Creatività e normazione nella società controllata
di Ilia Binetti

“Siedo e leggo un poeta. Nella sala c'è molta gente, ma non si avverte. Sono nei libri. A volte si muovono tra le pagine, come persone che dormono e si rigirano tra due sogni. E' bello stare in mezzo a uomini che leggono. Perché non sono sempre così?”

R. M. Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge: autoritratto del poeta da giovane

A fronte della frammentazione alla quale è sottoposto l’individuo moderno, la biblioteca rappresenta il luogo unificante ove è possibile l’accesso ai documenti, seguendo percorsi tracciati in modo ragionato ma non prescrittivo.
L’utente porta con sé un bisogno di solitudine che si esprime nel dialogo individuale con lo scritto e con l’informazione, e nel piacere di condividere il sapere e la cultura con gli altri. L’intimità collettiva che si crea tra gli habitués di una biblioteca scandita dalla dolcezza del fluire di momenti di piacevole concentrazione susseguentisi con ritmo lento e naturale, è in contro tendenza con la contrazione del tempo che la società odierna impone, inseguendo spasmodicamente, nell’incapacità di fermarsi a pensare, mete senza senso. La biblioteca, testimonianza della memoria storica di una comunità, luogo di accesso democratico al mondo della conoscenza e dell’informazione, centro dello sviluppo culturale e civile della società, in quanto spazio pubblico del sapere, contribuisce alla formazione degli individui, favorendo liberi approdi sui lidi della autonomia intellettuale e della critica. Attraverso l’insieme dei servizi esprime una proposta intellettuale che offre potenzialmente accesso a collezioni diverse per pubblici diversi.
L’esigenza del capitale di gestire il processo produttivo e controllare la produzione dell’impresa globale ha fatto nascere la “mistica” della qualità che si è esplicitata in “norme” e “codici organizzativi”. Attraverso un Sistema qualità che è codificato da norme della serie ISO 9000, la struttura organizzativa e il processo produttivo sono ‘confezionati’ per essere successivamente sottoposti a controlli di certificazione da parte di organi designati, affinché al “committente” sia garantito che le prestazioni del “fornitore” rispondano alle esigenze espresse. Questi modelli organizzativi si basano su tre principi fondamentali: 1) dichiara ciò che fai; 2) fai ciò che hai dichiarato; 3) documenta che lo hai fatto.
ISO, International Standard Organization è un’organizzazione privata internazionale alla quale afferiscono gli organismi di standardizzazione nazionali che sono promossi e controllati prevalentemente dalle organizzazioni confindustriali di ogni singolo paese. La filosofia ISO ha introdotto negli ultimi decenni nella rete della “fabbrica virtuale” una organizzazione del lavoro “mistica” basata sulla qualità industriale e commerciale appaltata, normata e certificata e di conseguenza sottratta alla “critica” delle organizzazioni di difesa del lavoro.
Nei primi anni Novanta in Italia, un atteggiamento di sfiducia nei confronti della macchina amministrativa statale, ha consentito, per legge, al cittadino/utente di avere un ruolo di pressione nei confronti della pubblica amministrazione utilizzando un modello relazionale precostituito utenti/servizi. Attraverso il riconoscimento dei diritti degli utenti e l’attivazione di Carte dei servizi, la pubblica amministrazione, avviata verso un progressivo processo di privatizzazione, si è indirizzata, nell’erogazione dei servizi, verso la strada della competitività. Il cittadino/utente è diventato cittadino/cliente in possesso di strumenti di valutazione, critica e risarcimento tipici del mondo del “mercato”. E’ stata introdotta la pratica della gestione dei processi organizzativi nel rispetto delle norme ISO per il conseguimento di standard di qualità. Nessuna istituzione pubblica è stata risparmiata comprese le istituzioni culturali e tra queste le biblioteche. Qualità, management, marketing, benchmarking, user satisfaction sono tranquillamente penetrati in ambienti bibliotecari per giustificare l’esistenza dell’istituzione e continuare a considerare l’opportunità della sua utilità.
