Salute, sanità e logiche bancarie: il caso del Mali
di Roberto Covolo

Nello scorso numero abbiamo analizzato come i cambiamenti economici avvenuti a livello mondiale negli ultimi decenni abbiano modificato profondamente lo stato di salute dei popoli ed il loro accesso ai servizi sanitari essenziali. Circa 17 milioni di persone muoiono ogni anno nel mondo a causa di malattie curabili facilmente e che, nella maggior parte dei casi potrebbero essere evitate con azione di prevenzione a bassissimo costo, talvolta inferiore ad un dollaro. Il costo mondiale per l'accesso ai servizi sanitari di base è di circa 25 miliardi di dollari all'anno, pari al 3% degli 800 miliardi di dollari destinati ogni anno alle spese militari su scala globale.
Al momento stiamo attraversando una crisi della sanità al Nord come al Sud del pianeta, caratterizzata dalla trasformazione dei cittadini che necessitano di cure in consumatori di servizi, dall'abbandono progressivo di adeguate politiche sanitarie di prevenzione, dall' introduzione di meccanismi di concorrenza tra gli erogatori di servizi e dal ruolo primario assegnato al mercato nell'orientare il finanziamento del settore sanitario.
La mancata realizzazione dei principi di sanità di base universale ispirati alla Dichiarazione di Alma-Ata ha ulteriormente aggravato la crisi della sanità mondiale: nei PVS, a causa dei tagli sulla spesa sociale decisi dai governi nel quadro delle politiche neo-liberiste di aggiustamento strutturale imposte da Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, i servizi sanitari sono scarsamente accessibili, non equamente distribuiti ed inadeguati rispetto alle esigenze effettive delle popolazioni.

Estesa tra i primi rilievi dell'Africa guineana ed i massicci del Sahara centrale, la Repubblica del Mali è uno dei più vasti paesi dell'Africa subsahariana. La sua popolazione è di 10,4 milioni di abitanti, la cui grande maggioranza (73%) risiede in zone rurali ed è ripartita in modo assai ineguale sul territorio nazionale: i ¾ della superficie del paese ospitano meno del 10% degli abitanti.
La situazione demografica del Mali si caratterizza per un tasso di crescita demografica superiore al 3% annuo, per la giovane età media della popolazione e per tassi di fecondità e mortalità tra i più elevati al mondo che si spiegano in parte con la precocità della nuzialità e della fecondità stessa. Ogni donna in età fertile ha in media sette figli; una maliana su due è già sposata all'età di 16 anni ed ha già messo alla luce il primo figlio a 17 anni. Di conseguenza la popolazione è molto giovane (il 46% dei maliani ha meno di 16 anni) e apporta una pressione costante sul mercato del lavoro che, non reggendo il carico dei numerosi giovani in età lavorativa, alimenta il fenomeno dell'emigrazione, il quale riveste un ruolo importante nella vita sociale ed economica del paese con circa 4 milioni di cittadini residenti all'estero (soprattutto in Francia), le rimesse dei quali costituiscono una considerevole fonte di reddito per molte famiglie.
Secondo l'Observatoire du Développement Humain Durable et de Lutte Contre la Pauvreté il fenomeno della povertà colpisce il 71% della popolazione maliana: esso si manifesta soprattutto in ambito rurale e coinvolge principalmente le famiglie dei lavoratori del settore agricolo (l'80% della forza lavoro complessiva).

La grande maggioranza dei maliani è analfabeta e poco scolarizzata: il tasso di alfabetizzazione per gli adulti è del appena del 29% (addirittura del 12% per le donne), mentre la scolarizzazione non tocca che il 59% dei ragazzi ed il 46% delle ragazze -quest'ultimo tasso è assai lontano dalla media sub-sahariana che si avvicina all'80%-.
Le debolezze del settore educativo sono testimoniate anche dalle carenze infrastrutturali e dal numero insufficiente di insegnanti: nelle scuole di primo ciclo ogni classe accoglie in media circa 74 alunni ed il rapporto maestri/alunni è di circa 1 a 72. Oltre allo scarso livello della formazione iniziale e continua degli insegnanti, l'insufficienza del materiale didattico costituisce un'ulteriore limitazione con solamente un libro ogni tre alunni e la inesistenza pressoché totale di questo tipo di materiale per discipline quali la matematica e le scienze.

