I cattolici e la politica
di Giuseppe Cannizzaro

Sarebbe stato più semplice, affrontando in un breve contributo il tema arduo del rapporto fra i cattolici e la politica, rivolgermi agli scritti di Mons. Bello e riflettere sulle sue parole; poi ho pensato di rileggere alcune lettere di Giorgio La Pira, dal momento che il nostro compianto vescovo interpella quel grande testimone del suo tempo con particolare affetto, tanto da tenerlo come fonte di pregio per i suoi scritti sulla politica e sulla pace.
Quando, ad esempio, svolgendo il 25 ottobre 1988 nell'aula magna del Liceo Classico di Città di Castello una relazione sul tema Obiezione di coscienza e società, lo cita, lo fa come riferendo i discorsi di un amico con cui si ha dimestichezza e in cui si ha assoluta fiducia.
“Diceva Giorgio La Pira «Noi dobbiamo costruire la città nuova attorno alla fontana antica. Noi credenti una fontana antica ce l'abbiamo: è Gesù Cristo con la sua parola che non tramonta mai; col suo Vangelo che è veramente capace di soddisfare la sete degli uomini». Forse le pietre scavate da queste tre cave, la cava della parola, della protesta e del progetto ci aiuteranno veramente a trovare quello che cerchiamo, senza alimentare la retorica”(1)
Per questo motivo inizierò con una lettera di straordinaria semplicità e chiarezza, buttata giù di getto nel 1955, quando la Pira era il sindaco democristiano di Firenze, e indirizzata al segretario del suo partito, per dare conto della coerenza delle sue scelte politiche come primo cittadino e per schermirsi, indirettamente, dall'accusa di essere un «marxista».
“Fino a quando voi mi lasciate a questo posto mi opporrò con energia massima a tutti i soprusi dei ricchi e dei potenti. Non lascerò senza difesa la parte debole della città: chiusure di fabbriche, licenziamenti e sfratti troveranno in me una diga non facilmente abbattibile… Tutta la vera politica sta qui: difendere il pane e la casa della più gran parte del popolo italiano... Il pane (e quindi il lavoro) è sacro; la casa è sacra; non si tocca impunemente né l'uno né l'altra! Questo non è marxismo: è Vangelo! Quando gli italiani «poveri» saranno persuasi di essere finalmente difesi in questi due punti, la libertà sarà per sempre assicurata al nostro paese: e la vita della Chiesa rifiorirà nelle anime, nelle case, nelle città, nelle campagne ed in tutto il paese”(2)
L'impegno di La Pira si fondava su intuizioni, chiare e impegnative: la prima è che per il cristiano l'ingresso nella vita politica deve essere avvertito come concreta manifestazione di quell'amore di Dio verso le sue creature, che si è espresso nel modo più alto nel sacrificio del Figlio ed esige quindi la difesa ad oltranza dell'uomo, specialmente se è in stato di debolezza, poiché al tramonto dell'esistenza ognuno sarà giudicato sull'amore che ha avuto per gli ultimi fra i suoi simili. (Mt, 25, 31-46) Così come aveva operato durante il fascismo per la difesa della libertà e dei diritti della persona umana soffocati dal regime, che aveva fatto tacere, sopprimendola, la sua rivista Principi, anche da politico egli agisce in maniera semplice e drastica, sostenuto dalle virtù teologali della carità e della fede, che tengono al riparo la sua ragione dall'incapacità di cogliere i problemi reali dell'uomo ed evitano l'indebolimento della volontà che potrebbe spegnersi nel progettare e portare a compimento soluzioni al bene comune, e accompagnato dalla speranza (la stessa che l'aveva guidato nel lavoro di deputato alla Costituente) che sia possibile ideare e costruire una “città nuova”.
La seconda è che non possono essere certamente confuse ispirazione religiosa e azione politica, ma neppure essere separate, mortificando la fede in Cristo in astrazione extramondana; entrambe invece suppongono e, nel contempo, alimentano evidentemente un'acuta tensione etica, che sostiene l'impegno volto ad esplicitare, approfondire e tradurre in comportamenti concreti l'ispirazione cristiana.
