Tanti saluti
di Antonio Allegretta

[…] all'improvviso, scoppiò in una fragorosa risata subito smorzata da una smorfia di mestizia: avendo spostato il punto di osservazione nella costellazione Camelopardalis, quella guerra in quel luogo lontano dell'Universo, precisamente sul pianeta Terra, gli apparve semplicemente ridicola se non fosse stata una tragedia. […]
Accadde un giorno, come per tutte le cose che accadono; un giorno come tutti gli altri, come ogni giorno. Accadde. La guerra.

La Luna girava attorno alla Terra, e la Terra su sé stessa e contemporaneamente in giro al Sole. Tutti i pianeti del sistema solare roteavano su sé stessi ed intorno al Sole; anche i satelliti giravano intorno al proprio pianeta, come ogni satellite che si rispetti.

E l'intero sistema solare si dirigeva verso un certo punto dell'Universo, tra buchi neri, quasar, pulsar, venti di neutrini, costellazioni, vie lattee, meteore, galassie, stelle nane e giganti, geometrie non euclidee, universi paralleli, materia oscura, costanti gravitazionali e altro ancora.

Ecco, in mezzo a tutto questo "gran casino", come lo chiamava Nicolino osservando commosso il cielo stellato nelle notti d'estate, scoppiò la guerra; un giorno, appunto.

"Tutta colpa di quei topi di fogna!", affermava ormai frequentemente e con veemenza Nicolino, che amava definirsi metafisico.

Astrofilo e metafisico, convinto assertore dell'analogia e della metafora - un neoplatonico, avrebbero detto - era profondamente convinto dell'esistenza di una perfetta simmetria tra macrocosmo e microcosmo, tanto da ritenere che la ragione di quello che stava accadendo non fosse da ricercare tra le decisioni dei capi di stato, dell'ONU e di potenti d'ogni genere, ma era "tutta colpa di quei topi di fogna!".

Sì, di quegli animaletti che saltellano qui e là per le strade delle città, seminando feci in ogni dove, alla ricerca di un pezzo di formaggio; non pensano, non si interrogano su nulla. Li riconosceva dallo sguardo vispo e attento, dagli occhi piccoli e mobilissimi propri di chi vive nella paura del mondo.

Ce n'erano di tutti i tipi, e Nicolino li aveva osservati e catalogati con metodo da zoologo, divisi in specie e sottospecie, classi, gruppi e famiglie. Taluni, ad esempio, aveva osservato, erano miopi: talmente protesi nello sforzo di sapere tutto di tutti, di carpire informazioni, d'ordire trame e di scrutare in lontananza, così schiacciati dalla propria diffidenza, da affaticarsi la vista e diventarne miopi; da non riuscire a vedere più lontano di un palmo dal proprio naso.

Altri invece erano presbiti. Con quelle lenti così spesse e deformanti si davano un'aria trasognata e rassegnata: il mondo era complesso, inesplicabile, conveniva lasciar perdere… se non fosse che loro, questa categoria di topi di fogna, non lasciavano perdere affatto… Avevano, in effetti, la pretesa di essere geniali, strateghi d'eccellenza, ordivano, tramavano e calpestavano con grande cinismo e posa da legulei, ma sempre con aria d'innocenti e ostentando confusione. Anch'essi dimenticando di non vederci bene da vicino.

C'erano pure i simpaticissimi, poffarbacco!, ridicolissimi, amicissimi, - ah! ah! ah! da lacrimare gli occhi, perdio! - allegrissimi, zompettanti, barzellettieri… traffichinissimi, appunto. Sembravano bambinelli saltellanti, gioiosissimi, allegrotti: di quei rompiballe che non la finiscono più in attesa della sberla della mamma. Se nell'infanzia ne avessero avute troppe o troppo poche, Nicolino non era in grado di stabilirlo; di una cosa però era certo: prima o poi, la vita avrebbe fatto la parte della mamma e forse in modo sottile, sottilissimo, lasciando che la rovina, morale più che materiale, si abbattesse su di loro - su tutti questi, presbiti o miopi che fossero - senza che se ne accorgessero, come monelli che imperterriti continuino a saltellare nelle pozzanghere.