Il Mali è considerato tra i paesi al mondo con i più alti tassi di mortalità infantile (145 e 99 per mille rispettivamente in ambito rurale ed urbano) e infanto-giovanile (273 e 190 per mille). Secondo l'EDS III (Enquête Démographique et de Santé 2001) circa il 40% dei bambini con meno di 5 anni presentano un ritardo nella crescita legato principalmente a condizioni di malnutrizione cronica o acuta. Metà della popolazione (49% nel 1999) non ha accesso all'acqua potabile e solo una esigua minoranza delle abitazioni (8%) possiede infrastrutture adeguate per l'evacuazione degli escrementi: l'insalubrità dell'acqua e dell'ambiente favoriscono l'insorgere e la propagazione di malattie infettive quali la malaria, la tubercolosi, il tifo, le infezioni respiratorie acute, le affezioni diarroiche, che colpiscono soprattutto i gruppi più vulnerabili delle comunità (bambini da 0 a 5 anni, donne incinte, anziani).
Anche la mortalità materna registra tassi drammaticamente elevati: 577 donne muoiono ogni 100.000 parti. Le cause di quella che i Bambara chiamano "mùsò kele" (la "guerra delle madri") vanno ricercate da un lato nelle complicazioni (spesso banali come emorragie ed infezioni) legate a gravidanze precoci, numerose o tardive e nelle condizioni di parto sovente precarie in ambito rurale; dall'altro nel sotto-utilizzo dei servizi sanitari di base e nell'insufficienza della presa in carico delle urgenze ostetriche.
L'incidenza dell'Aids/Hiv sulla popolazione maliana è del 2%, con picchi dal 20 al 40% tra i gruppi a rischio (camionisti, venditori ambulanti, domestiche, ecc.). Pur non assumendo i tratti della pandemia (come in paesi quali il Mozambico, il Rwanda o la Tanzania dove le percentuali di infezioni sulla popolazione superano il 10%) l'Aids/Hiv costituisce una costante preoccupazione per il paese, in un contesto dove, in ambito rurale, il 68% delle donne ed il 32% degli uomini non possiedono alcuna informazione sulle malattie sessualmente trasmissibili e dove circa la metà delle donne maliane (47%) pensa che non esista alcun mezzo per evitare di contrarre l'Aids.
Il cattivo stato di salute della popolazione si riflette sulla bassa speranza di vita alla nascita: con un dato pari a 47 anni il Mali si colloca nelle ultime posizioni al mondo questa triste graduatoria.

