Il disegno di legge delega 848 in materia di mercato del lavoro è stato approvato; d'ora in poi sarà riconoscibile come legge 30 del 14 febbraio 2003.
Ora bisognerà attendere i decreti legislativi perché la volontà del parlamento e della sua maggioranza di disfarsi di ogni tipo di garanzie, di tutele e di diritti legati al lavoro sia compiuta e diventi definitivamente legge dello Stato.
Il provvedimento approvato esplicita in modo evidente la volontà neoliberista di considerare le lavoratrici e i lavoratori alla stregua di merci da comprare, affittare, prendere in leasing, smembrare, ricomporre e infine, arbitrariamente, gettar via.
Una volontà che si delinea attraverso una rete soffocante di provvedimenti che vanno dallo staff leasing (lavoro in affitto) al job on call (lavoro a chiamata), dal job sharing (lavoro a prestazioni ripartite) al lavoro a progetto, dall'ulteriore precarizzazione delle collaborazioni coordinate e continuative al part-time, dalla progressiva privatizzazione del collocamento al peggioramento delle condizioni dei lavoratori in materia di orario di lavoro.
Il modello di sviluppo voluto dal Governo Berlusconi e dalla sua maggioranza è un modello in cui il lavoro è merce - di scarso valore per giunta - e le lavoratrici ed i lavoratori sono arnesi da acquistare nell'ipermercato del lavoro, di cui servirsi per un po' e di cui liberarsi prima che acquisiscano diritti e tutele. È il trionfo dell'economia dell'usa e getta, che si estende definitivamente dal mondo dei prodotti (con gli effetti pesanti sull'ambiente che conosciamo) al mondo del lavoro (i cui pesanti effetti sociali sono ormai conosciuti da tante lavoratrici e tanti lavoratori precari).
L'esempio più clamoroso e significativo della concezione del lavoro da parte del Governo è rappresentato senza dubbio dal contratto di soggiorno introdotto nell'ordinamento dalla legge Bossi-Fini per i migranti, vero e proprio paradigma della precarietà connessa al razzismo e alla logica di guerra economica, sociale e militare.
La stessa Scuola e la stessa Università sono immaginate come luoghi di formazione per precari, in un modello adatto ad un mercato del lavoro iper-flessibile, senza garanzie e senza dignità.
L'approvazione della legge 30/2003 rappresenta un passaggio della fase politica a breve termine, chiudendo (per questo provvedimento) la fase dell'opposizione parlamentare e istituzionale per riaprire (ma mai si era chiusa) la fase del conflitto nei luoghi di lavoro e nella società.
Di fronte al tentativo delineato di ridurre le donne e gli uomini al lavoro in merce, il conflitto sociale e lo sciopero assolvono da sempre il compito di urlare al mondo che il lavoro non è merce, rivendicando in tal modo la sua umanità.
I giorni di sciopero sono i giorni in cui i lavoratori smettono di vendere il proprio tempo al padrone per regalarlo alla costruzione della propria dignità.
Questa costruzione di dignità, insieme individuale e collettiva, necessita tra l'altro di una rete di relazione tra i soggetti in carne e ossa che sappia porsi al livello dell'offensiva in atto ormai da oltre un ventennio in tutto il mondo.
È per questo che già durante il Social Forum Europeo di Firenze è partita la costruzione di una rete europea contro la precarietà che mettesse in relazione le diverse esperienze di opposizione e di conflitto al progressivo smantellamento della sicurezza del lavoro. In questo quadro è nato in dicembre il tavolo nazionale STOP PRECARIETÁ.
Sul terreno una grande quantità di questioni da affrontare, e insieme una gran quantità di occasioni per riaprire la partita contro l'offensiva padronale invertendo la rotta della precarizzazione del lavoro.
Articolo 18. Innanzitutto il referendum per l'estensione dell'articolo 18 ai lavoratori delle imprese con meno di 16 dipendenti. Una battaglia che concretamente incrocia la vita e la dignità di diversi milioni di lavoratori e che, per il suo forte valore simbolico, darebbe nuovo fiato alla lotta contro la precarietà.
Questo referendum costituisce un'opportunità tempestiva per inceppare l'azione devastante del governo Berlusconi e del ministro Maroni.
L'oggetto del referendum è perfettamente coerente con il tentativo del movimento dei social forum di estendere e generalizzare i diritti e le tutele a tante lavoratrici e tanti lavoratori.
Il referendum sull'articolo 18 offre una sponda politica concreta alle grandi mobilitazioni del 23 marzo, del 16 aprile, del 18 ottobre, all'impegno di tutto il movimento, della Cgil e dei sindacati di base.
La vittoria del Sì offrirebbe uno sbocco a queste mobilitazioni, abrogherebbe di fatto il patto per l'Italia, introdurrebbe, per la prima volta dopo un quarto di secolo, un elemento di rigidità e di dignità per il lavoro, rendendo più forte la lotta contro la precarietà che sta contraddistinguendo il movimento dei movimenti, i sindacati di base, la Fiom.
