Dino, hai sempre considerato la tua vita una lotta per l'autodeterminazione, una resistenza. Hai cominciato da ragazzo, contrapponendo una profonda sensibilità e capacità di comprensione a modelli che concepivano ancora la politica come obiettivi solo concreti.
Poi, e comunque, un iperattivismo politico, sempre più intenso, fino a farti lasciare due buoni posti di lavoro (alla Biblioteca di Bari e poi al Ministero) per battaglie sociali ed ambientali – contro la militarizzazione e contro le centrali a carbone, tra le altre, insieme a Tonino Bello, in Puglia –, fino a dover smettere rapporti sentimentali – che pure non sono finiti mai -, fino a tormentarti nel corpo, normalmente senza sonno, sempre su treni, con scarso cibo, negli ultimi decenni completamente coinvolto nei drammi dell'immigrazione e dei kurdi.
Ma senza perdere mai la tua enorme umanità. Avevi così tanto essere, potevi trascurare il surrogato dell'avere.
Hai sofferto, ma per scelta; scelte difficili in astratto da accettare, ma poi umanamente davi tanto che si restava presi, era spontaneo farlo e anzi partecipare. Scegliere, andare contro modelli dominanti, controcorrente, stemperarti nella realtà, anche entrare in conflitto pur di trovare la relazione tra esseri umani; hai sempre detto di aver trovato non un momento a parte ma lo sviluppo della tua umanità occupandoti di problemi sociali: rapporti intensi, amicizie profonde, amore. Per te il '68 non è stato un sogno dei vent'anni da conservare seccato in un cassetto, l'hai sviluppato, senza cambiarlo affatto nell'essenza, da adulto: sei un raro frutto maturo del '68. A volte eri stupito di questa rarità, ma non cambiavi e poi ci siamo accorti che avevi sviluppato una tale qualità e quantità di relazioni fatte di profonda umanità che ti eri realizzato pienamente e in maniera straordinaria.
Anche la malattia e la sofferenza non sono riuscite a sopraffarti, hai scelto di non lasciare opprimere la tua personalità; disumanamente magro e debole, come gli scioperanti della fame da mesi e mesi, per la chemioterapia, continuavi a lavorare intensamente, a scrivere, a parlare con le tante persone che ti cercavano, lottando contro le febbri altissime notturne per l'infiammazione da tumore epatico: lottavi, con tutta la tua adesione alla vita. Così sei stato presente con quell'intensissimo dialogo fatto della carezza della sola mano che potevi ancora muovere, semi-muto, negli ultimi venti giorni, dopo il nuovo e più terribile colpo, il rarissimo ictus tumorale. Negli ultimi giorni non potevano più alimentarti né darti da bere con le flebo, non riuscivano a trovarti le vene, erano esauste, soffrivi. Eppure, con un incredibile sorriso non triste, ma felice, hai saputo godere delle ultime ore: hai chiesto a tua madre, sola presente in ospedale quella notte come per un istinto, di cantare e lei è riuscita a farlo con serenità; forse.
Quel sorriso, Dino, che ti è rimasto impresso palpitante anche nella camera ardente e che tutti quelli che ti hanno potuto vedere scoperto hanno notato, era della dolcezza felice dei vent'anni (non te lo vedevamo così da tempo) ed è in assoluto contrasto con un tuo allontanamento. Hai scelto di vivere una vita difficile e controcorrente ma di una rara realizzazione umana; hai lottato e scelto anche lì, hai affermato sulla malattia lo spirito della vita. Hai negato il concetto di fine, hai vinto tu con la tua indipendenza: non ti ha sopraffatto, non gliel'hai permesso.
Quel sorriso comunicativissimo e felice, eternità laica, dice: “sono presente, ci sono”. Inverarti nella maniera più ampia nella realtà non ti dispiaceva: quale forma più grande di socialità dell'immensità?
La luce di una stella arriva dopo milioni di anni dalla fine della sua fonte. Eppure per noi quella è la stella. Ed è solo un riflesso, un'illusione? In effetti no, è energia luminosa, propagazione dell'astro, di quell'entità. Si può dire inesistente, anche oggettivamente, una persona che pure solo con il ricordo riscalda il cuore di sensibile umanità?