Dall'inizio della stagione democratica il Mali è divenuto uno dei migliori "allievi" africani delle istituzioni di Bretton Woods, come dimostrano le performance macro-economiche, che hanno valso al paese la visita dell'ex-presidente della Banca Mondiale James Wolfhenson, poco dopo la sua elezione nel 1995.
Ciò si traduce nel susseguirsi dell'attuazione di piani di aggiustamento strutturale, i cui obiettivi (rilancio dell'economia del paese e successi nella lotta contro la povertà) vengono in realtà smentiti dal gap tra le prestazioni macro-economiche ed il deterioramento galoppante del livello di vita della maggior parte dei maliani: nonostante l'economia maliana abbia registrato a partire dal 1994 (anno della svalutazione del franco CFA) un tasso di crescita pari al 3,3% annuo -superiore addirittura al ritmo di crescita della popolazione pari al 2,2%-, tale congiuntura non si è tradotta in un restringimento della fascia di povertà che coinvolge i 2/3 dei cittadini maliani.
Le politiche economiche varate dai due governi che si sono succeduti dal 1992 ad oggi, in fedele applicazione della consueta "ricetta" somministrata da Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, sono improntate al liberismo economico ed alla privatizzazione, aprendo il paese ai capitali occidentali che divengono padroni a basso costo di società ed imprese già appartenenti allo Stato.
La corsa alla crescita economica, ad esempio, si è tradotta nel settore agricolo -il più importante dell'economia maliana- in un'espansione selvaggia della superficie coltivata a cotone a scapito delle colture cerealicole. La CMDT, compagnia maliana (a compartecipazione francese per il 40% dei capitali) per lo sviluppo del settore tessile, che possiede il monopolio del settore cotoniero, negli ultimi anni ha premuto a fondo sull'acceleratore della produzione raggiungendo utili annui superiori ai 50 miliardi di franchi CFA -fondi quasi interamente versati all'erario per permettere il rimborso degli interessi dei debiti bilaterali e multilaterali contratti dallo Stato-.
L'introduzione della coltura del cotone in zone a vocazione prettamente cerealicola come la regione di Kayes, ha determinato negli ultimi anni una grave penuria di cereali sui mercati locali. Questo fenomeno, già di per sé preoccupante, unitamente alla forte richiesta da parte dei paesi vicini di cereali maliani resi competitivi dalla svalutazione del franco CFA, ha determinato un aumento vertiginoso dei prezzi, mettendo in pericolo la sicurezza alimentare di un gran numero di famiglie di produttori in zone deficitarie.
Inoltre, per aumentare la superficie coltivata a cotone, non si è esitato in alcuni casi a deforestare zone protette, addirittura all'interno di parchi nazionali -come è successo nel parco del Baoulé-, provocando danni ambientali irreparabili.
Infine, l'uso massivo di pesticidi necessari per garantire un buon livello produttivo di cotone per superficie coltivata, ha provocato la morte di diversi agricoltori avventuratisi per la prima vota in questo tipo di produzione, adescati dalla prospettiva di guadagni più cospicui.
Anche il settore del pubblico impiego ha risentito fortemente dell'impatto dell'aggiustamento strutturale: in seguito alle misure di "razionalizzazione" prese nel quadro della riduzione delle dimensioni della pubblica amministrazione e dei programmi di privatizzazione del settore para-statale, gli indici di impiego nel settore pubblico mostrano una forte tendenza al ribasso con 15.000 licenziamenti effettuati nel periodo 1994-2000.

In definitiva, la presenza delle istituzioni finanziarie internazionali in Mali assume i connotati di un vero e proprio dominio assoluto. Attualmente la Banca Mondiale, presente in Mali con una missione residente, finanzia -a credito- 17 progetti in corso di esecuzione nei principali settori di sviluppo: dalla sanità all'istruzione, dallo sviluppo rurale alle infrastrutture nessun ambito pubblico è risparmiato dalla logica neoliberista del profitto.
L'ingerenza totale delle istituzioni di Washington su investimenti, gestione delle risorse e pianificazione dello sviluppo in Mali pone dei seri dubbi sugli effettivi spazi di autonomia agibili dai governanti di questa giovane democrazia nel cuore del Sahel: l'atto di governare assume le sembianze di una funzione "depotenziata" che si risolve nell'accettare le condizioni imposte dai partners finanziari e nel conformarsi ad un modello di sviluppo non negoziabile; nell'essere efficienti nel mantenimento dell'ordine pubblico; nello sfruttare al massimo e senza remore qualsiasi risorsa disponibile pur di vedere crescere il prodotto interno lordo; in ultimo e su tutto, nel rispettare le scadenze di pagamento degli interessi di un debito estero che assorbe annualmente circa il 20% delle finanze pubbliche. A tale proposito valga il dato per cui con un debito estero pari a 1618 miliardi di franchi CFA (2500 milioni di euro circa), il Mali fa parte della quarantina di paesi che sono stati dichiarati dalle istituzioni finanziarie internazionali "Pays Pauvres Trés Endettés" (paesi poveri molto indebitati). Tale condizione, nonché gli sforzi di adesione alle politiche di aggiustamento strutturale, hanno sancito l'eleggibilità del Mali a partecipare all'iniziativa PPTE a partire dal 2001: essa prevede che il paese possa beneficiare ad una riduzione del debito pari a circa 850 milioni di euro in un periodo di trenta (!) anni, al fine di renderlo "sopportabile". Il "Rapport National sur le Developpement Humain Durable 2000", elaborato dal Ministero dello Sviluppo Sociale in collaborazione con il PNUD e la Banca Mondiale, la definisce una misura "largamente insufficiente rispetto al peso del debito estero maliano ed alle sue conseguenze sociali".

