Le conseguenze economiche della pace*
di Thorstein Veblen

È ora passato circa un anno da quando questo libro è stato scritto. E molto del suo contenuto ha il carattere di
profezia, in gran parte superata dal precipitoso volgere degli eventi in questi ultimi mesi. Perciò sarebbe poco onesto leggere la trattazione dell'autore come una descrizione della realtà attuale. Essa è piuttosto da considerare come una presentazione delle potenzialità diplomatiche del Trattato e della Lega (1) viste in anticipo e delle ulteriori conseguenze che ci si può attendere possano derivare dalle modalità di gestione delle cose da parte degli uomini di stato con i poteri conferiti dal Trattato e dall'Assemblea della Lega. È una trattazione assolutamente assennata e mirabilmente franca e diretta, da parte di un uomo che ha familiarità con la prassi diplomatica e profonda esperienza della grande politica finanziaria; e l'ampia diffusione e la seria considerazione che è stata data a questo volume rispecchia i suoi meriti veramente notevoli. Nello stesso tempo i fatti stessi vanno a mostrare come fedelmente il suo punto di vista e la sua linea di ragionamento siano allineati con l'attitudine prevalente degli uomini di pensiero su tale ordine di problemi. È l'attitudine di uomini avvezzi a considerare i documenti politici per il loro valore facciale.
Scrivendone all'incirca alla data della sua formulazione e prima che il suo effettivo funzionamento si fosse evidenziato, Mr. Keynes considera il trattato come una formulazione definitiva delle condizioni di pace, come una sistemazione conclusiva piuttosto che un punto strategico di partenza per ulteriori negoziazioni ed una continuazione dell'impresa bellica - e questo nonostante il fatto che Mr. Keynes fosse continuamente ed intimamente in contatto con la Conferenza di Pace durante tutte quelle tortuose trattative tramite cui gli statisti del vecchio ordine delle grandi potenze pervennero agli accordi contenuti in questo documento. Queste negoziazioni furono assolutamente segrete, ovviamente, come si conviene debbano essere le negoziazioni fra gli uomini di stato del vecchio ordine. Ma ad onta di tutta la loro segretezza volpina, la natura ed i fini di quell'occulto conclave di pubblicitari politici già un anno fa diventavano evidenti ai non addetti ai lavori, ed è tanto più sorprendente scoprire che un osservatore così perspicace e favorevolmente piazzato come Mr. Keynes sia stato portato ad accreditarli di un qualche grado di bona fides o ad attribuire un carattere in qualche grado definitivo agli strumenti diplomatici che scaturirono dal loro mercanteggiamento.
Il trattato era destinato, in sostanza, a ristabilire lo status quo ante, col particolare proposito della conservazione delle discordie internazionali. Invece di aver determinato lo stabilirsi della pace mondiale, il Trattato (unitamente alla Lega) si è già dimostrato nulla di meglio che un paravento di verbosità diplomatica dietro il quale gli antiquati statisti delle grandi potenze continuano il loro perseguimento del sotterfugio politico e dell'espansione imperialistica. Tutto ciò è ora evidente e non occorre una particolare dose di coraggio per riconoscerlo. Non è neanche eccessivo dire che tutto questo avrebbe dovuto essere abbastanza evidente a Mr. Keynes un anno fa. Ma, mancando di prendere nota di questo evidente stato dell'evento, Mr. Keynes riflette soltanto l'attitudine al luogo comune dei cittadini premurosi. La sua disamina, di conseguenza, è un fedele ed eccezionalmente intelligente commento sul contenuto del trattato, piuttosto che sulle conseguenze che da esso erano destinate a derivare o sugli usi a cui esso si presta. Sarebbe forse una esagerazione sgarbata dire che Mr. Keynes ha evitato con successo i fatti più importanti del caso; ma una affermazione ugualmente marcata in senso contrario sarebbe ancor più lontana dalla verità.
