Studio di un caso: piazza Paradiso a Molfetta
di Vito Copertino

Solerte e preciso come sempre, Antonio Allegretta, che in questa rivista è autore puntuale di racconti dotati di arguta originalità, mi ha ricordato un passo della Genesi:

"Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente, gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: 'Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco'. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: 'Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra'. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: 'Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro'. Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra." (Gen. 11, 1-9, La Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane, Bologna, luglio 1992.)La nascita della filosofia, la scienza, è stata poi la rivincita dell'umanità sulla sconfitta di Babele. E, invece, che cosa accade a Molfetta, in Piazza Paradiso?
. . . . .L'abbiamo già scritto: non possiamo accettare che la città sia progettata e piegata al servizio esclusivo di produttività, competizione, concorrenza. Quel che il cittadino vuole che si realizzi è la città-comunità. Dal punto di vista storico, poi, è proprio nella città europea che nacquero il concetto e la pratica della socialità urbana, della solidarietà di classe, dell'incontro tra studenti, lavoratori e intellettuali.In una visione di città-comunità, il tema della piazza ha valore fondativo, non solo simbolicamente, ma anche funzionalmente. Nella conservazione dell'insediamento storico, l'intervento sulle piazze comporta un delicato e complesso processo di riconoscimento dei valori comunitari nella definizione del rapporto tra privato e pubblico, tra individuo e collettività, tra individuale e sociale: qui, più forti ed evidenti sono i segni dell'identità della comunità, del senso di appartenenza e delle modalità dello scambio tra identità e alterità, il valore attribuito all'altro, al diverso, allo straniero.Invece, a Molfetta, si ipotizza e si programma un intervento in Piazza Paradiso che è contrario a qualunque logica di funzionalità urbana, ad un minimo rispetto di valore comunitario. Qui si va affermando la proposta di realizzazione di un sito mercatale e di un'area di parcheggio interrato: l'Amministrazione Comunale ha affidato ad un'impresa privata la progettazione, la costruzione e la gestione di un parcheggio sotterraneo e la sistemazione a mercato giornaliero dell'area in superficie della piazza. Con questa iniziativa si vorrebbe risolvere - peraltro molto male - alcuni problemi cittadini ed urbanistici che nulla hanno a che vedere con la piazza, i suoi caratteri storici, il suo stato attuale. L'intervento previsto ha l'obiettivo di far convergere sulla piazza Paradiso l'attuazione di istanze ed obiettivi differenti: innanzitutto, la rivitalizzazione di una piazza che si dice destinata a "degradarsi e morire" in assenza di una funzione dedicata a popolazione ed attività; in secondo luogo, la risoluzione di seri problemi di traffico e di parcheggio che negli ultimi tempi si sono fatti gravi nel quartiere e nelle vie circostanti alla piazza; infine, l'alleggerimento della pressione esercitata da alcune categorie di commercianti dell'intera città, che sono ansiosi di trovare facili aree pubbliche per il mercato dei loro prodotti e di tornare al passato, rimuovendo così la decisione che fu presa nel 1992 di smantellare il precedente sito mercatale e cancellando le ragioni di un provvedimento giudiziario preso per gravi motivi igienici e di ordine pubblico. È ovvio che il mercato non è di per sé un illecito penale, ma non si possono, inopinatamente, ricostruire i presupposti per un nuovo problema di gestione urbana in una piazza storica, delicata e utile all'equilibrio urbanistico. Mi chiedo se sia opportuno tornare indietro. Chi non ricorda la vergogna della piazza, assolutamente impraticabile, sporca, violenta perché vi regnava la legge del più forte, selvaggia e tribale con bancarelle che superavano gli spazi consentiti, con i vigili privati del potere di intervenire, confusa di traffico caotico, terra di nessuno.I cittadini di Molfetta meritano una maggiore cura degli equilibri urbanistici, hanno diritto ad una viabilità a misura d'uomo, aspirano ad un razionale piano del commercio. La città ha bisogno di ben altre priorità, non certo della cancellazione dell'unica piazza libera, in un quartiere così centrale e importante. La piazza Paradiso è luogo indispensabile alla città di oggi e a quella di domani. Va considerata come parte integrante del sistema complessivo delle piazze della città, non può essere isolata ed estraniata da un sistema che è insieme strutturante della città.