"Dicono di portare i malati al Centro di salute, ma se non si hanno i soldi per pagare il miglio, si può andare al dispensario a pagare la visita o le ricette?"
Una donna di Bandiagara

Teoricamente, la parte del bilancio dello Stato maliano consacrata alla salute delle popolazioni toccava i 150 dollari l'anno per abitante prima della svalutazione del 1994. Oggi si attesta sotto i cento dollari: difficilmente questa tendenza al ribasso potrà invertirsi nel breve periodo, visto che il Governo, come abbiamo visto, segue con particolare zelo le manovre di aggiustamento strutturale suggerite dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca Mondiale, che, tra le altre cose, spingono a un contenimento della spesa nei settori sociali. Lo Stato investe poco più dell'8% del suo budget annuale nel settore sanitario, mentre il servizio del debito assorbe annualmente più del 20% delle risorse finanziarie.
Inoltre all'interno delle spese sanitarie si rileva una grande disparità tra le spese per i servizi specialistici e per il personale qualificato a livello centrale e le spese destinate alla sanità di base: queste ultime, in rapporto a quelle dell'insieme del settore sono passate dal 15% (1993) al 9% (1999).
Questa condizione di particolare penuria di risorse, sommata all'ineguale distribuzione delle infrastrutture e all'insufficienza di risorse umane qualificate (1 medico ogni 20.955 abitanti, 1 infermiere ogni 11.123 abitanti, 1 ostetrica ogni 12.662, di contro alle norme suggerite dall'OMS riguardo alla distribuzione del personale sanitario rispetto alla popolazione: 1 medico ogni 10.000 abitanti, 1 ostetrica ogni 5.000, 1 infermiere ogni 5.000) fa sì che la copertura sanitaria media per l'insieme del paese si collochi intorno al 30% nel raggio di 15 chilometri: ovvero due maliani su tre, in caso di necessità, devono percorrere un tragitto più lungo di 15 chilometri per raggiungere un presidio sanitario.

In Mali le infrastrutture sanitarie fanno riferimento agli ospedali nazionali, a quelli regionali e agli ospedali cosiddetti secondari. Ogni capoluogo di Cercle (46 distretti territoriali ed amministrativi in tutto il territorio nazionale) è dotato di un Centro di salute, che generalmente comprende un dispensario, una maternità, un servizio per l'igiene e gli affari sociali. All'interno dei Cercle, ogni Arrondissement (281 circoscrizioni territoriali ed amministrative) possiede un dispensario. Il Ministero della Sanità ha in carico le infrastrutture e il personale (la cui retribuzione manifesta comunque ritardi consistenti e sistematici con conseguenti problemi di motivazione per gli operatori del settore) sino al livello Arrondissement, mentre gli eventuali servizi nei centri di base esistenti sono a carico della comunità locale secondo il principio della ricopertura dei costi e della partecipazione delle popolazioni alla messa in opera e alla gestione delle strutture di cura, elegantemente detta "salute comunitaria".

L'avvento della forma di organizzazione della salute comunitaria in Mali non è stato pianificato dalle strutture pubbliche di tutela: di fronte al progressivo disimpegno dello Stato nel settore sanitario nel corso degli anni Ottanta e alla sostanziale assenza di qualsiasi strategia di salute pubblica per i quartieri popolari della capitale, nasceva a Banconi -quartiere urbano marginale di Bamako-, su spinta di un gruppo di giovani medici -impegnati tra l'altro nella lotta clandestina contro la dittatura-, il primo Centre de Santé Communautaire (CSCom): questa esperienza voleva dimostrare che, di fronte alla latitanza dell'intervento statale, era possibile che le comunità si auto-organizzassero per farsi carico dei problemi della propria salute e che, in questo ambito, si potevano fornire prestazioni sanitarie di qualità a prezzo accessibile.
Di questa esperienza "rivoluzionaria" si impadronirà, nel 1993, il progetto sanitario chiamato PSPHR (Projet Santé, Population et Hydraulique Rurale), facendone il nucleo di una nuova ortodossia integralista , finanziata -a prestito e non a dono- dalla Banca Mondiale e ispirata ai principi del Rapporto Investing in Health. Alla nuova politica settoriale per la sanità il discorso di democrazia dal basso e di "presa in carico" della propria salute da parte delle comunità che stava alla base del primo CSCom, interessava solo nella parte riguardante la partecipazione finanziaria della popolazione, che, alleggerendo il bilancio dello Stato, poteva contribuire a migliorarne i parametri macroeconomici.
Di un sol colpo la nuova politica settoriale ha preteso di cancellare la base della piramide sanitaria come, per esempio, gli agenti di salute di villaggio, le esperienze spesso positive delle maternità rurali e l'opera preziosa svolta dalle levatrici tradizionali riciclate, le vecchie donne, madri di molti figli, che da sempre nei villaggi si occupano di assistere ai parti e alle quali era stata impartita una formazione di base sull'igiene del parto e sulla individuazione delle gravidanze a rischio ed era stata fornita una borsa con il minimo di strumenti di medicazione e farmaci necessari (forbici, bende alcool, etc.)

