È in terra salentina che si devono cercare, per quest’anno, i migliori progetti di interazione tra arte contemporanea e territorio. Una terra che d’altronde mostra i segni di una rinascita culturale cominciata con la musica delle origini, la taranta, recuperata e reinventata fino a farne un prodotto doc, esportato e apprezzato ormai ovunque con il quale si è tentato di rivitalizzare un’identità locale scossa dai venti della globalizzazione.
Quest’estate a Cursi è partito il laboratorio On che sta per Osservatorio Nomade, un progetto etno-antropologico in progress, nato per il Salento, terra di approdi e crocevia di culture diverse, per riunire le memorie di popoli e persone in fuga, riannodandone le tracce recuperabili nel territorio. Materiali iconici, brevi scritti di persone costrette a transitarvi sono stati suggellati sulla pietra leccese in un’esposizione di ‘chianche’ di pietra leccese, divenute, per l’occasione, pesanti ed indelebili supporti per trascrivere le testimonianze e i racconti di quanti hanno voluto raccontare la propria storia. L’idea successivamente è di collocare le pietre in un percorso a cielo aperto sull’asse viario Appia-Egnatia, la rotta che, attraverso il canale d’Otranto, collegava Roma a Costantinopoli, per secoli scenario di diaspore tra armeni, curdi, ebrei e recentemente anche luogo di passaggio per albanesi, rumeni e slavi, nonché terra di conflitti etnici e religiosi. Coadiuvato dal gruppo romano Stalker, ogni narratore ha a sua disposizione una pietra su cui trasferire la propria biografia e un punto a sua scelta del percorso in cui collocarla. Dopo la posa delle pietre, che non marcano distanze ma definiscono identità altrimenti sconosciute, sarà disponibile la mappa completa dell’installazione, una sorta di monumento alle molte radici dell’Europa.
Più legato al genius loci è invece il progetto InItinere, promosso come On dalla Provincia di Lecce, che ha visto coinvolti, in agosto scorso, ventuno artisti distribuiti in undici comuni del Salento e impegnati a rendere visibili e concreti i racconti e le memorie conservate in questi paesi. Si sono intrecciate relazioni con gli abitanti divenute in alcuni casi vere e proprie esplorazioni antropologiche, come nel caso dell’artista greca Maria Papadimitriou che a Starnatìa, comune della Grecìa salentina, dopo essersi accorta di poter comunicare con gli indigeni direttamente nella sua lingua, il greco, ne ha registrato i canti tradizionali e se ne è servita per un’installazione collocata nel locale chiostro domenicano. Il visitatore guidato da un tappeto rosso poteva interrompere o attivare i canti mentre si avviava a percepirne le sedimentazioni, caduche e intermittenti come il suono artificialmente riprodotto.
Un altro canto, quello dei minatori, si elevava dalle pietre dell’antico ipogeo di Barbarano, un ricordo affiorato da un luogo offeso da una forzata emigrazione nelle miniere di carbone del Belgio. Gli artisti milanesi Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrino hanno raccolto le testimonianze dei sopravvissuti per farne la traccia narrativa in un percorso nelle viscere della terra dove l’ipogeo simulava la discesa nella miniera. Il visitatore ne impattava l’oscurità appena rischiarata da un lume a petrolio messo a disposizione e si inoltrava nelle storie sofferte dei minatori sussurrate da
discreti altoparlanti nascosti nel buio delle pareti.
Sul ponte di Gallipoli invece i lampioni si sono illuminati con strani bagliori. Si è trattato di un intervento di Alberto Garutti che li ha collegati con il reparto maternità degli ospedali della zona. Nient’altro che la traduzione letterale del venire alla luce per un evento salutato dall’intera collettività. O ancora sono state prodotte cartoline tuttora in vendita nei negozi locali, firmate da Costanze Unger, atipiche perché non mostrano bellezze ma solo il colpevole degrado perpetuato ai danni di una terra così generosa.
Solo un inizio dunque ma sicuramente un esempio da seguire in linea con una politica di marketing territoriale finalizzata con solo alla riappropriazione di marcatori d’identità collettiva, utili a ricostruire un minimo di tessuto comunitario in tempi di globalizzazione, ma evidentemente anche un lungimirante investimento sul piano turistico.