"Mi esperanza"
di Antonio Allegretta e Vilma Soto Bernadéz

Nel numero precedente de "Le passioni di sinistra" ho pubblicato la prima parte di un racconto (sono benevolo con me stesso) intitolato "Tanti Saluti".
La scelta del titolo prendeva lo spunto dal gioco di equivoci, di fraintendimenti, sulla cartolina precetto ricevuta dal ragionier Nicolino Petrella, la speranza della madre che quella cartolina fosse in realtà di un'amica del figlio (oppure la lettera di assunzione presso il Ministero della Difesa) e la lettera che Nicolino avrebbe scritto alla madre per spiegarle le ragioni della diserzione dal campo alla vigilia di un assalto, in Iraq, proprio lì dove oggi, mentre scrivo, le forze alleate combattono una vera e propria guerra, di quelle che la mia generazione non conosce.
Un racconto ironico per dire cose serie, dove si parte, si va via, ci si allontana da logiche inaccettabili, da coloro che non vogliono vedere quello che vedono, perché disperati non riescono a fare altrimenti e soprattutto da quelli, i "topi di fogna", che nella melma ci sguazzano con ostinata pervicacia, si divertono persino, provando un insano senso di potenza.
Pensai questo racconto in prossimità della guerra di questi giorni, certa, annunciata.
Il racconto era articolato in tre parti. Non riuscii a pubblicarlo per intero; dovetti accontentarmi di pubblicarne rapidamente una prima parte, affidando ad un laconico "Continua…" il presagio, è il caso di dirlo, dei tempi futuri e, ahimé, sempre attuali.
Sarebbe stata la parte finale di "Tanti Saluti" a riportare la lettera del ragionier Nicolino Petrella dal campo. Nicolino avrebbe scritto pressappoco così:

"…devo dirti, cara mamma, di aver avuto un'idea davvero geniale. Perdona la mia presunzione ma l'entusiasmo mi fa essere cattivo giudice di me stesso. Forse sarà stato per la permanenza in questi luoghi dove immagini di trovare in qualche angolo una lampada magica che contenga un genio, e certo per la continua lettura de "Le Mille e una notte" in cui trovo consolazione nei momenti di riposo; non so, ma ho avuto quest'idea.
Ecco, ho pensato: perché non chiedere ai soldati, iracheni e anglomericani, piuttosto che la fatica delle armi, invece che l'orrore della morte, il dolore delle ferite, l'angoscia dell'ignoto, dicevo, perché non chiedere ai soldati la risata della creazione, il piacere del pensiero, la gioia dell'impensato?
Perché non chiedere ai soldati, dell'una e dell'altra parte, di comporre racconti, tra i più belli mai letti e ascoltati, e chiedere loro di intercedere, per mezzo di essi, presso Saddam Hussein e George Bush.
A George Bush un soldato iracheno avrebbe detto, per esempio: "O Signore, Potente dei potenti, se dalla mia bocca ascolterai la storia più affascinante ed incantevole che tu abbia mai ascoltato, mi concederai di non scaricare sulla mia amata Baghdad un terzo delle bombe che i tuoi generali hanno previsto di usare?"
E, magari, un americano a Saddam Hussein: "O Emiro degli emiri, se le tue orecchie ascolteranno, per merito mio, la più meravigliosa tra le storie mai udite né da orecchie umane, né da divine, tu, Signore, distruggerai una sola delle armi con cui avvelenasti migliaia di kurdi?"
Così, uno alla volta, raccontando le loro storie, avrebbero posto fine a questa guerra un po' come Abramo impedì che Sodoma e Gomorra venissero distrutte dal Padre Eterno.
Ed invece che assistere pressoché inermi agli orrori della guerra avremmo ascoltato in mondovisione non "Le Mille e una Notte", ma "Le Quattromila e una Notte" oppure "Le Quattromila e un Giorno", non so, dipenderebbe dai fusi orari: duemila soldati da una parte, duemila dall'altra, o giù di lì…
Avremmo ascoltato le storie di americani, inglesi, iracheni, arabi, e ognuno si sarebbe accorto, come in un gioco di specchi che si riflettono all'infinito, di trovare sé stesso nell'altro e di essere egli stesso l'altro.
La parola si sarebbe trasformata in comunità, pace, creazione.
Ti ricordi quando si trascorrevano, assieme agli altri famigliari, le giornate d'estate in campagna dallo zio? Alla sera ci si sedeva in cerchio nello spiazzo antistante l'edificio della villa e non so perché, quasi per un bisogno ancestrale, si preferiva restare al buio discorrendo, ridendo e scherzando.
Io mi guardavo alle spalle, dietro di me c'era la campagna: i rami contorti degli alberi d'ulivo dai riflessi argentei ai raggi della luna; spettrali. Di tanto in tanto, il fruscio di un'animale. Aguzzavo la vista cercando di vedere cosa si muovesse nell'oscurità, ma bastava una risata perché fossi distolto dalle mie paure.
Allora mi rigiravo, e tutt'intorno non appariva più avvolto dalle tenebre, ma luminoso.
Non era necessaria la luce, bastava la parola.
Così, proprio ieri, tra il fragore delle bombe mi sono chiesto: "George Bush e Saddam Hussein, avranno avuto qualcuno che, la sera prima di addormentarsi, gli leggesse le favole?"
Lo so, i "topi di fogna" rideranno di questi miei pensieri ma, tant'è, le loro risate durano un attimo...
Che dirti? A me l'idea è apparsa ottima, sebbene non abbia avuto il coraggio di mettermi a rapporto dai generali…"

