Pace*
di Thorstein Veblen

Una critica accesa ha diligentemente cercato di trovare punti deboli nel Trattato che è stato messo a punto e sottoscritto dai rappresentanti delle grandi potenze. La critica è stata animata e volubile, ma nel complesso singolarmente futile. Nello stesso tempo, i portavoce di questo Trattato mostrano una singolare mancanza di sicurezza; parlano in un tono di dubbiosa speranza piuttosto che di entusiastica convinzione. E gli uomini di stato che sostengono questo Trattato lo fanno con accattivante aria di modestia e furtiva apprensione, atta a suscitare uno spirito di benevolenza e di simpatia alla presentazione di un'impresa di dubbie prospettive, piuttosto che tattiche ostruzionistiche e critica violenta. Essi stanno dicendo, infatti: Noi abbiamo fatto il meglio (1) che potessimo, date le circostanze. È un gran peccato che essi non siano stati in grado di fare di meglio. Speriamo per il meglio e che Dio ci aiuti tutti!
Il meglio deve sempre essere abbastanza buono e il Trattato è il meglio che la saggezza politica dei tre continenti sia stata in grado di trovare in una ricerca, durata cinque mesi, dei modi e mezzi per mettere fine alla guerra. Ma questo meglio avrà sempre i difetti insiti nelle sue qualità. E difetti quali quelli che ancora caratterizzano il Trattato saranno meglio compresi e potranno essere meglio giustificati e considerati, se visti alla luce delle sue qualità. Ora, quanto alle sue qualità, il Trattato è un documento politico, uno strumento di Realpolitik, creato ad immagine dell'imperialismo del diciannovesimo secolo. Esso è stato realizzato da uomini di stato politici, su basi politiche, per fini politici e con un apparato politico da impiegarsi con effetto politico. Esso mette a fuoco il meglio e le più alte tradizioni del nazionalismo commercializzato, (2) ma oltre a ciò non contiene nient'altro. Il risultato è un accordo politico che perfino i suoi sostenitori e difensori considerano con un acuto senso della sua inadeguatezza o forse piuttosto della sua totale vacuità.
Il difetto non è nel fatto che il Trattato non raggiunga l'obiettivo, ma piuttosto che esso esuli totalmente dal nocciolo della questione. Il punto è evitare la guerra, a tutti i costi; la guerra scaturì inevitabilmente dallo status quo politico; il Trattato ristabilisce lo status quo, con l'aggiunta di qualche altro apparato politico fornito dalla medesima bottega. Fedele alla tradizione politica, il Trattato provvede ad imporre la pace mediante il ricorso alle armi ed alle ostilità commerciali, ma non prevede misure per evitare la guerra mettendo fine allo status quo da cui la guerra ha avuto origine. Lo status quo era uno status di nazionalismo commercializzato. Le tradizioni che li impongono non permettono che nient'altro, oltre che questi fini, modi e mezzi politici del nazionalismo commercializzato, rientri nell'ambito di percezione di competenza dei vecchi statisti che hanno avuto questo compito da eseguire. Quindi non c'è niente da fare.
Ma il Trattato è dopo tutto il meglio che ci si poteva ragionevolmente aspettare. Esso incarna il meglio e le più alte tradizioni dell'arte di governo del diciannovesimo secolo. Poiché esso opera in tal modo, poiché esso è concepito nello spirito del liberalismo Medio-Vittoriano piuttosto che nello spirito dell'imperialismo Medio-Europeo è da mettere in conto all'America e al Presidente dell'America. Ma poiché esso rimane fisso come sospeso su quel fondamento superato, invece di progredire a fianco del ventesimo secolo, è anche da accreditare allo stesso potere. Esso è eminentemente il Trattato dell'America, fatto e previsto con il supremo parere e assenso del Presidente dell'America. E questo parere e assenso è andato alla elaborazione del Trattato nella ingenua fede che il nazionalismo commercializzato risolva tutte le cose. La sfortunata, e sfortunatamente decisiva, circostanza del caso è, quindi, che il punto di vista e gli ideali del Presidente siano in tal modo fondati sulle tradizioni politiche del liberalismo Medio-Vittoriano, e che i suoi consiglieri siano stati animati da tradizioni politiche di ancor più ristretta ed antiquata fattura. Successivamente si è cercato di porre rimedio alle difficoltà connesse alla una nuova situazione industriale ed al conseguente nuovo orientamento dell'indole popolare, riassettando lo status quo ante politico.
