Terra mia, terra del rimorso, terra arida, bruciata e baciata dal sole, terra di pietre e ulivi intrecciati, contorti, deformi.
Terra di morte e di vita, terra di tradizione e folklore, terra di sacro e profano, terra di ricordi e di rimpianti.
Terra del cicalio estivo per le vie sterrate della Via Appia, ombreggiata dalle chiome fluenti dei pini, dei mandorli, nei torridi e asfissianti pomeriggi di calura, quando il sole batte sulla testa, scintilla tra le pietre e il sudore ti annebbia la vista, e tutto é allucinazione.
Terra mia, terra della taranta, terra che morde, pizzica e fa impazzire. Terra che opprime e libera, terra che ti fagocita e ti rigetta, terra che ti invasa e ti fa danzare.
E tu danzi, danzi in vortice, senza fermarti, senza pensare, fino allo svenimento, fino allo sfinimento, fino ad uscire da quell'isolamento nevrotico
e tu danzi per far defluire il male, il veleno iniettato dallo stato delle cose.
Il veleno della fatica, della sopportazione, della sottomissione, della crisi, della condizione di dipendenza, della paura, della morte
e tu danzi in rivolta alla preclusione terra mia.
Terra mia, terra di contraddizioni, terra che ti fletti alle imperanti leggi del progresso e del mercato e non ti pieghi, perché hai lo sguardo sempre rivolto indietro.
Terra mia, terra di passaggio, terra nomade e ospitale.
Terra di pregiudizi, terra che accoglie, come il ventre di una donna gravida, terra a cui resti indissolubilmente legato, anche quando vendi l'anima altrove
dove sei finita terra mia?