Dopo trent'anni è opportuno condurre un'analisi dell'Università e della situazione attuale, nonché degli esiti contemplati dagli eventuali progetti di riforma. La dipendenza sempre più stretta del know how e del patrimonio di conoscenze dal mondo della produzione ha spinto il mondo industriale ad una partecipazione diretta nella organizzazione dei percorsi formativi.
Questi sono caratterizzati da una pluralizzazione così intensa che risulta impossibile determinare un livello meta-linguistico che ricomprenda tutti i linguaggi-oggetto.
"La difficoltà nelle quali versa l'educazione universitaria è riconducibile prima di tutto all'affievolirsi fin quasi a dileguarsi della totalità del sapere; alla frantumazione sotto la spinta dell'industria moderna in una congerie senza fine di discipline e cognizioni talmente specialistiche da rasentare pericolosamente l'idiozia. È avvenuto così che la differenza senza concetto abbia finito col porsi a fondamento professionale del sapere" (F. Piperno, in "Derive-approdi", Roma, 2000, p. 39)
L'università nata nel Medioevo come luogo di unificazione del sapere, ruolo ad essa accordato dalle filosofie di Hegel e Croce, non può più ricomporre in unità i saperi parziali che la società post-moderna produce a ritmo frenetico.
Il tentativo già svolto in passato dall'Università tomistica medievale è stato più volte messo in crisi nelle varie epoche storiche. Nel Rinascimento le Accademie rappresentano l'esigenza di maggior aderenza al mondo delle professioni.
Si venne a creare una forma di convivenza fra le Università sempre destinate alla conservazione del patrimonio culturale e le Accademie in cui i giovani erano preparati all'apprendimento delle arti e dei mestieri. Il tentativo di unificazione del sapere si ripropone nel razionalismo deduttivo del nuovo pensiero fisico e matematico. Se la Metafisica aristotelica e scolastica risulta ormai obsoleta per la comprensione della realtà naturale e sociale, le ipotesi formali e deduttive alla base della scienza fondata da Galilei e sistematizzata da Newton sembrano fornire un modello per l'interpretazione unitaria del mondo.
Il modello di Università proposto da Humbolt e Hegel rappresenta questo momento in cui lo Spirito nomina sé stesso. Se scienza e tecnica perseguono obiettivi parziali, problemi di ordinaria gestione di acqua e risorse, scoperta di nuove forme di energia e di difesa della salute del corpo, la Filosofia si interroga su dove va il mondo, il senso della storia, il nuovo protagonismo delle classi sociali. In questo quadro un ruolo particolare va accordato al lavoro del negativo nella dialettica dello spirito, il non decomponibile, il non formalizzabile, l'altro. Il negativo, l'altro è il momento di dinamizzazione del processo dialettico che non può esaurirsi in un momento ultimativo.
L'opposizione fra Hegel e Marx è tutta compresa nella interpretazione del lavoro del negativo: nel primo svolge un ruolo subordinato perché deve produrre una nuova sintesi formalizzata, nel secondo corrode i limiti del logos per presentarsi come protagonismo di classe, movimento di popolo, un nuovo modo di vivere e comunicare. Nella storia reale questo significa cominciare ad aprire accademie e università ai figli degli operai, agli immigrati, alle donne.
La vecchia università di classe dopo circa un secolo diventa università di massa.
L'università gerarchica selettiva ereditata dal passato si rivela agli inizi del Novecento arcaica e inadeguata all'evoluzione dei tempi. Stanno per irrompere sulla scena le masse che avrebbero caratterizzato tutta la storia del mondo e nuovamente si pone il problema di una diversa definizione delle strutture formative. L'unificazione del sapere istituita dal pensiero matematico e logico-formale comincia a manifestare i primi segni di crisi. Non tutto il sapere è formalizzabile, sono formalizzabili soltanto zone particolari o regioni di esso. Prima della scoperta dei teoremi limitativi da parte di K.Gödel, questa nuova consapevolezza attraversa il pensiero di D. Hilbert e L. Wittgenstein. Il primo con la teoria della dimostrazione intese investigare i vari comparti del calcolo logico stabilendone la coerenza e introducendo procedure inferenziali di tipo automatico, il secondo dopo aver deposto l'ontologismo del Tractatus pervenne alla nuova definizione del reale come una miriade di giochi linguistici.