Ora, anche ad una superficiale riflessione, dovrebbe essere chiaro a chiunque che questo Trattato è stato imposto ai politici dall'attuale stato del sistema industriale. La grande guerra ha avuto il suo corso entro i confini del sistema industriale, ed è divenuto evidente che nessuna nazione è in grado da sola, d'ora innanzi, di prendersi cura delle proprie sorti all'interno di questo sistema, in cui tutti i popoli civili sono legati tra loro. E dovrebbe essere altrettanto chiaro, ad una altrettanto superficiale riflessione, che nessun riaggiustamento delle intese raggiunte tra i popoli interessati può sperare di toccare il cuore dei problemi, a meno che il suo campo di applicazione non sia il medesimo del sistema industriale e purché esso non sia realizzato considerando ciascuno per proprio conto le esigenze industriali del caso e si caratterizzi per un totale rifiuto dei precedenti e delle ambizioni politiche e nazionaliste, che impediscono il libero funzionamento di questo sistema industriale.
Il tempo trascorso dall'epoca Medio-Vittoriana è stato un periodo di mutamenti senza precedenti nelle tecniche industriali e negli accordi operativi necessari alla produzione industriale. L'industria produttiva di tutti i popoli civili è stata unificata dal continuo progresso delle arti industriali verso un unico comprensivo sistema strettamente connesso, una rete di dare e avere meccanicamente bilanciata, tale che nessuna nazione e nessuna comunità può ora condurre i propri affari industriali separatamente o con fini in contrasto con gli altri, se non a costo di sconvolgimenti e stenti sproporzionati per sé e per tutti gli altri. Tutto ciò è semplice e ovvio per coloro che hanno piena familiarità con le esigenze tecniche della produzione. A tutti costoro è ben noto che, per le finalità dell'industria produttiva, e quindi al fine del benessere e del soddisfacimento dei bisogni della gente, le divisioni nazionali non sono in nulla meglio di divisioni casuali, arbitrarie ed ostruttive di un insieme unitario. E a causa di questo stato di cose, ogni regolazione o diversione del commercio o dell'industria nell'ambito di ognuna di queste entità nazionali comporta conseguenze più gravi per tutti gli altri che per essa stessa. Tuttavia il Trattato non prevede alcuna abolizione di quell'intreccio ostruttivo nazionalista, che costituisce la reale sostanza della "autodeterminazione delle nazioni".
Nello stesso tempo, ciò che principalmente impaccia il quotidiano procedere della produzione industriale e maggiormente mette alla prova l'indole popolare sotto il nuovo ordine di cose è il sempre più ostruttivo e sempre più irresponsabile controllo della produzione da parte degli interessi costituiti del commercio e della finanza, ciascuno alla ricerca del suo proprio profitto a spese della popolazione soggetta. Tuttavia il Trattato non contempla alcuna abolizione di questi interessi costituiti, che si stanno rapidamente avvicinando ai limiti della sopportazione popolare; ciò in quanto il Trattato è uno strumento politico, fatto e previsto per la riabilitazione dell'intreccio politico Medio-Vittoriano e per il mantenimento degli interessi costituiti del commercio e della finanza. Il lamento dell'uomo comune è stato: Che dobbiamo fare per salvarci all'esterno dalla guerra e all'interno dalla discordia? E la risposta data nel Trattato è la buona vecchia risposta dei vecchi statisti del Vecchio Ordine - la provvista di forza armata sufficiente a reprimere ogni scomposta spinta delle passioni fra la popolazione sottomessa, con il debito consiglio e consenso della dittatura stabilita dai vecchi uomini di stato.
