Una lunga maratona di eventi culturali e dibatti politici, assemblee, manifestazioni e spettacoli è iniziata alcuni mesi fa in terra di Bari per arrivare alla grande festa dei diritti che si terrà il 7 Giugno per le strade della nostra città, il G.L.B.T.T. (Gay, Lesbiche, Bisessuali, Transessuali, Transgender)Pride. Riteniamo questo un percorso straordinario e fondamentale, non solo per il movimento omosessuale: esso è per tutte e tutti un appuntamento importante per riflettere su questioni e categorie nodali, così come per guardare da un'altra prospettiva le dinamiche della convivenza e delle relazioni quotidiane: diritti e discriminazioni, "tolleranze" (e intolleranze) o convivenze fra libere scelte (con pari dignità)nei comportamenti e negli orientamenti sessuali, famiglia o famiglie.
Per questo stiamo coinvolgendo tutti e tutte i cittadini/e e le soggettività democratiche in una serie di momenti di discussione che coniughino il tema delle libertà sessuali e dell'autodeterminazione delle scelte di ciascuno/a in uno Stato laico (siamo ancora in uno stato laico!) alla necessità di riflettere sui nuovi diritti, sui nuovi lavori, sulla precarietà del lavoro che affligge le giovani generazioni, su una nuova idea di cittadinanza, piena e reale per tutti/e.
Il percorso del coordinamento "Diritti al Pride" ha in primo luogo tentato di decostruire la deriva neofamilista a cui stimo assistendo nella nostra regione così come in molte altre governate dal centro-destra ( e col libro bianco di Maroni sul Welfare l'offensiva verrà portata su scala nazionale): riteniamo, infatti, inaccettabili, proposte quali quella della Giunta regionale sulla famiglia. Essa, assumendo come fonte di diritto il dettato cattolico- papale (siamo in uno Stato laico, repetita iuvant), cerca di imporre come unico modello di famiglia quello fondato sul matrimonio, considerato unico reale completamento della persona, negando parità di diritti a tutte le altre scelte sui modi di vivere le relazioni affettive, sia per le coppie eterosessuali che per le coppie omosessuali.
In queste proposte di legge si allude, dunque, chiaramente ad una confessionalità (che ora si vuole anche esplicitare a livello di Statuto) che si vorrebbe far passare fra le maglie del diritto o addirittura fra le fonti del diritto: in base a questo processo si individua un modello "canonico" di famiglia, soggetto di tutti i diritti (e finanziamenti ed agevolazioni), mentre le altre scelte andrebbero più o meno "tollerate". Figlie di un dio minore.
Noi preferiamo parlare di "diritti di famiglie", cioè di libertà ed autodeterminazione nelle scelte di vita e negli orientamenti sessuali: non vi può essere alcuna forma di discriminazione, nessun diritto può essere subordinato all'adesione ad un modello. La stessa legge va peraltro nella direzione di una nuova attribuzione dell'assistenza sociale alla famiglia, privatizzando, di fatto, l'assistenza sociale, smantellando il Welfare.
Si compie , dunque, un notevole passo indietro rispetto alla Nostra Costituzione, una ridefinizione regressiva dell'idea di cittadinanza, che viene svuotata di diritti e di libertà: occorrerebbe, invece, andare nella direzione opposta.
Dell'Art. 29 della Costituzione si dovrebbe dare un'interpretazione estensiva, individuando come famiglia non solo la "società naturale fondata sul matrimonio". L'art. 29 in realtà non prende affatto in considerazione modelli alternativi alla famiglia naturale fondata sul matrimonio, modelli che, tra l'altro, certo non tutela e dei quali si disinteressa totalmente. Pertanto non si può intendere questo articolo come un'assoluta negazione dei diritti analoghi a quelli della famiglia tradizionale per i nuclei familiari non fondati sul matrimonio. Del resto dall'epoca dell'approvazione della Costituzione 1948, le famiglie non tradizionali non costituivano certo quel fenomeno sociale diffuso ed emergente che ne fa oggi una questione politica di tutto rilievo nell'attuale contesto sociale; o meglio, esistevano come mera conseguenza dell'impossibilità di scioglimento del matrimonio ma non costituivano, in genere, una scelta di vita volontaria bensì solo un ripiego cui gli interessati avrebbero ben volentieri rinunciato se avessero potuto risposarsi. Tanto meno era pensabile che si potesse porre in termini legislativi il problema del riconoscimento delle famiglie omosessuali. Nessuna sorpresa quindi che la materia non fosse ritenuta di rilevanza (addirittura) Costituzionale. Ora si deve prendere immediatamente atto dell'evoluzione sociale e culturale che di certo non va di pari passo con l'attività normativa notoriamente lenta a recepire le istanze provenienti dal tessuto sociale. Uno degli obiettivi primari della lotta della comunità lesbica, gay e transessuale, è l'approvazione da parte del Parlamento italiano di una legge sulle Unioni Civili simile a quelle emanate in altri paesi europei (PACS), da maggioranze trasversali che si ritrovavano d'accordo su un istituto nuovo e di grande civiltà.
Altro terreno su cui il Pride incrocia i diritti è quello del lavoro ( e non a caso il coordinamento ha aderito ai comitati per il sì sull'art.18). Riteniamo, infatti la precarietà sempre più diffusa che riguarda le giovani generazioni un reale impedimento (questo sì) alla possibilità di progettare la vita, di soddisfare sogni e bisogni. E questo è particolarmente vero al Sud, dove una delle poche possibilità reali di lavoro a tempo indeterminato sembra essere la ferma breve volontaria.
E parlando di lavoro non possiamo fare a meno di parlare di discriminazioni: in Italia attualmente non esiste nessuna legge specifica che combatta le discriminazioni legate all'orientamento sessuale soprattutto una legge che le criminalizzi. Tuttavia una tutela in tal senso è in parte assicurata almeno nel mondo del lavoro. Dalla lettura dell'articolato 8, 15, 18 dello Statuto dei lavoratori si evince una norma che tutela il lavoratore da atti discriminatori, da indagini sulla sua vita privata e soprattutto dal licenziamento dovuto a ragioni inerenti l'orientamento sessuale e l'identità di genere in quanto esse, sicuramente, non rappresentano una "iusta causa". Il problema è che la tutela da tali discriminazioni è completamente a discrezione dell'interpretazione del giudice, non essendo, queste, menzionate esplicitamente in alcuna norma come violazione. Per questo chiediamo con forza il totale recepimento della Direttiva Europea 78/2000 e non ci accontenteremo di un suo parziale ed arbitrario recepimento.
Si sta, dunque, cancellando la Costituzione, a partire dall'articolo 1 per scrivendone materialmente un'altra, reazionaria e regressiva. Noi vogliamo difendere ed estendere i diritti che quella Costituzione garantisce a tutti/e noi: a partire da quello a manifestare, che la repressione di questo governo ha cancellato a Genova e che una certa destra, parlamentare e non, vorrebbe minare qui a Bari.
Oltre ad i noti episodi , infatti, i neofascisti stanno organizzando per il 7 giugno una contromanifestazione per dimostrare il loro odio. Che si siano ispirati anche alle posizioni di aperta omofobia espresse nell'ultimo Lexicon, che afferma che non tutti coloro che discriminano i gay e le lesbiche devono essere considerati omofobi?
Sarà comunque, quello del 7 giugno un Pride divertente e politico assieme, una giornata di lotta contro l'ignoranza e la stupidità, un momento in cui gridare a gran voce contro chi vorrebbe il silenzio, contro chi tollera la condizione GLBTT a condizione di discrezione.