Altri invece erano roboanti simulatori, impettiti e tronfi, che ascoltarli era un piacere come fosse una banda di tromboni sicché, quando Nicolino ci pensava, iniziava a dirigere un'orchestra invisibile disegnando nell'aria, col dito indice, spirali e volute: così gli passava il cattivo umore.

Ce n'erano tanti di questi animaletti, di tutti i tipi davvero: c'erano i sornioni, gli invidiosi, i "chiagn'e fotti", i "freka-freka", i "piezz'e …" ma così tanti che Nicolino, il ragionier Petrella, raggiungeva spesso un tale livello di esasperazione da essere costretto a salire sul terrazzo della propria abitazione per prendere un po' di fiato. Allora guardava in basso ed eccoli lì quei topi di fogna, minuscoli, sgattaiolare, muoversi in tutte le direzioni, saltellanti da un marciapiede all'altro. In quel momento avrebbe desiderato essere il pifferaio magico ma si accontentava di tornarsene giù, nel proprio appartamento, sprofondare nella vecchia poltrona della nonna ed immergersi nell'ascolto del divino Bach.

Non era facile capirlo il ragionier Petrella, che parlava per analogie e per metafore; ma era chiaro che in virtù della simmetria universale, di cui era convinto assertore, parlando di topi, si riferiva ad esseri cosiddetti umani: tutto incominciava dal basso, il piccolo era simmetrico al grande, e una guerra tra nazioni, ad esempio, non era dissimile da una lite in condominio, sebbene con conseguenze simmetricamente e proporzionalmente ben diverse. Il ragionier Nicolino Petrella la pensava così.

E fu proprio in uno di quei giorni di somma esasperazione, mentre Nicolino sprofondava in poltrona cercando di placare l'animo con un concerto per arpa, che bussarono alla porta. Abbassò il volume, si alzò rassettandosi la vestaglia di lana azzurra e si diresse all'ingresso con un certo sentimento di rassegnata sopportazione; non tanto perché quello squillo non lasciasse presagire nulla di buono, piuttosto perché, ancora una volta, tutto si ripeteva simmetricamente: il concerto per arpa era stato interrotto improvvisamente proprio come la guerra era arrivata, inaspettata, simile ad uno squillo di campanello: dal Big Bang della creazione, alla guerra, allo squillo, tutto all'improvviso, tutto accade in un istante (anche lui il ragionier Petrella, se ne rendeva conto, era frutto di un accadimento improvviso, dell'unione di uno spermatozoo e di un ovulo), ogni cosa nell'ordine dell'analogia e della simmetria.

Due grattacieli distrutti nel bel mezzo dell'incredulità generale di un pomeriggio noioso.
Il ragionier Petrella, diplomato da qualche anno e disoccupato, aveva ricevuto la cartolina precetto dalle mani del postino con una certa aria di scoglionamento, a voler parlare senza peli sulla lingua: lo squillo del campanello era arrivato nel bel mezzo della figura musicale, come una pubblicità…

"La cartolina!…", annunciò Nicolino, con tono retoricamente sarcastico, attraversando il corridoio per tornare in camera a spegnere il CD.

"Oh, la cara Helga dalla Danimarca!", esclamò entusiasticamente la signora Petrella, seduta dietro la finestra, in una splendida sedia a dondolo del Settecento francese, mentre era intenta a sfogliare uno di quei giornali succhia cervello per sole donne, che promettono giovinezza ad ogni età. "Eh, sì! Si vedeva che era innamorata! Ma che bella coppia facevate insieme: tutti a guardarvi con invidia! Bella, alta, bionda, formosa… sembrava uscita dalla pubblicità di una birra. Spumeggiante! Ecco, spumeggiante, è la parola adatta. Che cara figliola, la Helga!"

"Non è Helga…", ribatté Nicolino, pazientemente.

"Ah! Allora lasciami indovinare… È Colette, sì, ne sono certa! Un tipetto tipicamente francese… niente a che fare con la Helga!… Però… anche lei ti faceva un filo di non poco… Eh!, la mamma le capisce queste cose!…", la signora Petrella osservava le sue mani non più giovani pensando alla crema nutriente pubblicizzata sul giornale; e magari con un po' di smalto per unghie alla vitamina A… Si accarezzava le gambe… era ancora piacente perdio!, gli uomini continuavano a guardarla, sebbene suo marito preferisse spassarsela con la segretaria; in fondo, si trattava solo di recuperare un po' di sana autostima, che diammine!

