti, sostenendo congiuntamente progetti di prevenzione relativi alla valutazione dei problemi comportamentali dei preadolescenti di età compresa tra i 10 e i 14 anni. Di uno di questi, cioè del progetto PrISMA (Progetto Italiano Salute Mentale Adolescenti), vale la pena di parlare.
Avviato dall’IRCCS (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) “Eugenio Medea” di Bosisio Parini (Lecco), con la collaborazione dell’Istituto Superiore di Sanità (Reparto valutazione servizi – Laboratorio di Epidemiologia – Roma), del Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione della Facoltà di Psicologia de “La Sapienza” di Roma, del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Cagliari, dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria per l’Infanzia e l’Adolescenza del “S. Paolo” di Milano, dell’AUSL di Rimini, e dell’IRCCS “Stella Maris” di Calabrone (Pisa), il progetto PrISMA intende condurre “una serie coordinata di indagini epidemiologiche relative ai disturbi mentali in età preadolescenziale in un contesto urbano e metropolitano, in differenti regioni italiane, […] che consenta una precisa comparazione dei tassi di prevalenza, dei fattori di rischio per lo sviluppo di tali disturbi, dei fattori genetici correlati” (cfr. www.emedea.it/news/contenuti/prisma.pdf).
Uno dei punti di forza di questo studio epidemiologico risiede proprio nella ricerca di una influenza genetica sul comportamento, tanto che si dichiara “particolarmente importante in un campione seletto di soggetti condurre una correlazione tra strutture genetiche significative e comportamenti analizzati”. Il “campione seletto”, è bene precisarlo, è individuato a partire da una “popolazione target costituita da tutti i preadolescenti, di nazionalità italiana, di età compresa tra i 12 e i 14 anni, residenti nelle aree urbane e metropolitane, che frequentano le scuole medie inferiori” e, in sostanza, comprende “circa 3600 soggetti – selezionati attraverso i registri delle scuole medie inferiori – rappresentativi della popolazione target”.
Le analisi genetiche da condurre sul campione selezionato saranno realizzate secondo una particolare procedura: “Verranno reclutati tutti i probandi i cui genitori forniranno consenso scritto e informato alla partecipazione alla fase di ricerca genetica. […] Sul DNA estratto dalle cellule di sfaldamento della mucosa orale (sciacquo orale) o dai linfociti di questi soggetti verranno poi condotte le analisi genetiche molecolari […]”.
Gli obiettivi perseguiti vanno molto al di là di una semplice ricerca sulla “Prevalenza dei disturbi mentali in una popolazione urbana dei preadolescenti e associazione tra assetto genetico e comportamento”, come recita il titolo ufficiale del progetto PrISMA. Infatti, è esplicitamente affermato che “il campionamento di una popolazione seletta e la susseguente analisi genetica potrà costituire il primo step per futuri studi longitudinali sull’evoluzione delle malattie mentali, contribuendo a nuove conoscenze inerenti la patologia psichica anche dell’adulto”.
Ma torniamo ai docenti. Quelli della scuola media inferiore sembrano destinati ad essere sempre più impegnati a mettere a disposizione di illustri psichiatri i registri di classe, a chiarire ai genitori cosa si intenda con “consenso scritto e informato”, a smaltire i bicchieri di carta nei quali verrà raccolto lo “sciacquo orale”. Per quelli delle superiori le cose non vanno meglio: oltre ai blitz già ricordati, dovranno, infatti, imparare a destreggiarsi con il tampone. In Lombardia, infatti, il Vice Presidente regionale Prosperini (AN) ha già presentato un progetto di legge volto a rendere obbligatorio un controllo periodico antidroga da svolgersi nelle scuole superiori mediante tampone salivale, il “Cozart Rapid Scan”. Sempre al tampone, non obbligatorio, ma “consensuale” – laddove per “consenso” si deve intendere ovviamente quello della famiglia e non del diretto interessato – ha deciso di far ricorso anche l’Assessore Regionale all’Istruzione e alla Cultura del Veneto Serrajotto (Lega Nord) (cfr. G. Bettin, La sindrome di Orwell, in “fuoriluogo”, cit. p. 8).
Non c’è da meravigliarsi, quindi, se per discutere sul tema “Disagio giovanile e dispersione scolastica”, il Ministro dell’Istruzione, Letizia Moratti, abbia convocato, all’inizio di ottobre, per un incontro non ufficiale, i suoi omologhi europei nella comunità di San Patrignano.
La San Patrignano di Vincenzo Muccioli che, come ben sanno anche i modernizzatori-Per-passione-neo-craxiani, fu una importante meta craxiana è stata, anche, una delle prime mete del secondo governo Berlusconi.
Proprio da San Patrignano, il 27 ottobre 2001, il ministro Moratti, attorniato da Gasparri, Maroni, Sirchia, Buttiglione, nell’ambito del meeting di Rainbow – International Association Against Drug, presentò il progetto E.N.J.O.Y. (European Network for a Joint Organization of the Youth).
