Intervista a Gianfranco Conti* e Maurizio Colombai**
di Valentina Baronti

"Il Prefetto può intervenire solo in casi eccezionali, come per esempio lo stato di guerra. Quindi ci risulta che siamo in uno stato di guerra."
Lunedì 10 marzo, ore 22. Le forze dell'ordine bloccano l'intero tratto dell'Aurelia che va dalla base di Camp Darby al porto di Livorno, per agevolare il passaggio del convoglio che trasporta materiale logistico. Nonostante i blocchi, intorno al porto si è radunato un gruppo di pacifisti che si sdraiano a terra, nel tentativo di impedire il passaggio, e quindi l'imbarco, dei mezzi militari. Intanto la Thebaland, lo scafo civile addetto al trasporto del materiale, attracca alla banchina pubblica affidata alla ditta Scotto, e lì il materiale viene imbarcato, senza chiamare i lavoratori della ditta, che avevano indetto uno sciopero di 24 ore nel momento, e nel caso in cui fossero iniziate le operazioni di imbarco. Il Prefetto Vincenzo Gallitto aveva convocato, la mattina del 10 marzo, la Compagnia portuale per chiedere l'utilizzo delle banchine pubbliche in concessione ad essa o a compagnie collegate. Ma i lavoratori avevano fermamente respinto la richiesta.
Dopo la contrastata partenza del materiale bellico da Livorno la Filt-Cgil accusa il Prefetto di aver agito nell'illegalità, avendo permesso l'utilizzo di personale esterno al porto per stivare il materiale. Lo sciopero indetto dalla Filt-Cgil dal momento in cui sarebbero dovute iniziare le operazioni di imbarco, alla fine non c'è stato. Tutta l'operazione è stata infatti portata avanti da personale della nave o proveniente da Camp Darby, sia civile che militare. I lavoratori del porto si sono fermati per un'ora aderendo allo sciopero nazionale, indetto dalle tre organizzazioni confederali. Secondo la Cgil l'adesione a Livorno è stata totale.

Secondo quale procedura è stato chiamato personale esterno al porto ad eseguire le operazioni di imbarco?
Questo non è corretto. È stato fatto, crediamo, dalla Prefettura.
Il Prefetto può intervenire in casi eccezionali, lo stato di guerra o quant'altro, se questa è la motivazione che hanno portato ci risulta che siamo in uno stato di guerra.
Per fare il lavoro nel porto bisogna avere determinate caratteristiche, quei lavoratori che hanno fatto quell'operazione non hanno quelle caratteristiche, quindi anche da quel punto di vista è illegale.
Adesso alcune cose sono state approvate in Parlamento, ma anche il trasferimento dei militari da Aviano ha contraddetto quello che il governo ha dichiarato alle Camere. Ha messo in discussione anche la validità dell'approvazione parlamentare, perché se dici che non vengono usate le infrastrutture e le basi italiane per mandare personale e materiale di offesa nello scenario di guerra e poi fai partire i paracadutisti, allora c'è una contraddizione evidente tra quello che è stato approvato in Parlamento e quello che in realtà succede, quindi c'è ancora una condizione di illegalità.

Anche da Livorno poi sono partite le navi.
Quella volta non c'era nemmeno l'approvazione del Parlamento, è ancora più grave. E potrebbero partire di nuovo, potremmo trovarci nella stessa condizione e rifare gli stessi percorsi, pur essendo un paese che non è entrato in guerra, oppure bisogna dire che c'è entrato a rimorchio. Così ci dice il governo.