Il movimento per la qualità in azienda nasce in Giappone ed è rivolto specificatamente alle industrie manifatturiere. Mira a razionalizzare il processo produttivo e a misurare il grado di soddisfazione del cliente rispetto al prodotto per poter intervenire a posteriori e migliorare sia il servizio che il processo di erogazione. La qualità del servizio rappresenta una variabile strategica all’interno dell’azienda.
Per realizzare un Sistema qualità (SQ) esistono varie tecniche e modelli operativi prevalentemente importati dagli Stati Uniti.
La qualità può essere ‘normata’ o ‘totale’. Se la ‘qualità normata’, basata sul rispetto di regole predefinite, rischia di essere schiacciata sulla situazione del momento, vale a dire l’organismo che fornisce il servizio può garantire la qualità solo in funzione del superamento dell’esame per ottenere la certificazione, la “qualità totale” estende la qualità oltre che al prodotto e al servizio anche al processo che li genera, proponendosi come strategia organizzativa. Spostando l’accento sul processo, scompare la variabile profit/noprofit, permettendo l’utilizzo del modello anche in strutture di servizio come la biblioteca: la strategia organizzativa si realizza attraverso la promozione dello sviluppo delle capacità creative e propositive delle persone (risorse umane), previa definizione di alcune priorità. Partendo dall’assunto che solo ciò che è misurabile è valutabile e solo ciò che è valutabile è migliorabile, se ne deduce che perché ci sia miglioramento continuo della qualità ci deve essere miglioramento continuo dei processi organizzativi e di gestione, che utilizzano, in tutte le funzioni dell’organizzazione, tecniche di controllo, quali quelle del controllo statistico di qualità.
Norme ISO, standard, indicatori di prestazioni, mirando alla qualità del servizio, tentano di definire criteri quantitativi nella valutazione di situazioni in cui la qualità non solo va perseguita e attuata, ma nei quali la qualità è insita nel ruolo stesso che l’’istituzione biblioteca’ riveste. Essendo la biblioteca il luogo fisico in cui una raccolta documentaria testimonia la memoria del passato, la creatività, lo spirito critico, tout court il pensiero di coloro che ci hanno preceduto, ed essendo la biblioteca il luogo deputato a mettere a disposizione del presente questa ricchezza, ad incrementarla, a valorizzarla e a proiettarla nel futuro, si evince come l’opportunità offerta senza condizioni di poter disporre di una simile possibilità, sia di per sé una qualità dinamica per tutti.
Ogni cittadino incontrando nel suo ambiente una biblioteca dovrebbe reputarla un luogo sacro ma abituale al quale avvicinarsi per nutrire il proprio spirito, svincolato da qualsiasi interferenza e condizionamento. La biblioteca rappresenta in una società il luogo deputato a “navigare” senza confini, senza limiti, aperto agli stimoli più impensati, nella libertà di poterli cogliere o meno, al di là di ogni giudizio. Soddisfare questa condizione allora significa cogliere il ‘valore’ insito nell’offrire all’utente un tale vantaggio e attrezzarsi, attraverso il miglioramento di tecniche e procedure, perché il risultato non si arresti alla ‘soddisfazione’ momentanea dell’utente, ma sia la formazione di una forma mentis dell’uomo basata sulla creatività e sullo stimolo alla ricerca. A tal fine all’utente va riconosciuta la dovuta centralità, non per inquadrarlo, orientarlo, dominarlo oserei dire, ma quale beneficiario di un servizio per il quale la biblioteca vive.
La complessità e l’imprevedibilità che sono insiti nella struttura dell’istituzione rendono improponibile il suo incasellamento in operazioni quantificabili. Qualsiasi intervento migliorativo non può prescindere dalla ricerca del suo statuto ontologico dal quale soltanto è possibile estrapolare alternative teoriche creative. Emerge una visione stratificata del soggetto in questione: entità dinamica e mutevole. Alla complessità della società e alla multiforme espressività dell’esistente non può adeguarsi un linguaggio, o uno schema di lettura riduttivo e schematico, pena la riduzione ad un solo canale interpretativo e quindi propositivo. Il linguaggio, come lo stile teoretico che lo sottende, deve adeguarsi al sistema reticolare della società e del mondo della comunicazione per non rimanere escluso dalla possibilità di esprimere il presente e poter intervenire su di esso. Eliminare il dualismo di contenuto e forma e “apprezzare” la dinamicità insita nel movimento incessante presente fra i due invita ad una visione che esclude la competitività. Una rete di connessioni delinea una visione non binaria che elimina posizioni di supremazia. Un insieme ampio e complesso di possibili interconnessioni rende ragione della rete di forze in gioco. Poiché “pensare è vivere ad un livello più alto, a un ritmo più veloce, in maniera multidirezionale”,(1) sembra oltremodo riduttivo incasellare il pensiero in un’unica costruzione, verso una società blindata, anziché proiettarlo nelle molteplici direzioni dell’esperienza.