Sì, non ebbi il coraggio di mettermi a rapporto dai generali: le bombe su Baghdad mi tolsero la voglia di scrivere. Avevo chiesto ad una mia amica, giornalista e scrittrice portoricana di San Juan, Vilma Soto Bermúdez, di collaborare con la nostra rivista. Mi aveva inviato un racconto breve sulla guerra in Iraq, "Entre Raphael, Ito y el genio". Ero a metà della sua traduzione quando iniziarono a cadere le prime bombe su Baghdad. Le telefonai e stabilimmo che non avremmo pubblicato i nostri racconti perché dinanzi a quello che stava accadendo ogni esercizio di immaginazione appariva puerile divertimento; però la sua poesia, "Mi esperanza", - un testo in prosa, risistemato in versi-inviatami quasi per scherzo via e-mail, ci accordammo, sarebbe stata pubblicata.
A Vilma, prima che gli eventi precipitassero, avevo chiesto come l'America Latina guardasse all'imminente guerra. Mi rispose così:
" América toda está consternada con esta posible conflagración. Para nosotros no es distante, el horror y los efectos de una guerra nos tocan de cerca. A unos países más que a otros, claro está. […]
Las manifestaciones en contra no se hacen esperar, especialmente dentro de los sectores alertas de la sociedad. Me refiero a organizaciones pacifistas, ambientales, sindicales, religiosas, políticas y sociales.
En Sur América al igual que en el propio Estados Unidos, el pueblo se ha volcado en contra de este absurdo ideado por Bush. Mientras los dirigentes políticos de naciones como Argentina se alínean con el vecino del norte, el pueblo se manifiesta su repudio. Eso lo pudimos constatar en las manifestaciones multitudinarias del 15 de febrero.
En Argentina se produjeron manifestaciones masivas en Buenos Aires, Córdoba, Rosario, y Santa Fe. La gente portaba pancartas que expresaban su sentir: […] "...¿importa en realidad si los inspectores de la ONU encuentran armas de destrucción masiva o la decisión de atacar Irak esta tomada?" "...debemos reclamar al gobierno argentino que exprese su terminante oposición a la agresión y abandone su postura rastrera esperando alguna limosna de los Estados Unidos..." "...la causa de Irak puede ser mañana la causa de Argentina o de Venezuela o de cualquier otro pueblo oprimido por el imperialismo..." […]