Ora, la grande guerra è stata determinata proprio dalla crescita maligna di tale nazionalismo commercializzato all'interno di questo sistema industriale, ed è stata combattuta fino ad una conclusione vittoriosa come una lotta delle forze industriali e con il fine di una duratura pace di benessere e di prosperità industriale; almeno così dicono. Sarebbe sembrato di conseguenza ragionevole incaricare dell'accordo coloro che sanno qualcosa del funzionamento e delle esigenze di questo sistema industriale su cui in fin dei conti gira il benessere dell'umanità. A chiunque la cui prospettiva non fosse confinata nei limiti delle tradizioni politiche Medio-Vittoriane apparirebbe chiaro che la prima mossa in direzione di una pace duratura dovrebbe essere la soppressione degli interessi costituiti e delle pretese nazionali ogniqualvolta essi riguardino la gestione dell'industria; e a svolgere questa funzione dovrebbero logicamente essere coloro che conoscono le esigenze del sistema industriale e non sono influenzati da moventi commerciali. Una sistemazione duratura dovrebbe essere affidata a ingegneri della produzione ragionevolmente imparziali, piuttosto che ai timorosi luogotenenti politici degli interessi costituiti. Questi uomini, specialisti tecnici, supervisori del lavoro, competenti sovrintendenti del sistema, sono esperti dei modi e mezzi dell'industria e conoscono le condizioni di vita imposte all'uomo comune, oltre ad avere familiarità con le risorse disponibili e con gli impieghi cui esse devono essere adibite. Di necessità, in guerra ed in pace, è compito di questi lavoratori del livello più elevato prendersi cura del sistema industriale e del suo funzionamento, per quanto le tattiche ostruttive degli interessi costituiti e degli statisti commerciali lo permettano, poiché, senza la loro costante supervisione e correzione, questo sistema di produzione ad alta tecnologia non funziona affatto. Logicamente dovrebbe essere affidato a loro o a persone con analoghe caratteristiche il compito di elaborare un accordo atto a legare i popoli civili in relazioni amichevoli, come una ditta ben avviata, impegnata in una impresa industriale societaria. Comunque, non vale la pena speculare su ciò che essi o loro simili potrebbero proporre, dal momento che né loro né le loro opinioni hanno avuto parte alcuna nel Trattato. Il Trattato è un accordo del nazionalismo commercializzato, senza ripensamenti.
Per tornare ai fatti: L'esito della grande guerra è stato deciso e la pace è ora in vista, per il lavoro di squadra di soldati e lavoratori e del personale politico. Il costo, la fatica e gli stenti sono ricaduti sui soldati ed i lavoratori e inoltre è principalmente la loro sorte ad essere in bilico in questo momento. Il personale politico non ha perduto né rischiato niente e non ha nulla da rischiare nell'incertezza fra ulteriore guerra o pace. Ma in questi negoziati sulla pace solo il personale politico ha avuto voce. Né coloro che hanno fatto il necessario combattimento al fronte né quelli che hanno fatto il necessario lavoro a casa hanno avuto parte alcuna in tutto ciò. La conferenza è stata un conclave (3) composto dai portavoce del nazionalismo commercializzato, in pratica un conclave dei luogotenenti politici degli interessi costituiti. In breve, non ci sono stati Rappresentanti dei Soldati e dei Lavoratori ammessi in questo Soviet di Vecchi Statisti, che ha conferito la dittatura ai rappresentanti politici degli interessi costituiti. In complesso, né i desideri né il benessere dei soldati, dei lavoratori e del sistema industriale come azienda in funzionamento sono stati evidentemente considerati nella stesura di questo Trattato. Comunque, per evitare ogni apparenza di sgarbata esagerazione, si dovrebbe forse notare, a titolo di eccezione, che si potrebbe sostenere che i lavoratori americani siano stati rappresentati in questa corte di statisti del vecchio ordine, informalmente, ufficiosamente ed irresponsabilmente, dal sagrestano mazziere (4) dell'A.F.L. (5); ma si ammetterà che questa riserva non ha nessuna seria incidenza sulla più ampia affermazione precedente.