Il PSPHR prevede che i Cercle vengano divisi -con criteri spesso non corrispondenti né alla precedente divisione amministrativa né ai nuovi comuni rurali previsti dalle riforme di decentralizzazione dello strutture dello Stato- in aree sanitarie con circa 5.000 abitanti, al cui centro venga costruito un CSCom. Ovviamente, si è cominciato ad organizzare i primi CSCom nelle aree cosiddette "viables" cioè vitali, suscettibili di sviluppo, ma in pratica in grado di farsi carico, dal punto di vista principalmente economico, dei numerosi impegni che il programma pretende. Condizione necessaria, ma non sempre sufficiente , della possibilità che un CSCom possa essere "viable" dal punto di vista economico è che la popolazione sia concentrata nel raggio di cinque chilometri dalla struttura sanitaria: purtroppo tale condizione è nella maggioranza delle aree remota dal potersi verificare in quanto circa l'80% della popolazione vive in aree rurali a bassa densità abitativa.
Lo schema del CSCom è prestabilito: una maternità, un dispensario e un deposito di farmaci; il personale deve essere formato da un ICPM (infermiere capo di posto medico) e da una levatrice, che si deve occupare anche della vendita dei farmaci; i salari devono essere recuperati dai ticket che i malati pagano per le diverse prestazioni, che sono, ovviamente, tutte a pagamento, in una strategia di recupero totale dei costi. Tuttavia molti CSCom già operativi hanno dimostrato forti limiti nella capacità di autofinanziamento legati alle ristrette possibilità economiche della maggior parte delle aree: ciò comporta che il 40% del personale percepisce una retribuzione inferiore alla soglia di salario minimo stabilito dal Ministero del Lavoro in poco più di 20.000 CFA (circa 30 euro).
Durante i cosiddetti "approches communautaires" l'équipe socio-sanitaria del Cercle visita i villaggi dell'area sanitaria e convince le popolazioni ad associarsi in una ASACO (Associazione per la salute comunitaria) e ad accettare, praticamente a scatola chiusa, un protocollo d'accordo che prevede:

· l'impegno ad assicurare al posto dello Stato un servizio pubblico che garantisca un pacchetto minimo di attività;
· il pre-pagamento del 25% del costo delle nuove infrastrutture, il cui piano tipo è predisposto dalla Banca Mondiale (la logica integralista del PSPHR tende ad imporre la costruzione del nuovo blocco anche laddove con un minor apporto finanziario sarebbe possibile rinnovare le vecchie strutture esistenti, che spesso sono più spaziose e funzionali delle nuove).
· l'impegno ad assicurare le spese di funzionamento del CSCom ed il mantenimento dell'infrastruttura.