"No, mamma. Non è Colette. È il Ministero della Difesa…", rispose Nicolino con un certo fastidio nei confronti di quella donna angosciata che continuava a sfogliare avidamente le pagine della magica rivista.

"Oh, ma che bella notizia Nicolino! Finalmente l'hai avuto quel posto al Ministero… Ah, che gioia! Lo dirò a tutte le mie amiche!", annunciò gongolante la signora Augusta Pallotta in Petrella che nel frattempo aveva preso a passeggiare freneticamente su e giù per tutta la lunghezza del soggiorno, contorcendosi le mani e stirandosene la pelle, ripensando allo smalto rigenerante per unghie, alla vitamina A.

"Mamma! Nel caso non te ne fossi accorta c'è la guerra. Devo partire... Roma… fanteria…", rispose Nicolino fissando la madre, serio e bonario al tempo stesso, nella speranza che finalmente si destasse alla realtà.

"Roma? Ah! niente di meglio per portargli una torta, allo zio Casimiro. Quella alle mele è la sua preferita. Non fosse stato per mia sorella… Beh! lasciamo perdere… si sa, le sorelle più piccole portano sempre via tutto alle maggiori!…", la signora Augusta era al parossismo dell'eccitazione; banale a dirsi, ma in effetti non capiva più niente.

Nicolino, rassegnato, e scorgendovi l'ennesima simmetria tra la difficoltà di comunicare in famiglia e l'incapacità di accordarsi tra governi da cui scaturiva la guerra quando la parola lascia il posto al fragore delle armi (come in una lite famigliare alle urla), si ritirò in camera dirigendosi verso il mobiletto dello stereo dove il CD-ROM continuava a suonare, inascoltato, il concerto per arpa in F maggiore BWV 978 di Johann Sebastian Bach.

Spense il CD, chiuse la porta della camera e si diresse alla finestra. Il ragionier Petrella si appoggiò al davanzale e restò ad osservare il cielo.

"Che strano…", pensò. "Eppure, sembra tutto in ordine…"

Quando guardava il cielo, sembrava proprio che ogni cosa fosse al suo posto e avesse la sua ragion d'essere: era come se una mano sapiente, la mano di una fata invisibile, gli accarezzasse gli occhi sedandone il dolore. A quei topi di fogna non pensava più con rabbia: li vedeva in punto di morte, illusi, continuando ad ingannare e ad ingannarsi come avevano fatto per tutta la vita e, magari, a completare la beffa, ci sarebbe stato un manifesto mortuario con tanto di N.H. o N.D.; per Nicolino non c'era punizione peggiore di questa e ne provava compassione.

Che la madre non capisse o preferisse non capire cosa stesse accadendo, gli appariva piccola cosa. Dopotutto cosa avrebbe potuto pretendere da quella donna così infelice? E che perfino il padre fosse un topo di fogna, un dirigente di banca in doppio petto tutto intento a discutere di guerra con gli amici del club tastando il fondoschiena della segretaria, fregandosene di tutto e di tutti, gli appariva cosa di poco conto: il cielo, nuvoloso o limpido che fosse, bastava sempre a rasserenarlo e a liberarlo da ogni angustia.

Si ritirò dalla finestra, e sedette alla poltrona della nonna Lucrezia, sapientemente decorata con disegni arabeschi.

Fin da bambino aveva pensato che la poltrona della nonna fosse in realtà il trono di un califfo e anche ora gli piaceva crederlo; del resto, che fosse vero o no, che differenza avrebbe fatto? Lì, più e più volte, si era smarrito tra gli atri dei palazzi de "Le Mille e Una Notte" e tanto bastava perché quella poltrona fosse davvero il trono del califfo Hârûn al-Rashîd.