"Tutta l'America è costernata per questa possibile guerra. Per noi non è lontana, l'orrore e gli effetti di una guerra ci toccano da vicino. Ad un paese più che ad un altro, certo.[…]
Le manifestazioni contrarie ci fanno sperare, specie nei settori più attivi della società. Mi riferisco alle organizzazioni pacifiste, ambientaliste, sindacali, religiose, politiche e sociali.
In Sud America così come negli Stati Uniti, il popolo sì è ribellato contro questa assurda idea di Bush. Mentre i dirigenti politici di nazioni come l'Argentina si allineano con il vicino del nord, il popolo manifesta il suo ripudio. Questo l'abbiamo potuto constatare nelle manifestazioni di massa del 15 febbraio.
In Argentina ci sono state manifestazioni di massa a Buenos Aires, Córdoba, Rosario e Santa Fe. La gente portava cartelloni che esprimevano il proprio sentire: […] "… importa in realtà se gli ispettori dell'ONU trovino armi di distruzioni di massa oppure la decisione di attaccare l'Iraq è presa?" "dobbiamo esigere dal governo argentino che esprima la sua categorica opposizione all'aggressione e abbandoni la sua vile posizione nella speranza di qualche elemosina dagli Stati Uniti…" "… la causa dell'Iraq può essere domani la causa dell'Argentina o del Venezuela o di qualche altro popolo oppresso dall'imperialismo…" […]

Dunque "… la causa dell'Iraq può essere domani la causa dell'Argentina o del Venezuela o di qualche altro popolo oppresso dall'imperialismo…"
In questi giorni si sente ripetere che il mondo da "domani" cambierà, che le cose non saranno più le stesse, così riferendosi al ruolo subalterno e praticamente inesistente dell'ONU, alla difficoltà di far valere il diritto internazionale.
Mi rendono perplesso queste osservazioni, dimostrano che tutto sommato non ci si è accorti di cosa abbia prodotto fin'ora nel mondo un sistema capitalistico spinto fino alla follia e di fatto accettato universalmente (se i movimenti no global siano meteore che soccomberanno ad un "modus" imperante, di questo ce ne accorgeremo presto): viviamo la logica dell'arrembaggio, dell'individualismo esasperato e quindi dell'incomunicabilità e dell'opinabilità: siamo macchine da competizione incuranti l'uno dell'altro per cui ciò che conta è l'opinione non la verità; la legalità è diventato fatto politico, essere dalla parte del torto o della ragione è questione di punti di vista, il diritto internazionale vale per le nazioni meno potenti e forse, dopo il processo Lodo-Mondadori, davanti ai giudici compariranno solo scippatori e ladri d'appartamento…

Mi esperanza
Veo con la tristeza al hombro
Y un deje de esperanza en los ojos
A nuestra América a nuestra Tierra.
¿Qué haríamos si no fuera
Por esa escurridiza
Y tal vez mitológica esperanza?
Ya he avanzado medio siglo
Por este mundo desequilibrado
Y todavía me aferro a ella
Aunque las manos me sangren
Y el alma perdida recubierta de hollín.
Miro a los cuatro puntos cardinales
Y observo la marcha del homo sapiens por la tierra.
A su paso, tierra arrasada,
Sembrados de minas;
Niños talados,
Hombres y mujeres que danzan con la muerte;
Olores nauseabundos,
Carne putrefacta,
Ojos buscando ojos para contemplarse.

Y a la vuelta de la esquina la guerra…

La mezquindad del poderoso
Estrangula a su paso.
El derecho ajeno
Es solamente el derecho de él.
Para nosotros es eso: ajeno.
Ahí está dispuesto a matar, a asesinar
Con los ojos cerrados,
Sin mirar de frente.
Ya no tiene que enterrar
La espada en el cuerpo del contrario,
No siente la sangre caliente
Salir disparada hacia su ignominia.
No ve la muerte cara a cara,
La ve de perfil...
Ahora sus manos están limpias,
Sólo oprime teclas que borran gente,
Que destruyen ciudades,
Países,
La tierra prometida.

Pero mantengo la esperanza...