Perfino un'azione legislativa che intenda dare tutele e diritti a chi non li ha sarebbe rafforzata pur nel quadro difficile offerto dall'attuale maggioranza di governo.
Come per le mobilitazioni di massa contro la guerra, questa battaglia per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori consente di dar voce al sentire diffuso delle moltitudini che contrasta con i numeri delle maggioranze parlamentari.
Contratti. Un'altra partita che si apre è quella dei rinnovi contrattuali. Su questo terreno se da un lato si constata amaramente la fragilità della svolta cofferatiana della Cgil che comporta la costruzione di piattaforme di categoria ancora subordinate all'egemonia padronale, dall'altro si rileva l'importantissima eccezione dei metalmeccanici della Fiom che pongono al centro della loro vertenza le questioni della dignità salariale, della democrazia sindacale e della lotta alla precarietà.
Quest'ultimo aspetto rappresenta una rottura rispetto al passato e si concretizza attraverso la previsione di un limite temporale massimo di otto mesi per l'utilizzo di lavoro temporaneo sotto varie forme (contratti a termine, interinali, collaborazioni coordinate e continuative ecc.) al di là del quale il rapporto si trasforma in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Ovviamente è prevista l'impossibilità per l'azienda di sostituire, a conclusione del contratto, i lavoratori a termine con altri lavoratori a termine.
L'azione della federazione metalmeccanica della Cgil, è dunque un azione ad ampio raggio, che offre a tutto il mondo del lavoro, l'opportunità di un confronto sui contenuti concreti del lavoro con l'obiettivo di invertire l'opera più che ventennale di sfaldamento progressivo dei diritti degli uomini e le donne al lavoro.
La piattaforma della Fiom si muove in un quadro politico sindacale difficile, in rottura con Fim e Uilm (le federazioni metalmeccaniche di Cisl e Uil) e senza un supporto forte e concreto della stessa Cgil. Tuttavia la sua azione si muove coerentemente con la necessità di individuare nella lotta alla precarietà non un elemento vertenziale di nicchia, ma al contrario il punto di attacco al centro strategico di una condizione di debolezza del lavoro che rischia drammaticamente di generalizzarsi anche a quei lavoratori che i liberisti di destra e di sinistra chiamano, senza pudore, privilegiati.
È per questo che la partita del contratto metalmeccanico può e deve diventare un momento importante della battaglia del movimento per la generalizzazione dei diritti e delle tutele, un momento di opposizione specifico alla guerra sociale capace di coinvolgere la partecipazione e la mobilitazione di tante e tanti.
Vertenza Fiat. Un altro versante di conflitto sociale è la lotta sulla vertenza Fiat per la difesa dell'occupazione nell'azienda e il rilancio del ruolo del governo pubblico. Su questa vicenda si è realizzata un'importante saldatura tra il movimento e le lotte operaie, grazie all'esperienza dei Disobbedienti con i lavoratori in lotta a Termini Imerese.
La stagione che abbiamo davanti sarà dunque quella in cui si dovrà tentare un ampia e generalizzata coesione tra la soggettività operaia tradizionale e l'universo pluriforme delle nuove forme di lavoro precario. Dovrà essere la stagione in cui dovrà essere svelata nelle lotte e nelle pratiche di conflitto quotidiano, la stretta e drammatica coerenza tra la guerra permanente imperiale e lo sfondamento padronale strutturato attorno all'accentuazione delle forme di controllo e di disciplina dei lavoratori basate sull'estensione generalizzata della precarietà e dell'insicurezza nei luoghi di lavoro.
Per far questo dovrà essere anche la stagione dell'inchiesta, anzi la stagione dell'intreccio e della simultaneità tra il conflitto e l'inchiesta.
Per questa ragione il gruppo "Giustizia Sociale e Diritti dei Lavoratori" del Firenze Social Forum ha proposto al tavolo nazionale STOP PRECARIETÁ di cui fa parte, di cominciare una mappatura di tutte le esperienze di lotta che in questi anni sono state condotte in varie parti d'Italia sul terreno dell'opposizione alla precarietà. Si tratta del tentativo mettere a disposizione di tutti un patrimonio di esperienze di conflitto in modo da indagare la condizione di lavoro di alcune realtà significative, metterle in relazione, e consentire la diffusione orizzontale di informazioni su quelli che sono state le forme, le modalità e gli esiti di tali lotte.
Siamo convinti che in questo modo si potrà cominciare a configurare davvero una rete concreta contro la precarietà.
In questo un ruolo importantissimo dovrebbe essere svolto dalle realtà di movimento del Mezzogiorno.
È aperta la necessità che anche a sud si sviluppi un'inchiesta militante sulle condizioni del lavoro, un'inchiesta capace di raccontare un pezzo significativo di realtà sociale del nostro paese. Un racconto capace di connettersi ai racconti degli altri pezzi della produzione globalizzata, non soltanto per descrivere la realtà per quella che è, ma per offrire le basi per trasformarla.