Mi accingo a scrivere alcune cartelle sui problemi dell'America Latina, particolarmente su quelli del Brasile, quando mi giunge una grande notizia: Argentina e Brasile si sono sedute assieme per discutere seriamente della possibilità di sfruttare congiuntamente le risorse ittiche di entrambi i paesi.
Il progetto non sarebbe confinato ai due stati: stanno lavorando perché, nel prossimo futuro, l'Uruguay si unisca in questa impresa che esporterebbe nel mondo la produzione peschiera delle tre nazioni sudamericane.
Secondo José Fritsch, ministro della Pesca e degli Alimenti del Brasile, nel paese si producono annualmente quasi 990 mila tonnellate di pescato. Se aggiungiamo questa quantità a quelle prodotte dall'Argentina e dall'Uruguay, parliamo di una impresa lucrosa in tutti i sensi che svilupperebbe l'economia di questi stati.
Questo è il cammino da seguire per i paesi dell'America: unioni, alleanze, obiettivi comuni, solidarietà.
Però… l'America conosce soltanto rivoluzioni incompiute. Rivoluzioni iniziate con grandi ambizioni e calpestate dallo “stivale nordico”. Per esempio: il Cile. Non c'è più nulla da dire. Qui deambula Augusto Pinochet trascinando le sue migliaia di morti senza che la giustizia abbia potuto alcunché contro questa ignominia.
Chi conosce la storia dell'America sa che gli Stati Uniti e le sue grandi società sono legate alle penurie del continente. La ricchezza del sottosuolo americano è l'obiettivo della cupidigia dello Zio Sam. Le stragi impietose dei lavoratori, i colpi di stato, il crollo dei governi democratici, tutte hanno il marchio “Made in USA”. Le miniere di ferro, manganese, nichel, oro, piombo, argento, zinco, rame, bauxite, ecc. e, per ultimo, il petrolio, sono finite nelle mani delle compagnie nordamericane che con l'appoggio del proprio governo e della CIA hanno massacrato impunemente le popolazioni del Sud e posto e deposto a proprio piacimento i suoi governanti, come burattini, allo scopo di ottenere accordi economici che beneficiano unicamente gli interessi yankees.
Consideriamo, per esempio, il caso della bauxite. La Guyana è il quarto produttore a livello mondiale di questo minerale e il terzo in America Latina di manganese… Già! Permettetemi di ridere… Nonostante la sua ricchezza, la povertà dilaga in questo paese. Dal canto suo gli Stati Uniti ne possiedono molto poco di questo minerale così necessario per la loro economia di guerra. Così che, senza scrupoli, nel 1964 provocarono la caduta del governo socialista di Cheddi Jagan e assicurarono lo sfruttamento minerario a prezzi risibili a favore della Aluminium Company of America. Gli Stati Uniti, con questo semplice sistema da uccello predatore, senza possedere nel proprio territorio sufficiente bauxite, sono uno dei maggiori produttori di alluminio del mondo. Loro sono i ricchi e la Guyana continua ad essere povera, poverissima.
L'esempio appena citato è storia giornaliera in America del Sud. Un continente più o meno ricco di risorse quanto il suo vicino del nord. Milioni di occhi ora guardano al Brasile, così come seguono da vicino i progressi del Venezuela e dell'Argentina. Il mondo intero segue con attenzione gli eventi, particolarmente i popoli d'America che proiettano in Lula le proprie rivendicazioni a breve e lungo termine. Il gigante addormentato si sveglia guidato da un presidente di idee socialiste – mi ricorda di Allende in Cile – accadrà lo stesso per Luiz Inácio Lula da Silva?...
Lula, ex operaio metallurgico e dirigente politico di sinistra, fondatore nel 1980 del Partito dei Lavoratori e della Centrale Unica dei Lavoratori nel 1982, è stato eletto presidente del Brasile da 52 milioni di elettori, ovvero il 61% dei voti, lo scorso 27 ottobre.
Per la prima volta, un operaio da sempre, che da bambino faceva il lustrascarpe, ha raggiunto per mezzo di elezioni democratiche la più alta carica del paese superando il candidato dell'ufficialità, José Serra.
Il nuovo presidente si fa carico di un Brasile che ha sofferto per otto anni il disastro economico frutto del governo neoliberale diretto da Fernando Henrique Cardoso. Questo modello economico è servito unicamente a radicare ulteriormente la povertà, la disuguaglianza, la disoccupazione e la perdita della terra a danno dei piccoli agricoltori. Il latifondismo unito al modello neoliberale, assieme all'esproprio delle ricchezze naturali in favore delle società straniere, sono la causa principale dell'estrema povertà e dell'abbandono del lavoro rurale.
Lula affronta un Brasile decimato, di cui è prioritario scuoterne le vecchie strutture e cominciarne la ricostruzione. Nonostante sia la decima potenza economica mondiale, sul suo territorio di 170 milioni di abitanti, 44 milioni sono poveri. E' veramente troppo. Il 25% della gente sopravvive appena alla giornata. Tuttavia, questo popolo sofferente, detto dei “cartoneros”, che cerca nella spazzatura degli altri di che sopravvivere, sa dar esempi gloriosi come quello di inviare tonnellate di alimenti agli affamati di Tucumán in Argentina. Loro, che non hanno nulla danno tutto a quelli che hanno bisogno. Allo stesso modo, questa gente priva di tutto, senza terra, non ha avuto paura di votare la propria unica speranza: Lula.