Gli avvenimenti dei mesi scorsi vanno ad evidenziare che la previsione centrale e più impegnativa del Trattato (e della Lega) è una clausola non evidenziata, tramite cui i governi delle grandi potenze si sono associati insieme per la eliminazione della Russia sovietica - non evidenziata salvo che la sua registrazione non sia da ricercare da qualche parte fra gli archivi segreti della Lega o delle grandi potenze. A parte questo patto inconfessato, non sembra esservi nulla nel trattato che abbia carattere di stabilità o di forza vincolante. Naturalmente, questo patto per il dimagrimento della Russia sovietica non è stato scritto nel testo del trattato; può piuttosto dirsi che esso è stato la pergamena su cui il testo è stato scritto. Una formale ammissione di un tale patto per la continuazione delle operazioni militari non si addirebbe alle consuetudini della diplomazia segreta, e inoltre si potrebbe anche ritenere che essa irriterebbe le popolazioni sottomesse alle grandi potenze, che sono incapaci di vedere l'urgenza del caso nella stessa prospettiva degli statisti del vecchio ordine. Così, questo difficile ma imperativo compito di sopprimere il bolscevismo, che il conclave affrontò dall'inizio, non ha parte alcuna nell'analisi di Mr. Keynes sulle prevedibili conseguenze del trattato del conclave. Tuttavia è ora sufficientemente evidente che le esigenze della campagna del conclave contro il bolscevismo russo hanno fin qui determinato l'operatività del trattato, al di là di ogni altra considerazione. Questo sembra essere il solo interesse che gli antiquati statisti delle grandi potenze abbiano in comune; in tutto il resto essi sembrano essere assorbiti da reciproche gelosie e da fini contrastanti, del tutto nello spirito di quello status quo imperialistico da cui la grande guerra è scaturita. E lo stesso promette di essere per il futuro, fino a dopo che la Russia sovietica o le potenze associate insieme in questa guerra clandestina non raggiungeranno il punto di rottura. Nella natura delle cose, essa è una guerra senza quartiere; ma nella natura delle cose essa è anche una impresa che non può essere confessata.
È del tutto inutile trovare da ridire su questa urgente campagna dei governi delle grandi potenze contro la Russia sovietica o dire qualcosa a sua totale approvazione. Ma è necessario prendere nota della sua urgenza e della sua natura, oltre al fatto che questo principale fattore nell'effettivo operare della pace è in apparenza sfuggito alla più competente analisi sulla pace e le sue conseguenze che finora è stata fornita. È stato trascurato, forse perché cosa ovvia e scontata. Tuttavia questa svista è infelice. Fra l'altro, essa ha condotto Mr. Keynes ad una poco gentile caratterizzazione del presidente (2) e del suo ruolo nelle trattative. Mr. Keynes ha molto di non complimentoso da dire delle molte concessioni e del largo insuccesso cui al presidente ed ai suoi obiettivi dichiarati è accaduto di incorrere nel corso di quelle trattative con gli statisti del vecchio ordine delle grandi potenze. Il dovuto apprezzamento per la serietà di questo esito antibolscevico e del suo ubiquo e supremo vigore nelle deliberazioni del conclave avrebbe risparmiato a Mr. Keynes quelle espressioni di scarsa cortesia che guastano la sua caratterizzazione del presidente e dell'operato del presidente come artefice di pace.
Il merito intrinseco della contesa fra i bolscevichi e gli statisti del vecchio ordine non è materia da giudicarsi estemporaneamente; né occorre che venga in considerazione in questa sede. Ma le difficoltà dell'azione di pacificazione del presidente non possono essere valutate senza tener conto della natura di questo risultato che egli si trovò a fronteggiare. Così, senza pregiudizio, sembra necessario richiamare alla mente i fatti principali del caso, come gli si presentarono nelle trattative con il conclave. È da rimarcarsi, quindi, che il bolscevismo è una minaccia alla proprietà assenteista. Nello stesso tempo l'attuale ordine economico e politico si fonda sulla proprietà assenteista. Inoltre, le politiche imperialiste delle grandi potenze, compresa l'America, mirano al mantenimento ed all'estensione della proprietà assenteista, quale principale e costante scopo di tutta la loro attività politica. La proprietà assenteista, di conseguenza, è il fondamento della legge e dell'ordine, conformemente allo schema di legge ed ordine che è stato ereditato dal passato in tutte le nazioni civili ed alla cui perpetuazione gli statisti del vecchio ordine si sono impegnati per inclinazione innata e per i doveri d'ufficio. Questo si applica all'ordine sia economico che politico in tutte queste nazioni civili, dove la sicurezza dei diritti di proprietà è diventata l'unica preoccupazione delle autorità costituite.