No una esperanza cabizbaja,
Suplicante;
Sino la otra,
La del puño cerrado,
La creadora de utopías,
De sueños realizables.
La esperanza que dice estoy aquí,
Este es mi cuerpo,
Mi mente,
Mi lucha,
Mi trinchera
Y estoy contigo
Y contra quien te asesina
Minuto a minuto.
La esperanza no salida de conciliábulos
Con el fin de mantener a los pueblos
Mirando al cielo.
Mi esperanza sólo mira a las alturas
Para recrearse con su belleza,
Con su Sol,
Con su Lunalunera.
La mía es de acá abajo,
La que pisa firme,
La que mira fijo,
Directo a la pupila del monstruo...
Así, sin miedos milenarios.

Esa es la esperanza que te doy...

Vilma Soto Bermudéz *

* Vilma Soto Bermudèz è nata a Coamo (1954), terza città fondata dagli spagnoli a Porto Rico. Ha studiato nel Colegio de Nuestra Señora de Valvanera e successivamente alla Universidad de Puerto Rico a San Juan, presso il Departamento de Humanidades, specializzandosi in Studi Ispanici.
Attivista per l'indipendenza di Porto Rico, al termine degli studi universitari ha collaborato ne El Claridad, settimanale della sinistra portoricana; lì è stata redattrice e cruciverbista. I suoi cruciverba riguardano la vita degli uomini e delle donne illustri della sua patria e di personaggi stranieri.
Ha una pagina internet in cui espone i suoi cruciverba.
E' stata giornalista ed ha operato in campo pubblicitario. Ha scritto per le riviste Artistas, TV e Novelas, per i periodici El Universitario, El Reportero, El Poeta e Diálogo. Quest'ultimo è il periodico ufficiale della Universidad de Puerto Rico.
In campo pubblicitario ha lavorato come redattrice per Espasa-Foote, Cone and Belding, Comunicadora Nexus e per Ad Infinitum di cui è stata vice-presidente per la produzione.
Ha pubblicato racconti ne El Reportero.
Ha lavorato presso la Misión Industrial de Puerto Rico, Ente dedicato alla salvaguardia dell'ambiente.
Attualmente è redattrice e traduttrice presso la Editorial Huracán.

La mia speranza

Vedo con la tristezza sulla spalla
E con la speranza che mi resta negli occhi
La nostra America la nostra Terra.
Che faremmo se non fosse
Per questa inalienabile
E talvolta mitologica speranza?
Già ho superato mezzo secolo
In questo mondo disordinato
E ancora mi afferro a lei
Sebbene le mani mi sanguino
E l'anima smarrita ricoperta di fuliggine.
Guardo ai quattro punti cardinali
E osservo la marcia dell'homo sapiens sulla terra.
Ad ogni passo, terra spianata,
Seminati di mine;
Bambini distrutti,
Uomini e donne che danzano con la morte;
Odori nauseabondi,
Carne putrefatta,
Occhi che cercano occhi per contemplarsi.

E dietro l'angolo la guerra…

La meschinità del potente
Strangola ad ogni passo.
Il diritto dell'altro
È soltanto il suo diritto.
Per noi è questo: l'altrui.
Là sa ammazzare, assassinare
Con gli occhi nascosti
Senza guardare di fronte.
Ormai non ha da affondare
La spada nel corpo del nemico
Non sente il sangue caldo
Schizzargli contro la sua ignominia.
Non vede la morte faccia a faccia,
La vede di profilo…
Ora le sue mani sono pulite,
Preme solo pulsanti che eliminano gente,
Che distruggono città,
Nazioni,
La terra promessa.

Però mantengo la speranza…

Non una speranza col capo chino,
Supplichevole;
Ma l'altra,
Quella del pugno chiuso,
La creatrice di utopie,
Di sogni realizzabili.
La speranza che dice sono qui,
Questo è il mio corpo,
La mia mente,
La mia lotta,
La mia trincea
E sto con te
E contro chi ti assassina
Minuto dopo minuto.
La speranza che non nasce da complotti
Che hanno il fine di mantenere i popoli
A guardare il cielo.
La mia speranza solo guarda alle alture
Per ricrearsi con la loro bellezza,
Con il loro Sole,
Con la loro Lunalunera.
La mia è di qui giù,
Che tiene fermo,
Che guarda fisso,
Diritto alla pupilla del mostro…
Così, senza paure millenarie.

Questa è la speranza che ti do…

(trad. Antonio Allegretta)

maggio - agosto 2003