Le stelle polari dell'azione politica del cristiano sono il personalismo comunitario che permea il modello istituzionale e sociale espresso dalla Costituzione repubblicana, le istanze di storicità e laicità contenute nei testi conciliari e in taluni documenti magisteriali e la solidarietà sociale
La Pira da “gestore” della “città nuova” testimonia la passione e il coraggio di una assoluta fedeltà all'uomo e una concreta aderenza alla storia, anche se per sé avrebbe operato un'altra scelta di vita. E' l'esigenza di servire il prossimo, il desiderio di essere riflesso dell'amore di Dio per l'uomo, la necessità di dimostrare che la carità va sempre posta al servizio dei poveri che lo “costringono” alla vita politica. Egli anticipa in tal senso le successive affermazioni del magistero ecclesiale che la politica è forma esigente di carità e che “la Chiesa desidera servire gli uomini anche nella dimensione temporale” (3)
Nel 1954 aveva fatto scandalo il fatto di aver concesso il parco delle Cascine per la Festa dell'Unità e per questo era stato fortemente contestato; era stata una scelta fatta per amore al suo popolo, quel popolo per il quale si sentiva, in realtà, più portato a pregare, a studiarne le motivazioni e le ragioni del suo essere un organismo sociale fondato sulla solidarietà, che non ad agire politicamente per il suo bene. I contrasti non avevano attenuato le sue convinzioni, ma l'avevano indotto a riflettere sul suo impegno nella comunità fiorentina. Scrive perciò a Mons. Dell'Acqua:
“Uomini come me non devono essere partecipi di quel mondo politico che ha ed esige – almeno si dice! – dimensioni tattiche che noi non possediamo…Non ho mai voluto essere né deputato né sindaco: mi ci hanno violentemente posto in quei luoghi, nei quali, per starci e per resisterci, ci vogliono attitudini di altro livello e di altra natura da quelli che tipi come il mio possiedono…Io non ho nessuna vocazione sociale:…se un desiderio io possiedo è quello soltanto di stare col Signore nella pace benedetta dell'orazione e della riflessione: summum quidem et perfectum bonum hominis est Dei fruitio”(4)
Eppure l'azione politica di La Pira, anche in quel difficile frangente, continuò ad ispirarsi alle due prospettive che avevano guidato la sua ricerca di studioso di diritto: la persona e la sua libertà e il corpo sociale in cui essa è inserita, che, grazie alla sua solidarietà organica e sociale, assicura ad ognuno e specialmente ai più bisognosi terreno di sviluppo e di vita. La medesima concezione era stata alla base del suo lavoro durante i lavori della Costituente. E' da concludere, allora, che esiste una naturale continuità fra la Dei fruitio e l'agire politico di Giorgio La Pira.
Nel 1958, scrivendo ad un amico, chiariva il suo essere “obbligato” a fare politica sospinto esclusivamente dall'amore per Dio che lo costringeva a difendere l'uomo, così come aveva intuito da studioso, e così a difendere la giustizia. Erano quindi gli interessi divini - così egli li chiama - “che mi fecero, giovanissimo, lasciare la famiglia ed i commerci, per la preghiera, l'apostolato, gli studi; che mi fecero scegliere, durante il fascismo, la persecuzione e l'insulto, per la difesa dei perseguitati e degli insultati; che mi costrinsero ad andare in Parlamento, dopo il crollo della nazione, come rappresentante politico dei cattolici fiorentini (e non solo di essi); che mi costrinsero ad entrare nel governo, come sottosegretario al lavoro, con Fanfani, nel periodo più drammatico della vita del paese e dei lavoratori; che mi costrinsero, nel 1951, a presentarmi candidato alle amministrative fiorentine ed a fare il sindaco di Firenze (optando per Firenze e lasciando Montecitorio); che mi costrinsero a ripresentarmi candidato alle amministrative del 1956, malgrado la mia stanchezza e la mia volontà di non presentarmi; che, infine, - ultimo anello della stessa catena – mi hanno costretto a ripresentarmi candidato in queste ultime elezioni politiche malgrado la mia volontà nettamente contraria tanto chiaramente e pubblicamente manifestata”(5)
L'unione intima con Dio appare il motore dell'azione di La Pira. Nel 1957 si rivolge alla Madre superiora di un monastero di clausura cui inviava le offerte, invitandola a pregare per lui.