Ognuno può giocare il suo gioco, anche se la trama linguistica non è fatta di un'unica fibra. Sul piano politico-culturale queste intuizioni producono la nuova proposta che la vecchia monolitica struttura universitaria debba essere adattata ai cambiamenti epocali in atto e lasciare spazio ai politecnici. Il modello istitutivo delle università americane fin dall'inizio richiama questo schema: accanto alle facoltà umanistiche, Humanities, per lo più organizzate secondo lo schema classico, vengono potenziate le strutture ad alta qualificazione teconologica. Gli esempi classici in questo senso sono Harvard e il MIT. Anche le università europee seguono questo modello e si può ragionevolmente sostenere che fino agli anni '60 in tutto il mondo si afferma questa struttura duale che vede da una parte le università e dall'altra les grandes écoles polytecniques. Con la fine delle meta-narrazioni (F. Lyotard) il sapere che in esse viene impartito è un sapere tecnico, essenzialmente denotativo, che non contiene alcun elemento di performatività. Il discorso scientifico e i linguaggi informatici sono denotativi: ad un segno corrisponde univocamente un oggetto, una operazione, una funzione senza concedere alcuno spazio ad elementi valutativi. Il pragmatismo è la filosofia che fa da sfondo a questi linguaggi. Bisogna inventare linguaggi sempre più funzionali che comprendano in formule automatiche e ripetibili operazioni precedentemente svolte dalla mente umana. L'organizzazione della ricerca e della didattica comincia a registrare queste variazioni. I finanziamenti vengono dirottati verso i dipartimenti che producono un maggior numero di linguaggi operativi e i docenti più bravi sono quelli più esperti nel procurar denaro. Comincia ad emergere la figura del manager, un individuo a metà strada fra chi trasmette sapere e il burocrate, particolarmente attrezzato a stare in un consiglio di amministrazione. In questo quadro blindato un soggetto si rivelò in modo protagonistico ed antagonistico nel meraviglioso Maggio del '68 e fu il movimento studentesco che dalla Francia si estese in tutte le università del mondo, specialmente in quelle statunitensi. Si cominciò a sostenere che il pensiero operativo era pensiero servile e utile al comando sociale, che al MIT c'erano progetti segreti per produrre napalm e defolianti, che le menti addomesticate degli studenti avevano bisogno di fare ricorso a categorie totali, all'utopia, alla fantasia. Il rapporto col mondo, con la complessità del problema mondo svuotava dall'interno i discorsi denotativi, richiedeva un raccordo con robusti segmenti di classe, la progressiva estensione della conflittualità all'intero corpo sociale. Il movimento uscì dalle università saldandosi con le lotte operaie nelle fabbriche, con i nuovi comitati di quartiere, le terre da liberare del sud del mondo. Nelle università cominciò la caccia ai cattivi maestri, portatori di un pensiero libero; vennero introdotte le prime manovre repressive, si pose con nuova urgenza il problema di una riarticolazione dell'intero comparto formativo. Il cronometro dalla fabbrica venne spostato nelle università attraverso le procedure periodiche idoneative per il corpo docente. Si cercò di porre rimedio all'annosa questione del precariato mediante l'istituzione del ruolo dei ricercatori per i vecchi contrattisti. Il movimento tornò a farsi sentire nel '77 con gli eventi di Roma e la cacciata di Lama dall'università. Ancora una volta indiani metropolitani e macchine desideranti invasero il territorio alla ricerca di un posto dove stare, una compagna da incontrare, una comune da fondare, una collina da conquistare. L'università era una casa troppo stretta per il movimento che vedeva estendere il regime carcerario all'intera società. La macchinetta, il viaggetto, la casetta, piccolo è bello, il craxismo, il CAF. Di nuovo nelle università si procedette ad una riorganizzazione attraverso l'informatizzazione, la Computer science, la nuova articolazione produttiva dei computers. Vennero introdotti corsi di alfabetizzazione informatica che dopo un mese si rivelavano obsoleti perché le nuove macchine contenevano funzioni che precedentemente bisognava attivare con comandi. Visto che il mondo non lo si poteva trasformare si trascorreva il tempo con il nuovo giocattolo che custodiva gran parte dei pensieri elaborati in anni di lavoro. La nuova università informatizzata doveva ancora compiere un passo verso la subordinazione alla grande industria e questo avvenne con la legge relativa alla partecipazione diretta dei privati nei consigli di amministrazione universitari. La pantera era scappata dallo zoo e il movimento tornò nelle università. Rivendicava ancora una volta la gestione del territorio come spazio sociale di aggregazione. Corsi liberi, spazi autogestiti, la possibilità di danzare. Dopo il '90 il movimento è scomparso dalle università che recentemente hanno completamente incorporato il modello anglosassone attraverso l'introduzione del 3+2. L'introduzione della laurea breve risponde ad una specifica esigenza del mercato che ha bisogno di una generica formazione di base per avviare in seguito gli studenti a mansioni flessibili. Sono tutti proiettati ad ottenere crediti per conseguire la laurea breve che dà a ciascuno l'illusione di un primo passo verso il mondo del lavoro. Lavoro precario, lavoro interinale, lavoro a tempo. In questo periodo il dualismo fra strutture di punta ad alta concentrazione di cervelli e le università del sud si è accentuato. Molti studenti del Sud sono stati attratti dal miraggio delle università del Nord e sottoponendosi ad enormi sacrifici hanno conquistato un posto letto in una delle metropoli avvolte nella nebbia. Franco Piperno qualche anno fa in Derive-approdi aveva proposto l'abolizione delle facoltà e l'istituzione di un triennio unico articolato per aree tematiche come l'acqua nel pianeta e nella poesia del Petrarca. Pensiero deduttivo formale e pensiero creativo. Formalismo e limiti del formalismo.