I Quattordici Punti (3) furono concepiti senza la debita valutazione di questa posizione di supremazia che la proprietà assenteista è venuta ad occupare nei paesi civili moderni e senza la dovuta considerazione dell'equilibrio intrinsecamente precario in cui questa suprema istituzione dell'umanità civilizzata è stata messa dallo sviluppo dell'industria e dell'istruzione. L'affermazione bolscevica non aveva ancora evidenziato la minaccia, nel momento in cui i Quattordici Punti furono stilati. I Quattordici Punti furono concepiti nello spirito umanitario del liberalismo medio-vittoriano, senza la debita consapevolezza del fatto che la democrazia ha nel frattempo superato la concezione medio-vittoriana della libertà personale ed è divenuta una democrazia dei diritti di proprietà. Non prima del rovesciamento bolscevico e della nascita della Russia sovietica questo nuovo aspetto delle cose diventa evidente agli uomini allevati nel buon vecchio sistema di pensiero sulle questioni di politica. Ma alla data della conferenza di pace la Russia sovietica era venuta ad essere il fatto più rilevante e preoccupante sull'orizzonte politico ed economico. Perciò, non appena ne fu intrapreso un esame dettagliato, è diventata evidente, sotto ogni aspetto, la coincidenza delle esigenze della proprietà assenteista con le necessità dell'ordine esistente, e che queste supreme esigenze della proprietà assenteista sono nello stesso tempo incompatibili con i principi umanitari del liberalismo medio-vittoriano. Perciò, con rincrescimento e riluttanza, ma imperativamente, il ruolo di una saggia arte di governo divenne salvare l'ordine esistente salvando la proprietà assenteista e lasciando che i Quattordici Punti andassero allo scarto. Il bolscevismo è una minaccia alla proprietà assenteista; e alla luce degli eventi nella Russia sovietica divenne evidente, punto per punto, che solo con la definitiva soppressione del bolscevismo e di tutte le sue realizzazioni, ad ogni costo, si potrebbe rendere sicuro il mondo per quella democrazia dei diritti di proprietà su cui l'esistente ordine politico e civile si fonda. Così diventava la principale preoccupazione di tutti i guardiani dell'ordine esistente sradicare il bolscevismo ad ogni costo, senza riguardo alla legge internazionale.
Si può trovare da ridire, se si è orientati in tal senso, sulle premesse di questo punto di vista in quanto arretrato e reazionario; e si potrebbe trovare da ridire sul presidente per essere troppo strettamente guidato da considerazioni di questa natura. Ma il presidente era impegnato nel compito della preservazione dell'ordine esistente dell'imperialismo commercializzato, per convinzione e per la sua alta funzione. Il suo apparente fallimento davanti a questa situazione imprevista, quindi, non era tanto un insuccesso, ma piuttosto un riallineamento strategico destinato a conseguire ciò che era indispensabile, anche con qualche costo in termini di suo proprio prestigio - la principale preoccupazione essendo la disfatta del bolscevismo ad ogni costo - cosicché un giudizio ben ponderato sul ruolo del presidente nelle deliberazioni del conclave gli riconoscerà intuito, coraggio, abilità e tenacia nei fini, piuttosto che quella pusillanimità, irresolutezza e inettitudine che la troppo superficiale analisi del caso di Mr. Keynes gli attribuisce.
Allo stesso modo, la sua svista rispetto a questa esigenza suprema di rendere il mondo sicuro per una democrazia dei proprietari assenteisti ha portato Mr. Keynes a formulare una troppo pessimistica interpretazione dei provvedimenti concernenti l'indennità tedesca. Una notevole indulgenza, equivalente a qualcosa di assimilabile a negligenza collusiva, ha finora caratterizzato i rapporti delle potenze con la Germania. Come avrebbe dovuto apparire in anticipo assolutamente probabile, le pattuizioni riguardanti l'indennità tedesca sono risultate essere solo sperimentali e provvisorie - se pure non si debbano caratterizzare come un inganno diplomatico, finalizzato a prendere tempo, distrarre l'attenzione e tenere i vari aventi diritto in una disposizione mentale ragionevolmente paziente nel periodo di ristabilimento necessario per reinstaurare il regime reazionario in Germania ed erigerlo a baluardo contro il bolscevismo. Questi accordi hanno già subito modifiche sostanziali in ogni punto messo finora alla prova, e non vi è al presente alcun segno o motivo di credere che qualcuno di essi debba mantenere integralmente la forma originaria. Essi hanno l'apparente natura di una base di negoziazione e sono destinati ad essere oggetto dell'ulteriore indefinito aggiustamento che l'opportunità possa imporre. E le opportunità del caso sembrano condurre a due principali considerazioni: (a) la disfatta del bolscevismo, in Russia e altrove; e (b) l'ininterrotto sicuro diritto di possesso della proprietà assenteista in Germania. Ne consegue che la Germania non deve essere paralizzata ad un punto tale da lasciare che l'istituzione imperiale sia materialmente indebolita nella sua campagna contro il bolscevismo all'esterno ed il radicalismo all'interno. Dal che consegue anche che sulla Germania non verrebbe effettivamente imposta una indennità atta ad incidere in modo veramente serio sul reddito disponibile delle classi proprietarie e privilegiate, che sono le sole su cui fare affidamento per salvaguardare gli interessi democratici della proprietà assenteista. Il fardello che l'indennità può imporre non deve di conseguenza eccedere un ammontare che possa opportunamente essere piuttosto fatto gravare direttamente sulle classi lavoratrici nullatenenti, che devono essere tenute in attività. In linea con queste valutazioni di salvaguardia dell'ordine costituito, si osserverà che le previsioni del trattato escludono accuratamente ogni misura che possa implicare la confisca della proprietà; mentre, se queste previsioni non fossero state concepite con un occhio attento all'ininterrotta sicurezza della proprietà assenteista, non vi sarebbe stata seria difficoltà a raccogliere una adeguata indennità dalla ricchezza della Germania, senza sconvolgere materialmente l'industria del paese e senza sacrifici per altri che i proprietari assenteisti. Non c'è ragione alcuna, diversa dalla ragione della proprietà assenteista, per cui il trattato non abbia previsto un ripudio totale del debito di guerra tedesco, imperiale, statale e municipale, allo scopo di stornare quella consistente parte del reddito tedesco a beneficio di coloro che hanno sofferto l'aggressione tedesca. Analogamente nessun'altra ragione ostacola la via di una estesa confisca della ricchezza tedesca, per quanto quella ricchezza sia coperta da titoli e quindi posseduta da proprietari assenteisti, e non è in discussione la responsabilità bellica di questi proprietari assenteisti.