. . . Non si può certo dire che la trasformazione della piazza in mercato e garage interrato di due piani ad uso prevalentemente privato sia da considerarsi intervento di pubblica utilità. E non esiste alcuna concezione della riqualificazione ambientale che possa convincere che una piazza si riqualifichi con un mercato in superficie e un parcheggio sotterraneo. Non c'è visione integrata dell'assetto urbanistico e del governo del territorio che possa portare a realizzare due interventi di risultato opposto, l'uno che vorrebbe razionalizzare il traffico - con box privati ed una minima dotazione di parcheggi a rotazione - e l'altro che porterebbe ad appesantire il traffico, richiamando consumatori di prodotti ittici dai quartieri limitrofi e accrescendo il disagio degli abitanti.
Si dice dell'abbellimento ed ammodernamento della piazza: quale miglioramento estetico, e sociale, potrà mai venire da un mercato superficiale e un garage sotterraneo? Potrà mai bastare qualche albero e qualche fioriera con poche panchine in cemento per alleggerire l'impatto ambientale? Dov'è la riqualificazione ambientale della piazza e in cosa consiste la sua rivitalizzazione? Basterà dotare i box mercatali di regolare impianto idrico, fognante e di illuminazione, come previsto dalle vigenti norme sanitarie? Basterà dotare ciascun box-auto di fornitura di acqua potabile e di energia elettrica con un punto luce e una presa di corrente? Basterà dotare la piazza di bagni pubblici?L'intervento è inutile e sbagliato, ad elevato impatto ambientale. Non può essere affrontato con leggerezza: è necessario uno studio preliminare che ne curi con attenzione e competenza gli aspetti delicati di inquadramento territoriale ed ambientale. Qualche dubbio, invece, suscita l'affermazione, contenuta nel progetto preliminare adottato dall'Amministrazione, che si tratti di "importante e significativa risposta ai bisogni di mobilità e sosta della città". Ci sarebbe una "forte domanda di sosta" sia da parte dei residenti delle zone periferiche, che oggi tendono a spostarsi verso il centro della città, sia da parte dei residenti della zona stessa, per i quali mancano parcheggi. L'intervento è, dunque, destinato a creare, per i residenti, parcheggi sostitutivi della sosta su strada, tramite i box auto; per i non residenti, invece, parcheggi a rotazione, da integrare alla sosta a pagamento su strada.Non può il progetto preliminare limitarsi ad osservare banalmente che "il centro urbano ha una forte concentrazione di scuole, banche, uffici pubblici e negozi" e che "nelle fasce orarie 10-13 e 17-21 l'area risulta satura, con un'elevata circolazione parassita alla ricerca del posto per la sosta". Il miglioramento ambientale della zona consisterebbe dunque, secondo i progettisti, nella riduzione dei danni all'ambiente ed alla vivibilità dell'area centrale, danni determinati dalla carenza di parcheggi, dalla conseguente crescita della circolazione veicolare e dell'inquinamento acustico e atmosferico. Essendo la congestione del traffico provocata dalla sovrapposizione di circolazione parassita e di spostamento, ci si illude che la costruzione di parcheggi per la sosta di lunga durata dei residenti libererà le strade dalle auto, mentre per la sosta breve si preferirà la sosta su strada mediante il sistema di tariffazione. Non è difficile prevedere, invece, che il traffico dei locali non si avvantaggerà per la presenza del garage e non diminuirà affatto. A causa del mercato, si aggiungerà invece altro traffico, quello esterno al quartiere ed alla città. Non conforta infatti alcun esempio precedente di parcheggio sotterraneo nella città: nessuna razionalizzazione del traffico è venuta, ad esempio, dalla presenza di un garage privato, contiguo ad un grande supermercato e prospicente sulla strada di uscita dalla città, in via Giovinazzo.