Quando la somma corrispondente alla compartecipazione delle comunità, che si aggira attorno a 2.000.000 F CFA (circa 3.000 euro), viene interamente versata, scatta la costruzione delle opere civili, la formazione del personale, l'equipaggiamento, una prima fornitura di farmaci, etc. Tuttavia non sono poche le aree sanitarie dove la controparte delle comunità è stata versata, ma lo Stato non è in grado di onorare la sua parte di contratto: di fatto, alla fine del 2000, erano operativi nel paese solo 157 CSCom su 514 previsti.
Si è arrivati così ad una caduta reale della copertura sanitaria, con le aree "non viables" abbandonate di fatto a se stesse ed i villaggi distanti più di cinque chilometri da un CSCom altrettanto dimenticati: ad esempio, nel Cercle di Kolokani il tasso di popolazione avente accesso ai CSCom è del 44%, ma solamente il 13% della popolazione (residente nel raggio di 5 chilometri dalle strutture sanitarie) ha reale accesso alle cure sanitarie primarie; il 31% che risiede a più di 5 chilometri ha un accesso pressoché esclusivamente teorico (Fonte: Accessibilité au PMA de la Region de Koulikoro pour le premier semestre 2000, Direction Régional de la Santé Publique de Koulikoro, 2000). Del resto le strutture e le persone che assicuravano un minimo di prestazioni sanitarie nelle zone più deboli restano prive di riferimento, di formazione, di supervisione.
Il risultato di questo orientamento della politica sanitaria è evidenziato dal tasso nazionale di frequentazione dei centri di salute a tutti i livelli: 0,17 prestazioni sanitarie l'anno per abitante. Ciò significa che in Mali 8 persone su 10 restano ogni anno senza alcun contatto con i servizi sanitari.
Secondo le stime dell' Enquête Budget-Consommation 1998 la parte destinata alle spese sanitarie nel consumo globale delle famiglie è di poco superiore al 2%: il debole potere d'acquisto delle famiglie impedisce in molti casi l'accesso ai servizi sanitari e conduce a ridurre allo stretto necessario le consultazioni, privilegiando soluzioni alternative come l'automedicazione ed il ricorso alle risorse della medicina tradizionale -queste ultime,tra l'altro, assolutamente non prese in considerazione dal PSPHR come risorsa terapeutica e supporto all'assistenza sanitaria di base, soprattutto nelle zone rurali-.
Di fronte a questi dati ci si sarebbe aspettata una profonda autocritica da parte dello Stato e dei partners allo sviluppo del Mali: al contrario, il gruppo ad hoc del Ministero della Sanità ha tirato fuori, all'interno del PRODESS (Programme de Développement Sanitarie et Social) che dal 1999 ha rimpiazzato il PSPHR, la proposta di allargare le aree sanitarie da 5.000 a 10.000 abitanti, ottenendo così il risultato di aumentare la copertura teorica ma diminuendo drasticamente la copertura reale: la maggioranza della popolazione delle aree si troverebbe così ad oltre 20 chilometri dal CSCom di riferimento, con un accessibilità praticamente nulla.

Sotto l'eufemistico titolo di "partecipazione comunitaria", in realtà svuotato di ogni significato concreto, la riforma della Banca Mondiale avanza la pretesa -non dimostrata- che i CSCom siano la base della piramide sanitaria, mentre ciò è vero, in parte, esclusivamente per il villaggio dove il Centro di Salute è fisicamente presente e, ancora più parzialmente, per i villaggi nel raggio di 5 chilometri dal centro, ove non ci siano altri problemi di accesso. Per tutti gli altri il CSCom è già un primo livello di referenza.
Al di là del modello "preconfezionato" esportato in Mali dalla Banca Mondiale, la vera base della piramide è nei villaggi più isolati delle aree in cui esiste un CSCom in attività, e in tutti i villaggi delle aree in cui un CSCom non è ancora attivo (e che, agli attuali ritmi di finanziamento dovranno aspettare ancora anni), e per le aree cosiddette "non viables" per le quali non esiste attualmente alcuna ipotesi di copertura sanitaria e che probabilmente un CSCom non lo vedranno mai perché non sono in grado di mantenerselo. Le une e le altre aree sono praticamente cancellate dal mondo dei vivi, dato che, incredibilmente, le loro popolazioni non rientrano neanche nel denominatore delle formule con cui vengono calcolati gli indicatori ufficiali di copertura sanitaria utilizzati dalla Banca Mondiale per dimostrare il presunto andamento positivo della riforma sanitaria e incentivarne l'estensione!

* Roberto Covolo, frequenta attualmente un "Corso di gestione dei servizi sanitari nei Paesi con risorse limitate" promosso da CUAMM-Medici con l'Africa e Università degli Studi di Padova

maggio - agosto 2003