La creatività rende plausibile interventi diversi, linee di fuga verso elementi sempre in movimento che si compongono per poi scomporsi e ricomporsi altrove. Si rende necessaria una maggiore creatività concettuale e non una codificazione esasperata. Parlare di competitività nel mondo culturale, vuol significare livellare tutto a uno stadio misurabile e controllabile, a scapito della diversità tra le strutture, diversità che è sintomo di molteplicità quindi di occasioni diverse dalle quali può nascere la “qualità culturale” che è un concetto non facilmente afferrabile in una definizione, ma che sta a garanzia del rispetto della pluralità delle manifestazioni. Essere diversi, o proporsi diversamente significa necessariamente valere meno? A una visione negativa della biblioteca come organismo non più adatto ai mutamenti in atto, attraverso la puntualizzazione teorica è opportuno contrapporre una visione positiva del suo valore e della sua dinamicità intrinseca, “in quanto entità pienamente immersa in rapporti di potere, conoscenza e desiderio”.(2)
Le problematiche inerenti al campo della misurazione e valutazione esigono un approfondito esame dei presupposti teorici su cui poggiano.
Misurare e che cosa appaiono domande superflue solo a chi ha acriticamente abbracciato una determinata visione del servizio, oltrepassando i limiti di un uso strumentale di proposte che hanno la loro validità operativa in contesti che si attestano su basi prevalentemente quantitative. Usando termini che appartengono a mondi dominati dalla produzione materiale, dal controllo del prodotto e dal controllo del mercato per la distribuzione del prodotto stesso, entriamo in una dimensione in cui la cultura diventa un’azienda, il rapporto con il territorio inficiato da interessi materiali, lo scambio con le altre strutture contaminato dall’idea della concorrenza, la paziente ricerca della propria formazione culturale una corsa contro il tempo alla ricerca del luogo più vantaggioso e più all’avanguardia per raggiungere in breve tempo il risultato migliore.
Il risultato etico di questa impostazione è un clima concorrenziale nel quale il migliore vince, anziché un cultura del soddisfacimento di tutti i possibili mondi individuali in un clima di massima disponibilità e collaborazione che vede l’attivazione di ogni sorta di ingrediente atto a soddisfare la complessità della società multietnica in cui viviamo.
Nel prevenire i gusti del cliente/utente partiamo da presupposti dati e da realtà conosciute. E per culture diverse siamo attrezzati? In un flusso continuo di interazioni è possibile fissare in un sistema le variabili che appartengono all’universo culturale senza escludere il non-conosciuto, il non-codificato?
Una precisa tendenza mira a rendere la mente umana sempre più simile alla macchina, semplificandone il funzionamento sino a renderlo simile al codice binario tipico delle macchine elettroniche. A cominciare dalla nascita programmata in ambienti rigorosamente ospedalieri, il corpo/organismo del neonato assume il ruolo di “qualcosa” di cui doversi preoccupare perché entri a pieno titolo nel novero dei ‘soggetti controllati’. La sua crescita è pervasa da un ‘interessamento’ costante, inibente forme di creatività e di desiderio estensibili in zone temporali fluide e autonome. Questa operazione scrosta le pareti mentali da ogni addentellato o aggregato che rappresenti nodi problematici e appiattisce il movimento del pensiero incanalandolo su una linea a mala pena sinuosa destinata ad esaurirsi. E’ su queste premesse che è possibile attuare strategie di intervento capaci di monitorare ogni processo attraverso una politica di riduzione dei soggetti a “variabili controllabili”.

1) Rosi Braidotti, In metamorfosi. Verso una teoria materialista del divenire, Milano, Feltrinelli, 2003, p. 19.
2) id., p. 16.

gennaio - aprile 2004