. . . . .Ricondurre le piazze della città alla loro funzione è stato l'obiettivo delle migliori decisioni delle amministrazioni di molte città. A Molfetta basterebbe ricordare gli esempi, a volte riusciti a volte no, di Piazza delle Erbe, Principe di Napoli, Mazzini, Moro, Baccarini, Mentana, San Michele. La piazza "Baccarini", ad esempio, è stata ricondotta ad una razionalità urbana, nonostante l'infelice posizione su una via di gran traffico e in vista anche di un necessario e forse inevitabile trasferimento delle due stazioni di rifornimento di benzina. La destinazione originaria di piazza "Mentana" e piazza "Principe di Napoli" non era quella di luogo di mercato, ma quella di spazi liberi indispensabili per la vita di quartieri progettati in maniera rigida e schematica. Così diventeranno rispettivamente giardino per bambini e salotto della città. Un'altra piazza della città, piazza "San Michele", sarà trasformata a simbolo di integrazione con i migranti."Paradiso" non è una qualunque piazza, è la piazza 'storica' di Molfetta, a cui sono affezionati i cittadini tutti, forse anche più che gli stessi abitanti del quartiere. La sua area urbana di influenza è quella posta al confine tra la zona settecentesca e quella ottocentesca, allo snodo dell'espansione urbana di quei tempi, alla chiusura di maglie di diverso tipo.Caratterizzata dall'assenza di una chiesa, è però centro di riferimento delle comunità di due chiese, San Gennaro e l'Immacolata, suscettibile dunque d'essere utilizzata al meglio sia come luogo di socializzazione degli abitanti di entrambi i quartieri, sette ed ottocentesco, sia come luogo di culto dei fedeli che fanno riferimento alle due parrocchie. Per il suo valore aperto ed unitario, non sembra opportuna la soluzione della divisione della piazza in sezioni di distinto uso e neppure la chiusura in recinto, con cancellate, muri o ringhiere: soluzione che, peraltro, non ha funzionato per altre piazze, ad esempio non si può dire che abbia funzionato per piazza Immacolata. Appare più convincente la conservazione dell'aspetto unitario e di fruizione collettiva, non destinata dunque a parti sociali o generazionali (come sarebbe la soluzione di un parco per i bimbi, o di un campo giochi sportivi per i giovani, o di giardino per gli anziani, ecc.) ma a comunità indifferenziate.
. . . . .Nella storia della città, Piazza Paradiso veniva tradizionalmente usata come luogo di trattativa per la compravendita di forza-lavoro per le campagne e la raccolta delle olive e delle mandorle. Qui si radunavano agricoltori, coltivatori diretti e braccianti, prima del mattino, per contrattare ingaggi, e, dopo il tramonto, per parlare di lavoro e coltivazione dei campi, di concimi e di stagioni, di piogge attese e di tempeste, di costi e di spese, di ricavi e guadagni, di successi e perdite, di ordinarietà ed emergenze. Prima degli anni '50 e fino ai '60, è stata il luogo del mercato ortofrutticolo all'ingrosso, utilizzata da commercianti che avevano il loro esercizio in locali perimetrali alla piazza ed esponevano i prodotti in vendita occupando solo una parte della piazza e solo in alcune ore del mattino. Più recente è stata la sua destinazione a mercato alimentare di quartiere ed è cessata poco più di dieci anni fa. Era anche il punto di arrivo del mercato settimanale - il mercato del giovedì a Molfetta - che si svolgeva in via Annunziata, successivamente rimosso per ragioni di sicurezza e di ingombro della strada.Oggi la piazza si trova al centro di un'area urbana ricca di attività commerciali, non solo di vendita di frutta e verdura, ma pulsante di piccoli esercizi commerciali e negozi, destinata a potenziarsi in quanto tale e a ricevere il passeggio proveniente sia da est - il centro città, corso Margherita, corso Umberto - e da ovest - piazza Immacolata e i quartieri di ponente - che da nord - il centro storico della città - e da sud - via Roma, piazza Cappuccini e corso Fornari.