Ma una tale misura sovvertirebbe l'ordine della società, che è un ordine di proprietà assenteista e pertanto riguarda gli statisti del vecchio ordine e gli interessi di cui sono i guardiani. Perciò non andrebbe bene, né l'idea è stata presa in considerazione, stornare parte di questa rendita disponibile dai proprietari assenteisti tedeschi a risarcimento di coloro che hanno sofferto a causa della guerra che questi proprietari assenteisti hanno condotto nelle terre degli Alleati. In effetti, nei loro sforzi per salvaguardare l'ordine politico ed economico esistente - per rendere il mondo sicuro per la democrazia degli investitori - gli statisti delle potenze vittoriose hanno preso partito per i proprietari assenteisti responsabili della guerra e contro la popolazione ad essi sottomessa. Tutto ciò, naturalmente, è del tutto regolare e al di là di ogni biasimo; né turba affatto il corso della esposizione di Mr. Keynes delle conseguenze economiche, in alcun grado.
Perfino i cauti provvedimenti che il trattato stabilisce per indennizzare le vittime della guerra sono stati finora fatti rispettare solo con una indulgenza accortamente gestita, segnata da una inequivocabile inclinazione partigiana in favore dello status quo ante della Germania imperiale; cosa che è altrettanto vera per le misure concernenti il disarmo e la dismissione delle industrie belliche e della organizzazione militare - applicate in un ben concepito spirito da opéra bouffe. Invero, i provvedimenti finora adottati in esecuzione dei termini provvisori di questo trattato di pace conferiscono un'aria in certo modo fantastica ai timori di Mr. Keynes al riguardo.


* Saggio pubblicato nel settembre 1920 su The Political Science Quarterly, come recensione del libro The Economic Consequences of the Peace di John Maynard Keynes, e ristampato in Essays in our changing order, prima edizione Viking Press, 1934, riedito da Transaction Publishers, New Brunswick, 1998.

NOTE DEL TRADUTTORE:
(1) Il riferimento è al trattato di pace di Versailles ed alla Lega o Società delle Nazioni;
(2) L'autore si riferisce all'allora presidente degli Stati Uniti Thomas Woodrow Wilson, uno dei principali protagonisti delle trattative di pace, insieme al primo ministro inglese David Lloyd George ed al presidente francese Georges Clemenceau;
(3) Nel gennaio del 1918 il presidente Wilson aveva riassunto gli obiettivi della guerra e le condizioni per una pace giusta in 14 punti: tutela delle nazionalità, autodecisione dei popoli, libertà dei mari, sicurezza collettiva, rimozione delle barriere tariffarie e instaurazione di una uguaglianza commerciale fra tutte le nazioni aderenti alla pace e associato per il suo mantenimento, riduzione degli armamenti al minimo compatibile con la sicurezza interna, sistemazione delle controversie coloniali avendo riguardo agli interessi degli abitanti, evacuazione e restaurazione di tutti i territori invasi, compensazione di tutti i danni arrecati alle popolazioni civili e alle loro proprietà, riparazione del torto fatto alla Francia nel 1871nella questione dell'Alsazia-Lorena, indipendenza della Polonia e sua reintegrazione, con inclusione di tutti i territori abitati da popolazioni polacche, Lega delle Nazioni;

maggio - agosto 2003