Durante l'imbarco ci sono state anche altre azioni di protesta, di disobbedienza civile, c'è stata una risposta dei lavoratori a queste azioni?
Ci sono stati dei tentativi di blocco dell'accesso al porto da parte dei Disobbedienti, non da parte dei lavoratori. Poi che ci sia qualche lavoratore che sia anche Disobbediente è possibile, ma non erano organizzate dalla Cgil. C'erano una trentina di dimostranti e settecento poliziotti. Il blocco ai cancelli è stato rimosso facilmente, senza uso della forza, sono stati sollevati e spostati. I lavoratori del porto in banchina non c'erano. C'erano quelli vicini, ma senza interventi delle organizzazioni sindacali i lavoratori difficilmente prendono iniziative singole, se non fuori dal cancello. Nel posto di lavoro le manifestazioni di lotta hanno delle regole abbastanza precise. Non c'è stata manifestazione all'interno. Dentro al porto non si possono fare manifestazioni, l'accesso è vietato ai non addetti ai lavori, è regolato da leggi precise. Principalmente per una ragione di sicurezza.

Quali saranno le prossime iniziative dei lavoratori portuali di Livorno?
Noi continuiamo con la nostra posizione. Continueremo, per fortuna, o per scelta politica, o perché siamo riusciti a dare un segnale. Proporremo tutte le volte gli stessi meccanismi, non possiamo arretrare.

Nella programmazione delle prossime azioni, avete anche rapporti con il Comitato Fermiamo la Guerra o con altre associazioni che si stanno mobilitando per la pace?
La Cgil è nel Comitato Fermiamo la Guerra, quindi noi abbiamo costanti e quotidiani rapporti con loro, non la Filt direttamente ma la Cgil sì. Il sindacato però poi sviluppa le iniziative che ritiene più opportune, quelle di organizzazione e di movimento, senza forzare sulle altre. C'è un totale rispetto delle specificità. Gli altri soggetti del movimento contro la guerra sanno che la Cgil si muove solo con determinate regole, difficilmente ci troveremo con loro a fare blocchi stradali, ma non è detto che non succeda.

Si è parlato anche della presenza di uranio impoverito a Camp Darby, c'era il rischio che venisse imbarcato a Livorno? Durante l'imbarco ci sono stati pericoli di questo o di altro tipo per il trasporto civile nel porto?
Non è possibile mobilitare armi o munizioni in ambito portuale, ci sono ordinanze ben precise, che consentono di fare queste operazioni soltanto al largo delle coste. Uno dei porti dedicati a questo tipo di operazioni è Talamone. A Livorno in passato sono state fatte operazioni di questo genere, ma soltanto in rada, al largo delle coste, rarissimamente e anni fa, in tempi diversi da questi, in tempi di pace. Oggi non possiamo dire che sia stato fatto. Non crediamo che abbiano dato il via a una cosa del genere, se fosse successo anche un piccolo incidente poi, ci sarebbe andata di mezzo la vita di tutti, e anche la vita istituzionale.

La Cgil è scesa in piazza con lo slogan PACE E DIRITTI e la vicenda dei portuali di Livorno è indicativa, secondo voi è possibile portare avanti entrambe le battaglie, oppure la guerra rischia di oscurare le altre lotte dei lavoratori, a partire dall'articolo 18?
No, anzi, la pace è il presupposto principale dei diritti. I diritti dei lavoratori si sviluppano in condizioni di normalità, di progresso e di sviluppo economico. Nelle condizioni di guerra viene a mancare tutto. Secondo noi la pace è l'ambiente dove i diritti possono essere sviluppati, rispettati, difesi e anche esportati. Abbiamo bisogno di una visione più internazionale di quanto sta facendo questo governo, dobbiamo trovare un sistema che almeno a livello europeo sia condiviso. Specialmente nel mondo dei trasporti questo è fondamentale. E si può avere solo in un ambiente che non sia di conflitto. Gli Stati Uniti invece, stanno parlando della Siria come prossimo obiettivo, e poi sarà l'Iran, e chissà chi altro. È un'escalation ormai evidente.

Livorno, 1 aprile 2003

* Segretario Generale Filt-CGIL di Livorno
** Responsabile Settore Attività Portuali di Livorno

maggio - agosto 2003