. . . . .Se, poi, si leggono alcune pagine della recente pubblicazione di Corrado Natalicchio, Mauro Uva e Corrado Pappagallo, "L'acqua a Molfetta" (2002, ed. Mezzina), si apprende anche che l'intervento ipotizzato rischia di distruggere la memoria storica di una preziosa piscina di raccolta delle acque, costruita nell'Ottocento, di cui esistono documenti, schizzi e tavole di progetto, delibere e testimonianze. Sita nel lato settentrionale della piazza, si tratta di una cisterna di raccolta delle acque piovane, la cui costruzione, ritenuta necessaria dal Consiglio Comunale nel 1883 a seguito dell'espansione del rione verso sud, fu realizzata nel 1887. La sua capacità sarebbe dell'ordine di grandezza di 700 mc, con l'asse maggiore disposto in direzione est-ovest. La cisterna sarebbe dotata di una vasca di sedimentazione e di filtri. Si dice che fu costruita ai tempi del sindaco Epifani; fu progettista l'ingegnere comunale, Gaetano Valente; fu appaltatrice la ditta Pansini e Ventrella; costò 4 mila lire circa. Negli anni, ebbe frequenti lavori di manutenzione, come quelli affidati nel 1898 a Giacomo Zaza.Oggi, la convenzione stipulata tra il Comune e l'impresa concessionaria stabilisce all'art 9 - dal titolo "Ritrovamenti archeologici" - che "è da individuare la posizione di una probabile cisterna ottocentesca interrata, per la cui eventuale salvaguardia bisognerà concordare con il Comune gli interventi da eseguire e la variante da effettuare al progetto del parcheggio interrato". Ma un'indagine, pur superficiale e preventiva, sulla possibilità di ritrovamenti archeologici avrebbe dovuto precedere qualunque determinazione o stipula di convenzione. Né può dirsi sufficiente la garanzia di sospensione successiva dei lavori, in caso di ritrovamenti archeologici.Inoltre lo stesso articolo della convenzione, curiosamente, così continua: "Qualora, a seguito del ritrovamento di reperti archeologici, il completamento dell'opera comportasse oneri imprevisti e/o una minore utilizzazione della superficie, il concessionario avrà diritto ad una proroga del termine di ultimazione dei lavori e ad un indennizzo diretto da parte del Comune per i maggiori oneri subiti". Insomma tutto si prevede a garanzia del concessionario, senza alcuna tutela preventiva per il bene storico, la cui salvaguardia sarebbe a totale carico della comunità. Non sono in grado di confermare, ma sarebbe da verificare, anche l'esistenza di un pozzo, o risorgiva, di acqua di falda, nel sottosuolo della piazza in prossimità dell'attuale fontana dell'AQP. Forse è vera anche la testimonianza della presenza di neviere, ma di tutto questo non si fa cenno nella convenzione. Non c'è più traccia, infine, della garanzia del mantenimento della pavimentazione della piazza a basole calcaree, che era contenuta nei documenti programmatici delle precedenti amministrazioni.