La presenza di Lula e dei suoi progetti nei diversi incontri latino-americani hanno richiamato l'attenzione sulle nuove idee da lui proposte. Lula è diventato l'uomo più ascoltato d'America. Durante lo scorso vertice del Mercato Comune del Sud – MERCOSUR – (stati membri: Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay; associati: Bolivia e Cile. Si spera nel prossimo ingresso, tra poco, di Perù, Ecuador e Venezuela) il suo messaggio è stato molto chiaro: la creazione di una zona di libero commercio tra i paesi che compongono la Comunità Andina delle Nazioni (CAN) (costituita da Bolivia, Perù, Colombia, Ecuador, Venezuela e il MERCOSUR) e la creazione di un parlamento comune del MERCOSUR eletto con voto diretto che darebbe contenuto politico all'organizzazione. Inoltre, ha insistito sulla necessità dell'“Obiettivo 2006” che prevede la eliminazione delle barriere commerciali nella regione.
Lula desidera un MERCOSUR con più potere decisionale e politico per contrastare la proposta nordamericana dell'Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA) che dovrebbe partire nel 2005, anche se gli stati sudamericani non fossero concordi nell'accettarla così com'è strutturata. Il presidente brasiliano mette in rilievo le grandi differenze economiche tra i paesi latino-americani e gli Stati Uniti e l'assenza nel piano di meccanismi di transizione e compensazione a favore delle economie meno sviluppate. L'ALCA pretende di raggiungere un mercato di 34 nazioni americane – escludendo Cuba (chiaramente) – a beneficio del commercio gestito da Washington e considerato da molti un piano di annessione e di ricolonizzazione da parte degli Stati Uniti. La CAN ha espresso il suo appoggio a Lula circa la creazione di un blocco duro sudamericano per negoziare con forza l'ALCA.
Mentre il MERCOSUR negozia nuovi trattati economici con la Comunità Europea e con l'India (si è firmato un accordo con quest'ultima che consentirà la creazione di una zona di libero commercio e rotte marittime al fine di raggiungere un maggiore interscambio commerciale nel settore dell'informatica e della chimica così che, nel prossimo futuro, si arrivi ad un rapporto di cooperazione nel campo delle scienze spaziali e delle comunicazioni, tra la regione e l'India) che Lula vede di buon occhio, egli non dimentica i problemi particolari del Brasile. Da quando ha raggiunto la presidenza, ha mosso le sue pedine in favore della popolazione operaia anche se, considerato lo stato attuale dell'economia, il processo è troppo lento.
Sebbene conti ancora del sostegno del 77% del popolo brasiliano per le riforme costituzionali in materia di tasse e assistenza sociale, iniziano già le proteste di chi è in stato di bisogno e non vede chiaro all'orizzonte l'uscita dalla povertà, la possibilità di istruirsi e nutrirsi. La gente vuole vedere risultati immediati. É naturale, hanno votato per un cambiamento, per una nuova speranza. Agli spodestati, Lula ha proposto il Progetto “Fame Zero” che consiste in aiuti economici per l'alimentazione e in un piano di azione radicale per porre fine al lavoro schiavista a cui sono sottomessi migliaia di brasiliani che lavorano nei latifondi. Secondo gli esperti, 25000 brasiliani ricevono stipendi da fame perché i datori di lavoro evitano di corrispondere la paga stabilita per legge e i benefici sociali. Questa situazione è presente negli stati più poveri del paese: Pará, Tocantins, Mato Grosso, solo per citarne alcuni. Tra le sue proposte le più note: bloccare i conti bancari dei latifondisti schiavisti, confiscare i loro latifondi al fine di realizzare la riforma agraria, e condanne a pene di reclusione per chi pratica questa vergogna contro la persona.
Per “Fame Zero”, Lula ha ricevuto il sostegno economico e morale del Fondo delle Nazioni Unite per l'Agricoltura e l'Alimentazione (FAO) tramite il suo segretario generale, Jacque Diouf. La FAO offrirà aiuti tecnologici del valore di un milione di dollari a sostegno del programma. I problemi che affronta il governo di Lula non spaventano. Tutt'al contrario. Si intravede per il mese di luglio una ripresa dell'economia. E' la speranza del presidente e di tutti. Il suo impegno continua ad essere con i poveri, per i poveri, e con loro lavora. Egli sa cosa vuol dire andare a letto affamato.
Mentre scrivo, una nuova notizia mi giunge tra le mani: si scopre altro petrolio in Brasile. Ciò significa una riserva addizionale di 500 milioni di barili per un gran totale di 2100 milioni di barili di greggio.
Sulla mia scrivania risalta una foto che riprende Lula assieme Bush a Washington… entrambi sorridono… il pescecane affila i denti....