“Chieda per me alla Madonna - e lo faccia chiedere alle Sue monachine – questo dono altissimo e senza pari unico dell'unione consumata con Dio (ut sint consummati in unum):perché il riepilogo e la conclusione della vita cristiana, privata e pubblica, sta soltanto in questa unione beata tra l'anima e il Signore: beatus is cui omnia unum sunt et omnia in uno videt et omnia ad unum trait”(6)
Eppure mai la dimensione dell'uomo credente ha appannato la laicità dell'agire politico di La Pira, poiché egli ha impostato i problemi propri della costruzione della “città nuova” in termini di valori accettabili e condivisi per la loro evidenza razionale e di esperienza storica (ad esempio quelli della casa come diritto per tutti e del lavoro su cui si fonda la nostra Repubblica), non già in forza della fede e della visione di uomo e di mondo che ne deriva. E' però evidente che egli è stato aiutato in questo compito dalla fede, che ha dato alle sue parole e alla sua attività politica maggiore capacità di convinzione, straordinaria coerenza e grande creatività; la sua unione con Dio e l'esigenza della carità, che devono tradursi in azione laica e non rimanere sterile flatus vocis, hanno semmai generato un metodo adeguato, poiché “la sola metodologia di vittoria è la rinunzia a se stessi, il distacco radicale dalla propria piccola sfera, l'apertura (come conseguenza di questo distacco e di questo taglio) alla sfera mondiale di Dio: gli strumenti che suggerisce l'ambizione, la colpa, la meschinità, sono strumenti radicalmente privi di efficacia politica. E' proprio un discorso sul metodo che va fatto a tutti in questo periodo storico di così eccezionale portata e responsabilità pei cristiani e per tutti!”(7).
Applicando il metodo dell'apertura alla sfera dei problemi concreti (casa e lavoro) nell'edificazione della nuova città dell'uomo, quelli di fronte ai quali la gente bisognosa non trova presidi o difesa e non può far valere nulla, La Pira riuscì a realizzare l'Isolotto, costruito durante la sua amministrazione per dare case ai più deboli fra i suoi amati cittadini fiorentini; impedì anche la chiusura della Pignone, per difendere il diritto all'occupazione dei lavoratori.
Ma nel 1954 aveva subito da parte cattolica le critiche di chi in nome delle leggi divine dell'economia metteva in discussione la sua politica sociale, con assoluta fermezza aveva perciò risposto:
“Voi avete nei miei confronti un solo diritto: quello di negarmi la fiducia! Ma non avete il diritto di dirmi: signor sindaco non s'interessi delle creature senza lavoro (licenziati e disoccupati), senza casa (sfrattati), senza assistenza (vecchi, malati, bambini)…E' il mio dovere fondamentale…Se c'è uno che soffre io ho un dovere preciso: intervenire in tutti i modi con tutti gli accorgimenti che l'amore suggerisce e che la legge fornisce, perché quella sofferenza sia diminuita o lenita…Altra norma di condotta per un sindaco in genere e per un sindaco cristiano in specie non c'è.”(8)
All'origine del movimento cattolico in Italia sono presenti due radici ben distinte: una che manifesta un carattere difensivo della Chiesa e dei suoi diritti ed un'altra tesa ad inserire nel contesto sociale, senza integralismi, un'ispirazione cristiana, ma costruendo nel contempo una polis in cui si realizzino i valori della laicità. Spesso chi aderiva alla prima accusava di connivenza con la sinistra gli assertori della “città nuova” e laica. La Pira, come s'è visto, non è stato esente da queste critiche ed ha fatto scandalo. Mi piace, perciò, concludere questo intervento con un'affermazione di Massimo Cacciari, registrata nel corso di un convegno in cui insieme ad Alberto Monticone si è dibattuto il problema della fede nella società contemporanea; La Pira è stato “folle” e pietra d'inciampo, proprio perché aveva bene in mente il grande valore - per Dio e per la sua Chiesa - di una pietra senza valore.
“Per il credente la dimensione pubblica della fede io ritengo sia essenzialmente il fare scandalo in ciò che si dice, in ciò che si predica, in ciò che si fa; qualcosa che per il mondo è follia. Qualcosa allora che arresta il mondo, lo fa pensare: «Cosa succede qui? Qui i miei conti non tornano, perché vi è una testimonianza: vi è quel matto, quel folle, che fa delle cose che sono inciampo, che sono impedimento per il mondo». Questa è per me la dimensione pubblica della fede, altrimenti sarà un fare tra gli altri, più o meno nobile, ma un fare tra gli altri. Se non appare una follia al mondo, che senso ha dire che quello è il “fare” del credente nel Deus Trinitas?”(9)

1) A. Bello, Scritti di pace, Molfetta, 1977, p. 131.
2) A. Fanfani, Giorgio La Pira, un profilo e 24 lettere, Milano, 1978, p.70.
3) Giovanni Paolo II, Discorso pronunciato il 2 giugno 1979, a Varsavia, nell'incontro con le autorità civili.
4) A. Fanfani, cit. p.52.
5) A. Fanfani, cit. p.53.
6) G. La Pira, Lettere alle claustrali, Milano, 1978, p.117.
7) A. Fanfani, cit. p.55.
8) A. Fanfani, cit. p.70.
9) A Massimo Cacciari era stato affidato il tema Credere di “credere” nella contemporaneità; la citazione è stata registrata nel corso del dibattito, ma non rivista dall'autore.

settembre - dicembre 2003