. . . . .Siamo dunque in presenza di un rovesciamento dell'iter usuale di programmazione di un intervento urbanistico. Prima si decide di intervenire, proponendo la progettazione e la realizzazione di opere e, solo in un secondo momento, si verifica la congruenza dell'intervento con la situazione ambientale. Il suolo, il sottosuolo, la disposizione spaziale delle cavità carsiche, lo spessore della roccia calcarea, la profondità degli strati, la presenza di manufatti di interesse archeologico, e tanti altri dati progettuali, da acquisire in fase preventiva e prima di decidere, sono tutti rimandati ad un'indagine tecnica successiva. Quante volte dovremo assistere ad un tale rovesciamento procedurale e logico? Ciò ovviamente vale non solo per la tutela della cisterna, ma anche per altre garanzie: è in fase preventiva che vanno approfonditi i rischi per l'incolumità degli abitanti e la staticità degli edifici prospicenti la piazza. C'è un vero problema di agibilità fisica della piazza, di rischio ambientale, di rispetto delle norme di sicurezza, di perdita di sicurezza per tutto il quartiere. Non possono essere sufficienti una scala di emergenza, qualche idrante e un certo numero, anche regolamentare, di estintori. Può bastare una sola via di uscita dal garage verso l'esterno e la superficie? E che dire dei sensi unici attorno alla piazza? È impossibile sottovalutare e trascurare l'esistenza di strade strette di accesso alla piazza - con viabilità al di sotto delle norme di sicurezza - da tutte le direzioni di provenienza e verso tutte le direzioni di esodo. Il sindaco, si sa, è l'autorità cittadina da cui dipende la protezione civile, è responsabile dei piani di emergenza per la mitigazione dei rischi urbani e per la messa in sicurezza della città.L'art 7 della Convenzione precisa che "Il concessionario sarà responsabile di eventuali danni arrecati agli edifici esistenti nonché di ogni altro danno arrecato a persone o cose a causa della realizzazione delle opere". Ma gli abitanti del quartiere sono preoccupati, giustamente o meno, dei danni che, durante i lavori di scavo, possa subire la staticità degli edifici in cui vivono, adiacenti e circostanti alla piazza, quasi tutti di costruzione ottocentesca. Occorre verificare, da un punto di vista tecnico, la reale consistenza di tali preoccupazioni, non ancora approfondita dai responsabili dell'intervento. Non esistono studi o elaborati tecnici che rassicurino sulla stabilità degli edifici e sull'incolumità delle persone. Né può bastare, nella documentazione di progetto preliminare, una relazione tecnica che, ignorando la complessità della situazione, si limiti ad una descrizione delle opere di ingegneria, strutture e materiali, senza riferimento ai lavori di scavo, all'organizzazione dei lavori, agli accessi alla piazza, agli ingombri, al superamento delle prevedibili difficoltà nell'utilizzazione di mezzi pesanti di traffico veicolare. Non può tranquillizzare la considerazione che nel passato interventi simili siano stati effettuati senza preoccupazione in altri luoghi della città: il carattere chiuso ed accorpato della piazza, davvero singolare, non permette di fare delle analogie con interventi realizzati in zone dissimili della città.Qui la gran parte dei fabbricati si sviluppa su due/tre piani (piano terra e uno/due piani superiori), con sistema a murature portanti in tufo e volte a botte, per i piani terreni, e a padiglione, per i piani soprastanti. Un'altra parte dei fabbricati ha subito modifiche nel corso degli anni per sopraelevazioni successive al di sopra dei piani iniziali, risalenti alla seconda metà del novecento. Un'ultima parte dei fabbricati, con numero di piani variabile fino a quattro, è di più recente costruzione.Non si può ignorare che alcuni edifici mostrano evidenti segni di fenomeni fessurativi. Secondo una prima interpretazione, per alcuni fabbricati questi fenomeni di lesionamento potrebbero essere conseguenti a recenti manifestazioni sismiche; per altri, sarebbero segni di un movimento molto lieve, quasi impercettibile, e si sarebbero prodotti in un tempo molto lontano, modificando l'integrità muraria originaria e stabilizzandosi successivamente su un andamento evolutivo lentissimo. Una serie di lesioni e fessurazioni si presentano sui pavimenti, sulle murature ortogonali e quelle di facciata, sugli architravi delle porte delle stesse murature, nonché sui pannelli di volta, a livello di primo e secondo piano. Anche se si dovesse concordare nel riscontrare che nessun pericolo attualmente corra la stabilità dei fabbricati, e che la larghezza della strada che gira intorno alla piazza sia sufficiente a garantire che i lavori di scavo non producano danni alla stabilità delle strutture circostanti, tuttavia le fratture esistenti in più punti di alcuni fabbricati suggeriscono di considerare la situazione di estrema delicatezza e impongono di cautelarla da un'ulteriore possibile ripresa del fenomeno, che può essere determinata da cause perturbatrici violente e prolungate.