La camera era illuminata da una strana luce violacea che penetrava dalla finestra, attraverso il cielo plumbeo. Si guardò intorno, sentendosi in uno stato di sospensione fuori dal tempo; tutto gli appariva strano, magico per certi versi: i libri, le carte astronomiche, l'esistenza stessa…

Non c'era nulla da portare con sé.

Qualche libro certamente, "I viaggi di Gulliver" forse, "Le Mille e Una Notte" senz'altro (dopo l'addestramento sarebbe stato trasferito in qualche base dell'Arabia Saudita), ma nient'altro: in caserma, lo avrebbero rifornito di tutto; lo avrebbero rivestito di tutto punto per fare la guerra, ingozzato come un maiale per rotolarsi nel fango… e ancora una volta, la mente gli si affollò di analogie, contrari e simmetrie concettuali.

Portò sulle ginocchia il globo stellare che aveva sulla scrivania, e facendolo roteare lentamente iniziò a percorrere le sottilissime linee bianche che tracciavano le vie celesti sulla superficie azzurra della sfera finché, all'improvviso, scoppiò in una fragorosa risata subito smorzata da una smorfia di mestizia: avendo spostato il punto di osservazione nella costellazione Camelopardalis, quella guerra in quel luogo lontano dell'Universo, precisamente sul pianeta Terra, gli apparve semplicemente ridicola se non fosse stata una tragedia.

I giorni prima della partenza trascorsero nella più totale follia. La madre continuava a credere che il figlio fosse stato finalmente assunto presso il Ministero e dandone notizia alle amiche, annunciava l'imminenza del matrimonio con Helga dalla Danimarca; nel frattempo preparava la torta di mele per lo zio Casimiro, come fosse un dolce natalizio.

Il padre, il dottor Evaristo Petrella, si prodigò in scenate di abbracci e pianti da operetta conditi da discorsi sull'amor di patria, sulla nazione e sull'opportunità della guerra per sconfiggere il terrorismo internazionale.

In doppiopetto grigio di cachemire fumava costosissime sigarette, e tra volute di fumo lacrimava e rispondeva al telefono:

"Ma no… ora non posso… cerca di capire… lo sai che… ma sì, sì…"

"Evaristo! Ma chi è?", chiedeva la signora Petrella, dissimulando una certa ansietà.

"È il direttore della banca, lo sai che non mi lascia mai in pace…", e poi, continuando sottovoce…: "Sì, sì… stasera, sì… ti prego…"

"Non c'è che dire! Siete molto in confidenza, tu e il direttore!", osservava la signora Augusta, indispettita.

"Ma lo sai cara, lo sai… Siamo amici, dalle elementa… cough!… cough!… cough!…", fu la risposta del dottor Petrella, strozzata dal fumo della sigaretta che gli andava di traverso; ma al dottor Petrella tutto capitava a fagiolo e la lacrimazione, aumentata copiosamente, gli fornì una formidabile scenografia per ulteriori teatrali dissertazioni sull'eroismo e l'amor di patria.

Evaristo Petrella sembrava impazzito, la madre era disperata, e a Nicolino non restavano che "Le Mille e Una Notte", dove la parola salva la vita.

Susanna, invece, la sorella di Nicolino… Ma non vorrete, che vi racconti tutta la storia della famiglia Petrella? Fatevi gli affari vostri!

Ad ogni modo, se la curiosità vi toglie il sonno, vi dirò soltanto che di lei non se ne seppe più nulla, dopo che anni addietro scappò con uno zingaro, a bordo di una mercedes arancione metallizzato.

In una calda serata di luna piena, incontrandola per strada, la fermò, le prese dolcemente la mano e, leggendo tra le pieghe, le predisse che in quell'istante, in quel preciso istante, si sarebbe innamorata del primo uomo che avesse incontrato. Susanna si guardò intorno, e non scorgendo altri davanti a sé che il gitano lambito dalla luce dell'astro notturno, non poté che innamorarsi di lui, avverandone la profezia.

Le dissero che stava commettendo una follia, ma lei non volle ascoltare nessuno pur di scappar via da quella gabbia di matti che all'ingresso riportava, inciso su una bella targa dorata, "PETRELLA".
Solo dello zingaro, in seguito, si venne a sapere che il suo nome era Timoteo.

1. Continua...

gennaio - aprile 2003