"Bisogna bruciare l'organizzazione didattica per facoltà in modo che dalle ceneri di questa vacca sterile e mostruosa possa risorgere una architettura degli studi mobile continuamente ridisegnata sulle scelte discrezionali degli studenti. Quest'ultimo obiettivo, qualora fosse conseguito, provocherebbe una vera rivoluzione degli studi universitari buttando alle ortiche quei decrepiti percorsi disciplinari come matematica, fisica, lettere, filosofia, sociologia, economia e così via; per sostituire a essi distinzioni e relazioni adeguate al sapere nel suo farsi. Per es. Linguaggi naturali e linguaggi formali; grammatica e retorica; ermeneutica, pregiudizio ed istituzioni politiche; linguaggi, interpretazione e teatro; il flusso del tempo nella Relatività e nella letteratura del Novecento; informazione, entropia ed autoorganizzazione; identità nella fisica quantistica e nella psicologia animale; l'acqua nella catena alimentare e nella poesia di Petrarca; natura umana e natura non umana; ambiente, mondo ed etologia; lo smaltimento dei rifiuti, la terra, il sole e il cosmo; fenomeni cooperativi e scienze sociali; termodinamica, ecologia ed economia; mente e corpo; aspetti euristici-costruttivi e aspetti assiomatico-deduttivi nelle matematiche; cinetica, acustica, danza e musica; archeologia, antropologia e società senza stato; calcolo numerico e disturbi ossessivi; luce, geometria e arti figurative; parola, dialettica e terapia; miti, racconti e scienze storiche; poemi epici, astronomia e astrologia; tutte le possibili combinazioni di questi saperi e di altri ancora, secondo la fantasia dello studente."(ivi, p.42)
Non credo sia una proposta praticabile se non interviene un soggetto politico forte, un nuovo movimento studentesco che di nuovo occupi il deserto università. In questa fase il movimento no global ha altro a cui pensare. Fra le prime cose la guerra in Iraq. Dopo gli eventi degli ultimi due anni l'analisi del movimento richiede una riflessione approfondita sulle linee di politica che hanno caratterizzato la vita dell'Occidente negli ultimi settanta anni. Intendo riferirmi alla diversa dislocazione dei movimenti del secolo scorso che individuavano sedi decentrate di articolazione delle lotte (scuole, università, ospedali, centri per la salute mentale) e le scelte attuali che individuano negli spazi metropolitani o in alcuni luoghi simbolo dell'America latina il modo per manifestare l'antagonismo permanente. Il potere usa i media per diffondere i quotidiani messaggi a stare buoni, il movimento usa le piazze, le strade e le metropoli per affermare il proprio diritto all'esistenza.
All'interno del discorso sull'università non può essere ignorata la fase che negli ultimi tempi stiamo vivendo e che sembra destinata ad incidere sulla futura vita quotidiana. La guerra impone una riflessione sul tacito assenso di alcuni stati europei all'invasione americana. Il cuore del problema è costituito dal petrolio e dal controllo che i paesi occidentali vogliono esercitare sul prezzo del greggio. Tutta l'economia occidentale ruota sull'uso dell'oro nero ed ogni variazione sul prezzo del greggio incide sulla vita quotidiana degli individui. Da tale punto di vista le guerre in Iraq, in Iran e nei paesi non allineati alle decisioni occidentali è un attacco diretto al Welfare come si è venuto configurando nella storia della seconda metà del secolo scorso. Il Welfare come strategia governamentale che assicura un lavoro, una macchina, una moglie, un mestiere, le tre m. Il lavoro garantito nella società occidentale è minacciato quotidianamente da una eventuale ricontrattazione del prezzo del greggio. Un embargo determinerebbe il crollo dell'Occidente. In questa contraddizione si inserisce il movimento no global. Credo che anche i no global siano intrinsecamente contro il comando capitalistico dello stato caserma, dello stato del benessere. Non è ecomicistico sostenere che la massa d'urto del movimento è costituita dai non garantiti, i precari, i giovani, gli studenti, i disoccupati, gli intellettuali, gli addetti all'agricoltura non assistita, i cattolici di base, la miriade di associazioni dedite al volontariato, gli ecologisti. Questo movimento ha occupato le piazze di Napoli, Genova, Firenze e Roma. E' stato a Porto Allegre. Il movimento è al di là del piano governamentale del capitalismo post-fordista, vuole una società fondata sulla cooperazione fra i popoli, una società libera dalla forbice fra paesi ricchi e paesi poveri, fra classi opulente e i migranti della terra. Per i cattolici Cristo abita nelle favelas, mentre il giovane Abdul, che ieri si è bruciato vivo, è un fratello da incontrare.