Solo una perizia tecnica, con una relazione ingegneristica ed un'accurata indagine geologica, corredata di sondaggi ed analisi geognostiche e geotecniche, potrebbe rivelare la natura e l'entità del fenomeno e il grado di pericolosità, per fugare le attuali preoccupazioni.
. . . . .Infine, l'impatto urbanistico dell'intervento sulla piazza deve essere accuratamente studiato e verificato nelle sue conseguenze sulla funzionalità dell'intero quartiere.Le tavole del Piano Regolatore Generale Comunale - e particolarmente la DO5 - rappresentano la piazza con la retinatura della "destinazione a verde". Dal punto di vista urbanistico, non si tratta di aprire una lotta ideologica per rispettare un vincolo formale ed estraneo alla vita del quartiere: i manufatti e le parti antiche di una città, che sono da tutelare e preservare, possono essere trasformate solo se portano un reale vantaggio alla comunità, alla vitalità del luogo.Ma l'intervento è difforme dalle scelte del P.R.G.C., che includendo la piazza in Zona "A" sancisce sia l'impossibilità di nuove costruzioni, sia il principio di conservazione. È riduttivo far coincidere la classificazione urbanistica di Zona A per l'area in questione soltanto con il rispetto dell'attuale situazione plano-volumetrica. La piazza sarebbe, pertanto, in regime di tutela: le deroghe sarebbero consentite soltanto per strutture di servizio, quali ad esempio i parcheggi, purché assolutamente necessarie e pubbliche.Ed è qui che si possono costruire ipotesi alternative per il destino della piazza. Innanzitutto è fondamentale l'allestimento della piazza, insieme alla tessitura della sua pavimentazione, un'efficace e non precaria illuminazione, la conservazione del colore prevalente degli edifici prospicenti, anche la strutturazione con installazioni mobili utili per iniziative culturali, artistiche, teatrali. La rivitalizzazione della piazza passa anche attraverso il suo uso per frequenti, non episodiche, manifestazioni culturali, musicali, cinematografiche, sportive e per festeggiamenti in ricorrenze laiche e religiose ( il maggio e il settembre molfettesi, il 1° maggio, il Corpus Domini, ecc. ). La piazza ha valore come 'open space'- e vi si potrebbe progettare un 'open air museum'- ricco di ricordi della civiltà contadina.Di sicuro tutto questo non basta. E allora si può rispondere al bisogno di commercio, attraverso un riordino ed una rifunzionalizzazione della tipologia degli esercizi nella piazza e nelle sue immediate vicinanze, anche compatibilmente con il movimento e il traffico veicolare. Infine, i punti di vendita di pesce e di frutta/verdura possono trovare sistemazione nei locali perimetrali della piazza ed essere incentivati con detassazioni o altre agevolazioni tariffarie.
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Ho voluto qui sottolineare, con spirito del tutto costruttivo, alcune incongruenze dell'intervento con la pianificazione urbanistica, senza indugiare su possibili ragioni di illegittimità e di violazione delle norme urbanistiche. Ma la piazza non può essere soltanto un intervento urbanistico, un evento architettonico, un manifesto archeologico. Ha una sua vocazione, un respiro ambientale, una funzione civile. La piazza è spazio di democrazia, è tempio della democrazia, mentre la riduzione delle piazze si inserisce nel progetto di riduzione della democrazia.

"La democrazia pura può funzionare finchè tutti i cittadini si possono raccogliere nella piazza del mercato" (B. Russel, 'La saggezza dell'Occidente', TEA, Milano 1997, p. 13).

maggio - agosto 2003