Né il valore né il costo di questo Trattato possono apprezzarsi pienamente prescindendo dallo sfondo e dai fini ed interessi che si muovono sullo sfondo. Poiché ora esso si profila contro questo sfondo oscuro di patti occulti occultamente raggiunti nei mesi scorsi, il Trattato sta cominciando ad apparire come un ultimo disperato accordo di un'arte di governo al crepuscolo per la preservazione delle classi mantenute (6) e degli interessi costituiti del mondo civile di fronte ad una situazione minacciosa. Perciò, nel caso in cui il Trattato dovesse dimostrarsi così duraturo ed essere utile in questo frangente in modo da deviare il corso degli eventi, la probabile conseguenza pratica per le sorti dell'umanità sarebbe principalmente l'estendersi di questo furtivo traffico a vantaggio di altri fra i rappresentanti delle grandi potenze, che sono alla base ed hanno condizionato i pomposi formalismi dello stesso trattato. Poco è noto, e forse ancor meno si intende render noto di questo traffico furtivo sui beni degli altri. Tuttora le "Alte Parti Contraenti" (7) sono impegnate a non dare alcuna "informazione che potrebbe essere utile al nemico".
Il contenuto e le modalità con cui molti accordi segreti sono stati segretamente raggiunti nel corso di questi quattro o cinque mesi di oscurità diplomatica non saranno noti per qualche tempo ancora. Una coperta pudica ancora nasconde ciò che si può nascondere, cosa che è ritenuta il male minore. E tuttavia, anche se non la si è vista faccia a faccia nel modo migliore, si può nondimeno dedurre qualcosa della natura della bestia dalla forma del suo zoccolo. Qualcosina sta così venendo ora in luce della vergognosa operazione tramite cui ai politicanti e agli interessi costituiti del Giappone è stata data una brigantesca mano libera nella Cina settentrionale; e sarebbe nel contempo sgarbato e inutile speculare su quale possa essere la somma totale di raccapriccianti mostruosità che gli statisti orientali avranno intrapreso a perpetrare ed a consentire, a beneficio degli interessi costituiti strettamente associati alle potenze europee, in considerazione di quella carte blanche di indecenza. Dello stesso genere è l'intesa fra le grandi potenze per la soppressione della Russia Sovietica, a profitto degli interessi costituiti che si identificano in queste Potenze e a spese della popolazione sottostante; la doverosa spartizione di concessioni e risorse naturali in terre straniere, connessa a quel patto di guerra clandestino, ha certamente richiesto il sacrificio di una formidabile quantità complessiva di tempo, ingegnosità e sfrontatezza. Ma, essendo il Trattato uno strumento del nazionalismo commercializzato, ci si è dovuti occupare di tutte queste cose.

* Pubblicazione originale in The Dial, Vol. LXVI, 17 maggio 1919, con il titolo Peace; ristampa in Essays in our changing order, prima edizione Viking Press, 1934, riedito da Transaction Publishers, New Brunswick, 1998.

NOTE DEL TRADUTTORE:
(1) Si chiede scusa al lettore per la ridondante frequenza della parola "meglio", ma si è ritenuto che tale ironicamente ossessiva ripetizione corrispondesse alla volontà dell'autore;
(2) Tradurre con "nazionalismo mercantile" l'espressione "commercialised nationalism" utilizzata da Veblen sarebbe stato certo più conforme alla asetticità delle discipline economiche, ma verosimilmente meno adatto ad esprimerne il contenuto insieme ironico e dispregiativo;
(3) L'autore allude all'alto grado di segretezza delle riunioni tenutesi alla conferenza di pace di Versailles;
(4) L'espressione utilizzata da Veblen, "sexton beadle" è un gioco di parole intraducibile e piuttosto feroce, basato sull'assonanza con "sexton-beetle", che in zoologia indica lo scarabeo o scarafaggio becchino, oltre che sull'ambiguità dei termini "sexton", che significa sia sagrestano che becchino, e "beadle", che può significare sagrestano o scaccino, ma anche mazziere;
(5) A.F. of L. è la sigla dell'American Federation of Labour, il sindacato tradizionalmente moderato e patriottico, tuttora maggioritario tra i lavoratori americani, in associazione col C.I.O., Congress of Industrial Organization;
(6) Con l'espressione "kept classes", Veblen sottolinea, con chiaro intento ironico e spregiativo, il carattere parassitario delle classi al potere in gran parte del mondo occidentale all'epoca del primo conflitto mondiale;
(7) Nel testo originale "High Contracting Parties".

maggio - agosto 2003