Fu in quell’occasione che il Ministro della Salute, Gerolamo Sirchia, annunciò le modifiche della legge 444 sul volontariato, destinate a coinvolgere il Servizio per le Tossicodipendenze (SERT): “Per curarsi non è necessario andare al SERT – affermava il ministro. Ci sono comunità che danno garanzie precise. Questo non significa punire i SERT: vuol dire che non debbono avere l’esclusiva del trattamento e dell’indirizzo terapeutico” (cit. in J. Meletti, Moratti: “Banca del tempo per tutelare i ragazzi”, in “La Repubblica” 28.10.2001). Sirchia sfruttava, nella sua proposta, una peculiarità della legge 162/1990 che, pur riconoscendo al SERT un ruolo importante nel trattamento farmacologico delle tossicodipendenze, non gli attribuisce particolari competenze per trattamenti e recuperi in regime residenziale. In questa zona d’ombra possono, quindi, intervenire le “comunità che danno garanzie”, per usare le parole del Ministro. Naturalmente, come evidenziato da Luigi Benevelli nella sua articolata critica della Proposta di legge Burani-Procaccini: “Le comunità, tutte affidate a soggetti privati, a garanzia della qualità dei trattamenti, dovrebbero rispondere ad alcuni standard quali la presenza di operatori laureati, ma a tali disposizioni le comunità carismatiche alla San Patrignano si sono sempre fortemente opposte perché la garanzia è data dal carisma del leader, non dal valore di una equipe multiprofessionale” (L. Benevelli, Una “psichiatria correzionale”, in “Fogli di Informazione”, n. 194, luglio-settembre 2002, p. 12).
Ciononostante è proprio al modello San Patrignano che Sirchia pensava in perfetta sintonia con il ministro Moratti, che agli operatori di quel tipo di comunità vuole addirittura riconoscere, con il progetto E.N.J.O.Y. un ruolo attivo anche nelle scuole, nelle vesti di tutor degli studenti compresi nella fascia d’età 13-18 anni.
Finanziato con 13 milioni e 370 mila euro, E.N.J.O.Y prevede l’apertura fra il 2003 e il 2004 di venti “centri di aggregazione”, dislocati nelle scuole site nelle aree urbane a maggiore emergenza sociale e posti sotto la responsabilità di operatori provenienti dal privato. Per quanto riguarda le risorse umane coinvolte nel progetto, infatti, una nota ministeriale parla di “60 insegnanti, 320 operatori volontari, 120 operatori del privato sociale tra i quali il responsabile e gli educatori di ogni singolo centro di aggregazione”. Il “privato sociale” coinvolto nel progetto è costituito, oltre che da San Patrignano, dall’ENAIP (ente dell’ACLI impegnato nella istruzione professionale), dalla Compagnia delle Opere, dal CSI (ente riconosciuto dalla Conferenza Episcopale come associazione ecclesiale), e da due associazioni fortemente legate a San Patrignano: la genovese ANGLAD che nei suoi dieci anni di vita ha inserito più di duecento giovani a San Partrignano, e la veneta AGARAS, che nei programmi di recupero di San Patrignano ha inserito oltre mille persone in quattordici anni.
Ritenendo evidentemente il mondo della scuola incapace di farvi fronte, il Ministero dell’Istruzione ha deciso di appaltare ai privati la lotta al disagio e alla dispersione scolastica.
Tutto ciò era, del resto, prevedibile ripensando alla carriera professionale di Letizia Brichetto Arnaboldi Moratti. Una carriera nella quale emergono, da un lato, spiccate attitudini per la gestione dei rapporti pubblico/privato e, dall’altro, approfondite conoscenze del fenomeno della tossicodipendenza. Per quanto riguarda il primo aspetto è, infatti, importante ricordare che, dopo essere stata presidente della RAI dal 1994 al 1996, assumendo la carica di Presidente e Amministratore delegato della News Corp Europe, riuscì a realizzare, fra il 1998 e il 1999, un significativo piano di espansione del gruppo Murdoch. Mentre, per quanto attiene al secondo aspetto, occorre ricordare che dal 1996 è membro del Comitato Direzione Rainbow-International Association Against Drug e che dal 2000 è Ambasciatore dell’ONU per la sezione Droga e Crimine. Quando nel 2001 venne scelta da Berlusconi, Letizia Moratti aveva, quindi, tutte le carte in regola per diventare Ministro dell’Istruzione della Repubblica Italiana.
Da brava manager, quando la sua esperienza governativa sarà felicemente o infelicemente conclusa, potrà tornare ai suoi tanti impegni nel mondo della finanza internazionale; le cose, purtroppo, andranno diversamente per i docenti che si apprestano a sperimentare sulla propria pelle gli effetti delle sue iniziative di riforma.
Una buona parte delle possibilità di carriera che questi docenti si troveranno dinanzi varieranno fra quelle di docente-da-guardia-raccoglitore-di-sciacqui, docente-da-guardia-tamponatore-coercitivo, docente-da-guardia-tamponatore-autorizzato, docente-da-guardia-accompagnatore-pomeridiano-di-tutor-privato/sociali, e male che vada si potrà sempre aspirare ad essere assunti, ovviamente a tempo determinato, per lavori di piccola manutenzione a San Patrignano.
Siamo di fronte all’autentico trionfo della flessibilità.